Il Mercato del Pesce

Lungo tutto quel groviglio di vicoli che va da Via Carmignano a via Soprammuro fino a Porta Nolana, si estende il mercato del pesce. Soprammuro è quella straducola che porta ancora incise sulle pietre e nelle viscere testimonianze della murazione greco-romana prima, angioma e aragonese poi. Via Carmignano, meno rindondante e più plebea, perché senza vanterie non discendendo da li rami, la fiancheggia tenendola, proprio a ridosso, come in una morsa. Ma tutte le vie, i fondachi, i vicoli, i vicoletti di questo conglomerato urbano assai fatiscente, formano un intricata congerie di mura, di fabbriche, di botteghe, di banchi, di panche, di banche e bancarelle, di tende, di teli, di mercanzie, di chincaglierie, di voci, di grida, di suoni, di rumori. Un disordine greve, un'aria appesantita da una varietà di odori, di fumi, di respiri, di sudori. Una folla di venditori di frutta, di erbaggi, di marlboro, di pesce. Vengono correnti, file, frotte di curiosi, di massaie, di avvocati, di maestre, di monaci, qui a spendere. Il mercato di Porta Nolana è un guazzabuglio che cattura passeggiatori e schiere di forestieri, attirati gli uni, dalla qualità e dalla quantità dei prodotti, gli altri, dallo specioso colore locale. Il mercato del pesce gode delle maggiori attrattive. Porta Nolana è una delle sei cittadelle dove il pesce è fresco pescato mo' mo'. Su tutte svettano enfatizzate le insegne degli "Onesto" de' "'E Guagliune", dei "Fratelli Pescatori", de' "'O Chiaese", di "Ciariello", d' "A Bella Mbriana", d' "A Pacchianella", di "Stella Marina", di " 'Mmaculata". Questi nuovi ma antichi venditori si trasmettono il mestiere di generazione in generazione: cento centocinquanta anni di ininterrotta attività, senza tegua, con una passione e una foga da provati, provetti marinari. E giù grida, lazzi, moine, accanto ai banchi, a una tenda, a baracche, a casupole, come in un teatrino di saltimbanchi, di cantastorie, di funambuli, per attirare gran numero di sfaccendati, di scansafatiche, per una clientela sempre rumorosa, rissosa, intrigante.

Sono qui, in queste contrade, quegli stessi pescatori di sciabica cdi paranza, scamiciati e scalzi, armati di mazze e di picche, che sbucarono da vicoli e anfratti vomitando bestemmie all'indirizzo di principi e vicerè, seguendo ora Masaniello nella tragicornica avventura, ora il Re dei Lazzari pescivendolo anch'egli, popolano tra i popolani. Ora non sono più in guerra né anelano a giuste vendette, non hanno più idee né ideali da confezionare, in gioco non è la Fede, né la libertà di esistere, il loro unico credo è il commercio, lo smercio del pesce venduto in piazza con la pratica cordiale o accidiosa, rudimentale o incontrollata, peggiorata dall'altanelante, incerto, mutevole, precario quotidiano presente. Nonostante la durezza e l'avarizia di modi e di gesti, la tendenza di impreziosire i banchi di dentici e gamberi, lacerti e lucci, di murene e palamiti, di pannocchie, di polpi e sogliole, di triglie e rombi, di storioni e saraghi, scorfani. fragaglie, di seppie, raje, sardine, alici, tonni, e totani, resta. E' il trionfo dei frutti del Mediterraneo mare nostro. Qua il pesce là compare una superba orditura di vongole, ostriche, ricci, cozze, cannolicchi, tartufi, datteri, telline, cacciole e mammarelle. Si conclude poi la festa sulle tavole dei napoletani dal fine palato.

Umberto Franzese


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