BONAGURA ENZO

BONAGURA ENZO - S. Giuseppe Vesuviano (Napoli), 13 aprile 1900.
Uno dei più apprezzati e originali canzonieri del nostro tempo, autore di continuo successo. Abbandonò gli studi di chimica e farmacia per dedicarsi alla canzone e al teatro. Agli inizi della sua carriera formò e diresse alcune compagnie di riviste con belle e giovanissime donne, che poi divennero, per la maggior parte, delle brave cantanti.
Spesso musica egli stesso i suoi versi scintillanti per giochi eleganti di rime e scorrevolezza o collabora con i suoi musicisti, come per Surriento d'ennammurate e Palcoscenico.
Scrive anche poesie, in lingua e in dialetto.
Ma più che un profilo, conviene citare il lungo elenco delle sue canzoni più note.
I SUCCESSI:
In dialetto: Povera santa (1936), Via nova (1946), Ll'acqua d 'a fonte (1947), Na zingarella (1948), Scalinatella (1948), Bellu sciore (1950), Palazziello (1950), Surriento d"e nnammurate (1950), Canzone amalfitana (1952), Margellina - versi e musica - 3° premio al Festival di Napoli del 1952, Sciummo - con lo pseudonimo di Lucillo - (Festival, 1952), Maruzzella (1955), Vienetenne a Positano (1955), Pota, pò (Festival 1956), Chiove a zeffunno - versi e musica - (Festival, 1958), Cerasella - con Pierro - (Festival, 1959).
In lingua: L'amante mia (1921), Salotto (1921), Via-vai (1923), Primavera delle canzoni (1925), Bambina che... - con Letico - (1929), Chiaroscuro - con Letico - (1929), Lettere - con Letico - (1929), Madonna Notte (1932), Acqua santa (1934), Banane gialle (1934), Brava gente (1934), Ventiquattrore (1934), Città (1935), Roselline (1935), Vecchia ringhiera (1936), All'imbrunire (1937), Bocca rossa (1939), Acquarello napoletano (1947), Borgo antico (1948), ed altri successi ancora con musicisti non napoletani.

Ettore de Mura - Enciclopedia della Canzone Napoletana
Casa Editrice
IL TORCHIO, Napoli 1969

Mio padre non amava raccontare di sé, anzi, questa sua smemoratezza sembrava compagna necessaria alla sua creatività: se pressato dalle nostre richieste, poteva allestire dei “teatrini” ora poetici, ora buffi, su episodi della sua infanzia e della giovinezza. Come il racconto della fuga - lui bambino di sei anni, con un grande canestro in testa - sotto una pioggia di pietre, cenere e lapilli durante l’eruzione del Vesuvio del 1906. O gli accenni alla sua scapestrata vita scolastica, alla bocciatura che lo costrinse in un collegio a Nocera Inferiore, di dove scappava dalla finestra per andare a sognare sui prati, lungo un ruscello. Dei tempi di un secondo collegio a Napoli, nei pressi della chiesa di Donnaregina, riferiva del tormento per la passeggiata quotidiana dei collegiali in divisa nera lungo l’elegante via Toledo; infine la conquista della licenza liceale non tanto per meriti suoi quanto per i buoni uffici dei vini paterni. Anche per descrivere i suoi rapporti con il mondo artistico preferiva affidarsi all’espressività di un episodio, di una scena ricreata per immagini, come l’incontro con Giuseppe Cioffi così ricreato dalle sue parole: “E’ noto che Scalinatella è una canzone di Bonagura e Cioffi. Non lo negano gli autori ma ritengono e confermano di non averla mai scritta. Manca cioè lo spazio di tempo nel quale una cosa divenga pensiero, poi parola o nota, poi frase e poi componimento tenuto sotto sorveglianza perché non sfugga e infine quel che rimane scritto. Andavo a casa di Cioffi una sera, a piedi, ero giovane e mi piaceva camminare. Percorrevo via Toledo e tracciavo senza fermarmi delle parole sulla carta, che avevo già, così come mi venivano a mente, un certo suono e una certa cadenza che rendevano più veloce e più cadenzato il mio passo. Giunto a casa dell’amico e sedutomi al suo fianco, ho a più riprese posto quel foglietto accanto al piatto dove egli mangiava. Niente. Finse sempre di non percepire il mio invito a leggere. Finito il pranzo, con calma egli si alzò, sedette al pianoforte e suonò Scalinatella con le stesse note che tutto il mondo oggi conosce. Io non rifeci e non aggiunsi, non sostituii mai alcun verso”. I suoi contatti con i grandi personaggi della canzone e del teatro, improntati da stima e affetto, seguivano comunque l’andamento umorale così comune negli artisti, ma senza cedere agli effetti di invidie e gelosie, grazie ad un fondamentale rispetto per sé stesso e per gli altri come uomini d’arte. A questo accennava con ironia in una intervista televisiva col dire: “Noi artisti non tradiamo per un milione o per un miliardo, ma continuamente e gratuitamente, perché siamo gli esseri più incostanti e volubili della terra”. Molti di quei legami comunque durarono negli anni come l’amicizia con Giuseppe Marotta, legato a mio padre da una fortissima sintonia e che scrisse: “quando sarà venuta l’ora mia voglio addormentami con una poesia di Enzo sotto il cuscino”. Non erano i fatti materiali né tantomeno quelli economici a dargli qualche pensiero, ma  piuttosto e sempre la qualità delle cose, il diffondersi del banale e del “brutto”. A questo proposito aveva idee chiarissime, una lucidità e larghezza di giudizio anche fuori del suo campo, che si traduceva il certezza assoluta. Se gli si chiedeva il perché della sua poesia rispondeva di aver cercato di scrivere come nessuno aveva scritto, per non somigliare a nessuno; e sulla strada futura consigliava di risalire alle origine del canto popolare, rinnovandolo col cercare nell’aria, nei sentimenti schietti, nel costume: perché Napoli ha una canzone nel cuore, vitale, che può continuamente essere rigenerata.

Maria Cristina Bonagura


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ARTICOLI STAMPA

LA SCOMPARSA DEL MAESTRO ENZO BONAGURA
E' stato l'autore, tra le altre canzoni di "Borgo antico", "Scalinatella", "Maruzzella".
IL TEMPO - 18 Marzo 1980


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