Vorrei proprio evitare le introduzioni elogiative di prammatica sull’autore: un editore pubblica naturalmente cose della cui qualità è più che convinto e nel cui successo crede, e ci punta.
Segnalo soltanto che un lavoro del genere manca sul mercato editoriale da diversi decenni. Si tratta di una grande opera su Napoli, su un filone napoletano che a dispetto dei modelli alieni che si cerca di introdurre resiste in un vasto strato del popolo partenopeo, il più puro, avendo radici antiche e autentiche.
Parlo della Napoli musicale, poetica e canora, che ha una vena inesauribile, caleidoscopica e duttile e che ha attinto - e continua a toccare - vertici di assoluta bellezza.

Giuseppe Russo primeggia oggi nel solco di questa tradizione illustre legata alla poetica verista, con versi ispirati al popolo napoletano e ad esso diretti, in un ciclo ininterrotto che rigenera sé stesso. E potrebbe essere altrimenti? Proprio l’autore ci dà - nel volume
«Partenope» l’intuizione poetica di questa vitalità esterna: il canto napoletano nasce col canto di morte della Sirena sulle celebrate rive del nostro Golfo. Lo stesso Zeus, interrogato dai due Russo che hanno dato aulicità e prestigio al linguaggio napoletano, Ferdinando e appunto Giuseppe, deve riconoscere questa origine divina.
Quest’opera è anche un recupero di tradizioni secolari, con punti di partenza millenari, che - mentre altrove vengono intelligentemente e proficuamente rivitalizzate e sostenute - da noi corrono il rischio di scomparire (come è già avvenuto per la Piedigrotta): ecco quindi un volume dedicato a tutte le feste dei quartieri di Napoli, descritte con gusto realistico in squarci narrativi ricchi della profonda umanità propria del Poeta.

lo non posso, perciò, che essere fiero, onorato, riconoscente per la possibilità che il destino mi offre di pubblicare questi quattro volumi di Giuseppe Russo.
Chi egli sia, nel campo della poesia e della canzone napoletana, nessuno ha necessità di dirlo. Ma quattro personaggi di spicco della cultura, Luigi Conte, Luciano Villevieille Bideri, Antonio Spinosa,Alessandro Cutolo, curano da par loro le prefazioni dalle quali emerge una corposa analisi critica dell’opera del Maestro.

Ciro Riemma
Editore

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CAMMINA!

Passiata Napulitana
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NAPULE

Vierze e Canzone
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NAPULE 'N FESTE

Quartiere pe' Quartiere
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PARTENOPE

Storia Napulitana e da' Canzona

Peppino Russo
ovvero
Napoli nel sangue

Non alto; anzi piccolo. Occhi neri vivaci incastonati in un volto scavato di marca mediterranea. Figura esile che si intuisce al di là dei panni in cui è sperduta. Cuore grandissimo traboccante dall’involucro fisico. È di Napoli. Parla e scrive in lingua napoletana. Se fosse nato e vissuto in una città del triangolo industriale o in qualunque altro luogo lontano dal Vesuvio, credo che parlerebbe ugualmente in napoletano.
Questo in pochi tratti il ritratto di Peppino Russo.
Se avete l’abitudine di incorniciare i ritratti, sappiate che per quello di Peppino Russo l’unica cornice adatta è la città di Napoli.
Ne avrete una prova se solo incominciate a leggere il primo volume delle sue poesie e lo seguite passo passo nella sua «passiata» nella città partenopea, così come io ho fatto non avendo saputo resistere all’invito affettuoso
«e famme accumpagna».
Dovrete avere buoni muscoli nelle gambe perché il vostro accompagnatore è esigente. Non tollera che alcunché della «sua» Napoli rimanga inosservato, «preta pe’ preta» «gocce pe’ gocce ’e mare». E voi assecondatelo, perché certamente non vi annoierete. Vi terranno allegri il tacchettìo di Peppino Russo, le sue espressioni di meraviglia per tutte le cose che egli ha visto e rivisto e di fronte alle quali non cesserà mai di stupirsi. Per vo, lo comprendo, questo peregrinare per vie, piazze, vicoli ponti «vasce», «suppuorteche», «curtile», «funneche», descritti non minuzioso puntiglio, potrebbe alla lunga stancarvi. Ma non è così per il vostro cicerone che, prestando anima ad ogni dettaglio, saprà intrattenervi piacevo/mente e farvi dimenticare la fatica. Di tanto in tanto egli si soffermerà anche sulla gente di Napoli, che egli accetta ed ama per quella che è, senza discriminazioni fatta di «guappi», «guagliune» e «femmene». Ha ovviamente le sue preferenze, che vanno ad esempio a «Vincenzo pane ’e rano» «gigante a core ’n mano iastimmatore guappo e cristiano»; o alla «signora Lalla» «svelta c’ ’o passo leggio e piccerillo - quase zumpettariello».
Tutto vi dirà in musica, come in «Aria maggese» («aria addirosa ’e maggio»), in «Speranza», «Donn’Anna» (la regina Giovanna), «’E quaquiglie».
Farà anche incursioni nella storia di Napoli. Ma non vi aspettate dissertazioni scientifiche. Al più potrà soddisfare qualche vostra curiosità. Così quando vi farà sostare a piazza Ottocalli vi spiegherà che si tratta della piazza dove si pagava il dazio e
«o callo era a muneta pe’ pava». Oppure vi parlerà di personaggi noti rifuggendo da valutazioni che non siano quelle sollecitate dalla forza del sentimento popolare. Così oltre a «Donn’Anna» vi ricorderà Corradino di Svevia, «orfano ’e Pato» morto decapitato a «sirice anne e miezzo».
Le due citazioni sono una eccezione trattandosi in fondo di due «forestieri». E per i forestieri Peppino Russo, immerso nel mondo della sua Napoli,, non mostra un minimo di attenzione, perché lì, nella Sua Napoli, è racchiusa l’umanità: «arte, scienza, mestiere e dignità» «a che so’ nnate stanno ’e casa cca’!». Si spiega anche per questo il rimprovero rivolto al Piemonte che ha avuto il torto di dare vita all’«Italia unita» anziché più semplicemente all’ «Italia» o a tutti coloro che non essendo figli legittimi o che «Napule ha sbagliate a l’adutta’
» hanno la pretesa di governarla.
Se siete persone erudite, assetate di notizie storicamente esatte, è vano attendersi che la vostra sete sia estinta dalla vostra guida, la quale piuttosto, nella sua splendida ingenuità, vi farà la cronaca dei sette giorni della «criazione» oppure, in un suo colloquio confidenziale con Zeus, vi racconterà delle origini della prima canzone napoletana: musiche del Dio Apollo, dettate dalla voce del mare; versi composi e recitati dalla sirena Partenope nell’orgasmo della morte.
Tanto meno aspettatevi reminiscenze letterarie. Le uniche si riferiscono a «Don Ferdinando» (Russo) e a Salvatore Di Giacomo, due poeti «napoletani» come don Peppino. Ma si tratta non di spunti critici, per carità, ma di prendere le parti per l’uno o per l’altro come si conviene ad un passionale. E le sue simpatie vanno (c’era da dubitarne?), se non altro per ragioni di parentela a «Don Ferdinando», «Dante Alighieri do’ napulitano»; anche se, per sfuggire alla grave accusa del reato di «dissacrazione», si affretta a precisare: «senza offesa a Di Giacomo da’ stessa forza soia».
Peppino Russo è poeta, al quale, se volete risposta affermativa, non potrete chiedere che «vierze e canzone». In questi troverete tutti gli ingredienti della tradizione poetica e canora del popolo Napoletano: «’o mare», «’o sole», «l’ammore», «’a nostalgia», «’o peccato», «a notte», «’o cchiovere», «l’autunno», «’e sofferenze», «’e lampare», «’e tradimenti», «’o male» e, naturalmente, «’a mamma». Sentimenti l’importanza dei quali è sì soprattutto nella loro realizzazione sonora, ma anche se volete in un immotivato atteggiamento pessimistico nei confronti della vita.
Così come coerentemente immotivato è il suo conservatorismo fatto di richiami a un passato idealizzato per quello che comunque e stato, senza riferimenti neppure alle singole epoche di cui è intessuto, dettato soltanto da un sentimento nostalgico per i «tiempe viecchie e antiche».
Nei versi di Peppino Russo non c’è filosofia o ideologia catalogabile in alcuna corrente di pensiero antica o moderna.
La sua ideologia è Napoli La sua etica è in un verso:
«nun dice maie "basta" si ’a mano pò dda’
».

Luigi Conte
Tratto da: Giuseppe Russo - CAMMINA! Passiata Napulitana
Riemma Editore - Napoli 1987


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