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La scomposizione delle immagini che il cubismo, più ancora del futurismo, ha reso familiare nella pittura occidentale del nostro secolo, è forse la maggiore liberatrice dei capestri della riproduzione realistica, della resa prospettica, della spazialità volumetrica. La stessa, poi, doveva subire, a partire dagli anni 1910-1914, aspre, tormentate vicende: scomposizione astratto-geometrica, scomposizione surreale, scomposizione espressionistica.
Di volta in volta il pittore abbandonava uno o più dei parametri del suo lavoro iconico per ripiombare in una – volontaria o involontaria – sottomissione alle lusinghe della figuralitĆ . Neppure la lunga parentesi astratta ĆØ stata sufficiente a esaurire la vicenda scompositiva. Che ĆØ raffiorata con la Pop Art attraverso un altro genere di scomposizione; questa volta di oggetti veri e propri, di elementi inclusi nel dipinto, come nei combine-paintings di Rayschenberg o negli assembioggi di Jim Dine, quando la scomposizione e la ricomposizione degli oggetti diventa la principale matrice dell’invenzione creativa
Un’artista che ha sfruttato tino in fondo questa volontĆ di spezzare e riamalgamare i frammenti del proprio mondo ĆØ Gianni Pisani, noto soprattutto per la sua curiosa produzione del periodo oggettuale (quando dal ’63 al ’74 aveva ideato assurdi e avvicenti simulacri tra pop e surrealismo come: Il grande letto, La pistola, Lo credenza, Il dondolo, Le bombole, Il miracolo di San Gennaro) ma che giĆ molto primo era stato protagonista di un’intensa attivitĆ di frammentazione e di ricostruzione dell’immagine pittorica.
La vicenda Pisani ha inizio infatti giĆ negli anni 50 con la “Crocefissione” del ’55 e il “Fumo del treno” del ’57 e soprattutto con quell’ “Uomo che perde le mani” del ’63 che costituisce, ancora oggi, una delle tappe più significative del suo percorso artistico. Che anzi denuncia, per chi ne sappia interpretare i criptici presupposti, la conflittuatitĆ sempre presente in lui tra una vena giocosa, ilare ed estroversa, e una molto più cupa, ansiosa, introspettiva (che del resto quasi mai ĆØ assente dalla natura più profonda del carattere partenopeo: un carattere – quello di Napoli e dei suoi abitanti – che spesso sfugge all’occhio del visitatore superficiale, abbagliato dall’armoniosa felicitĆ della natura e dall’apparente vivacitĆ degli abitanti; mentre invece di un carattere chiuso e cupo si tratta, dove gli echi quasi inevitabili di antiche gloriose stagioni si sposano alla suggestione panica di forze chtonie incontrollate, di sortilegi e malocchi).
Ecco, proprio nelle “Mani”, oltre alle caratteristiche psicologiche cui ho accennato, ĆØ evidente l’elemento scompositivo: una pittura facilmente decifrabile ma dove appare giĆ distrutta ogni precauzione prospettica e ogni pedanteria simmetrizzante; una pittura che urla attraverso una tavolozza sanguigna (come sarĆ poi spesso anche in seguito la sua); una pittura dove l’elemento narrativo acquista un ruolo essenziale. Pisani (che ĆØ un antintellettuale per sua e nostra fortuna, che non ĆØ imbottito di Freud e di Lacan, ma che ciò nonostante ĆØ una personalitĆ di estrema e persino morbosa sensibilitĆ ) si ĆØ sempre servito delle opere plastiche e pittoriche per rilevare – spesso con una impudicizia contagiosa – gli intimi spasimi dei suoi confini esistentivi. La ‘CastratorietĆ ’ – non saprei come altro definirla – di questo dipinto (cosƬ bene analizzata da Edoardo Sanguineti quando afferma: ” Le mani perdute, nell’atto in cui confessano il decorativismo anteriore, lo superano e lo copovolgono”), ĆØ una delle costanti ricorrenti anche in opere successive come ad esempio in “Mio padre ĆØ ingegnere mia madre ĆØ morta” del 1981 – uno dei dipinti più rivelatori di quel periodo – dove non si estrinseca solo attraverso la effettivo perdita o amputazione d’un arto, ma sotto aspetti più allusivi e metamorfici.
Si vedano i quadri dove riaffiora l’incubo dei “Viaggi a Catanzaro” (quando Pisani insegnava in quell’Accademia): i Viaggi notturni, il distacco dal figlio giovinetto ecc., anche qui ĆØ una separazione, ĆØ un’amputazione affettiva, a dare vita a lavori che sono sempre anche autentici “racconti”.
Nei lavori degli ultimi due anni – dopo la parentesi oggettuale e dopo alcune esperienze più astratte – Pisani ha ripreso la via maestra di un suo primitivo espressionismo ipercromatico. Ampie vampate di colori accesi alternate a zone di tela quasi acroma; raffinati racconti a pastello carichi di onirismi; composizioni molto vaste imperniate attorno al tema della donna, dell’amore, della conquista.
A questo punto forse alcuni cenni meritano di essere spesi ancora attorno alle serie di pastelli Corri corri c’ĆØ la nuvola del ’75. Si tratta in questo caso di una composizione in apparenza ” minore ” (come fu quella delle Maniche sulla cittĆ azione di gruppo svolto a Napoli nel 1968) ma che a mio avviso, costituisce una delle opere più raffinote e più raggiunte da Pisani; un’opera che potrebbe avere una futura dilatazione proprio per la caratteristica narrativa (cha OĆØ una delle peculiaritĆ dell’artista) e per la ornogeneitĆ stilistica con cui ĆØ resa: le delicate tinteggiature del pastello potrebbero far pensare ad idilliache situazioni fitzgeraldiane, ma rivelano invece improvvise impennate falliche, tortuose esacerbazioni erotiche. Ma l’erotisno, – il più delle volte esplicito e non inibito – ĆØ spesso presente (giĆ a partire dalla ben nota “Mano” Mormoreo dal dito penieno) e in molte altre opere dove la presenza dell’elemento sessuomorfo ĆØ costante. Ancora qualche parola va spesa per le ultimissime apere nelle quali Pisani affronta le grandi dimensioni e i grandi spazi. CosƬ la serie delle “Scale” – sia pittoriche che plastiche – si riallaccia alla vicenda dell’inseguimento amoroso. Nelle scale in ferro il ricordo delle antiche avventure pop ĆØ armai svanito; rimane solo la volontĆ di usare non solo i mezzi pittorici ma quelli volumetrici per incarnare più saldamente un’idea. Nei dipinti di Catanzaro la figura del protagonista curva sotto il peso della valigia e dei suoi pensieri (Ciao Marcello, arriva il treno nero), la sagoma impedente del treno pronto a partire, i toni nostalgici della separazione e del distacco sono raffigurati con estrema efficacia. E, del pari, nel gruppo di dipinti dedicati a Marianna – tutti di grande dimensione – la figura ĆØ trattata con la stessa intensitĆ cromatica del fondo e dei diversi settori del dipinto. Pur conservando lo sua autonomia figurativa l’opera mira piuttosto a offrire una sorte di condenzazione atmosterica che una minuta elencazione di dati e di dettaglio. La stessa aggiunta di scritte a lettere cubitali: “Quella pazza di Marianna”, “Alzati lo gonna”, vale a precisare il fattore contenutistico e insieme a sottolineare l’aspetto ornamentale dell’opera. CosƬ in “Marianna” dove sono accennate solo le mani e le gambe, una mezza luna vagante nel cielo, o in “Tu mi hai rubato la luna” dove riappare il motivodella luna ma questa volta accompagnato da uno scorcio lontano di casupole e dall’inserzione d’una testa capovolta sulla figura centrale appena delineata. Dipinti, questi ultimi, decisamente narrativi ruotanti attorno a scarni elementi simbolici (luna, casa, volto, scarpe) ma dove emerge la qualitĆ cosƬ accesa e insieme trascolorante del cromatismo e l’indifferenza verso uno precisa organizzazione strutturale delle figure. E finalmente – e si tratta forse dell’opera più drammatico e impegnativa di quest’ultima serie – la grande composizione “Tutte le case cadevano” realizzata dopo il micidiale terremoto dell’80 che consiste di sei pannelli giustapposti ci formare un’unica sequenza di dati e di espressioni che si integrano e si accavallano. Le mani protese in alto in un’invocazione senza risposta; i brandelli rettangolari di quelle che furono case, avvolti dalle vampe’ rossastre di sangue e di fuoco; gli sguardi luriferini d’una “entitĆ ” trocchiuta; e – in mezzo a questo ipercromatismo sconvolto e sconvolgente – il nero assoluto del pannello inferiore di destra dove si profila il ghigno e il vortice d’una insaziabile divinitĆ tellurica che risucchia le sue vittime in un’unica oscura voragine…
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Gianni Pisani ĆØ nato nel 1935 a Napoli, dove vive e lavora. Titolare della cattedra di Pittura a Brera fino all’82, insegna all’Accademia di Belle Arti di Napoli.
Caro Pisani,
ripercorrendo l’arco del suo lavoro, notavo alcuni anticipi, forse soltanto apparenti, di quelle odierne correnti che propongono una totale specificitĆ della pittura, ricusando perfino di porlo sotto la categoria dell’arte; pure mi pare che emerga dal suo lavoro una costante intenzionalitĆ d’avanguardia e quindi un finalismo che quelle correnti categoricamente ricusano. Sta di fatto che all’essere in sĆØ della pittura, o alla sua oggetlualitĆ , si ĆØ giunti partendo dall’identificazione di quadro e oggetto che lei giĆ sperimentava fin dal ’63, al tempo del Letto. Oggi, in sostanza, la nuova figurazione detta “Transavanguardia” lavora ancora su un’oggettualitĆ del quadro, anche se, abbattendo l’ultima frontiera dell’allegoria, non si appoggia più sull’analogica oggettualitĆ degli oggetti.
Ć comprensibile il proposito di far pittura senza uscire dai limiti storici della pittura, ma ciò non implica l’obbligo di considerare tutto il passato come so-sein e quindi non storicamente, non in termini di valore. Lei non dissimula, anzi civilmente dichiara, un iter dialettico che passa attraverso Klee, Chagall e Burri:
ĆØ su quei termini che intesse un discorso che ha allusioni autobiografiche e sbocca in una dimensione fantastica. Anzi mi pare che col tempo sia andata accentuandosi la tenuta fantastica di una narrazione che si genera, sviluppa ed esaurisce all’interno del puro fatto pittorico e cioĆØ di un linguaggio visivo che non ha rapporto diretto o indiretto col linguaggio verbale.
Il fatto mi pare importante in un momento come l’attuale, in cui non si cerca un altro linguaggio ma il nessun-linguaggio e, dopo aver negato il discorso, si passa alla negazione del senso. E perchĆ© mai, dopo che la scienza moderna ha dimostrato che esistono non soltanto modi di discorso ma di pensiero attraverso l’immagine, si ritorna alla vecchia tesi dell’immaginazione come non-senso? Si risponde: perchĆ© il passato può essere solo citato e non esperito, può esserci ricordo ma non memoria, citazione ma non evocazione. Nel suo lavoro, invece, il passato ĆØ memoria che si dissolve in un assai colorato e movimentato presente. E certamente ha una componente, forse addirittura una generatrice napoletana: ma non posso dimenticare che il gran merito suo e di pochi altri artisti della sua generazione ĆØ stato proprio quello di accedere e alimentare a Napoli una tensione d’avanguardia, sia pure in direzioni diverse. Ecco, mi pare, come lei ĆØ arrivato su posizioni indubbiamente attuali attraverso il superamento e non il rigetto delle idee di storia e di valore. E come ha potuto mantenersi in bilico sulla soglia di una figurativitĆ contestata e mai negata. Forse il merito ĆØ anche di una tenue ironia che impedisce al discorso fantastico di darsi come una sorta di mitizzazione. Oggi non soltanto in pittura si vuole rimosso e degradato il valore: in molti altri campi, in tutti si toglie via il valore perchĆ© non c’ĆØ valore senza giudizio nĆØ giudizio senza giudizio senza una libertĆ che viene brutalmente negata. Avrò torto, sarĆ l’effetto dell’etĆ , ma io seguito e seguiterò a ringraziare quanti, come lei, dimostrano di credere che il massimo d’esistenza si raggiunga attraverso la ricerca della libertĆ , del giudizio, del valore.
Roma, 20 luglio 1982
Giulio Carlo Argan
Dal Catalogo GIANNI PISANI – MOSTRA ANTOLOGICA Palazzo Dugnani, Milano, Gennaio 1983, a cura del Comune di Milano