IL DUOMO

Dall’età paleocristiana ad oggi  - L’insula comprendente la Cattedrale e l’Episcopio fu fin dall’antichità occupata da qualche edificio sacro, che gli eruditi vollero identificare col tempio di Apollo. Mancano elementi a sostegno di tale tesi ma gli scavi condotti di recente hanno consentito di recuperare strutture e strade d’età greco-romana e di meglio definire la topografia del luogo fra il IV e il IX secolo d.C. Qui, verso il 324-25, l’imperatore Costantino fondò una Basilica, corrispondente all’attuale S. Restituta, affiancata sul finire del V secolo dall’altra, dedicata al Salvatore ma nota come Stefania dal nome del suo fondatore, il vescovo Stefano. Due battisteri, un granaio, un ospedale ed altri edifici dipendenti dall’Episcopio sorsero sull’area considerata. Molti di essi sparirono sul finire del XIII secolo per dar luogo alla nuova Cattedrale, voluta da Carlo II d’Angiò e finita verso il 1330 ai tempi di suo figlio Roberto. In essa sorsero le sepolture di Carlo II e dei vescovi napoletani, le cappelle delle maggiori famiglie del Regno. In essa si svolsero fatti e cerimonie importanti per la vita del paese: nozze ed incoronazioni di Sovrani, pubblicazioni di trattati di pace, celebrazioni di vittorie, funerali solenni. Sulle sue strutture si ripercossero le calamità che afflissero la città, dai bombardamenti del 1943 ai numerosi terremoti, ultimo della serie quello del 23 novembre 1980.
La facciata, crollata per il sisma del 1349, si presenta nella veste assunta negli anni 1876-1905, quando fu eretta in stile neo-gotico su disegno di Enrico Alvino e con la partecipazione dei maggiori scultori locali. Però i portali sono di Antonio Baboccio, che compì il centrale nel 1407, utilizzandovi i leoni stilofori del primo Trecento e la Madonna seduta (Mater orbis) del lunettone, opera di Tino di Camaino.
L’interno, a tre navate con transetto, presenta i segni dei molti restauri subiti. All’originario organismo gotico fu aggiunto nel 1621 il ricco soffitto, con tele dei maggiori pittori dell’ultimo manierismo napoletano (Balducci, Santafede, Imparato, Forli). Al secondo Seicento risalgono le tele fra le finestre e fra gli archi, con Apostoli, Santi patroni, Dottori della Chiesa, dipinte da Luca Giordano e dai suoi allievi, mentre l’aspetto ricco di colore fu acquistato nel corso di un restauro, condotto nel 1833-55, che intese restituire un malinteso stile gotico. Allora furono dipinte le colonne di granito, addossate ai pilastri e provenienti dalla distrutta Stefania e dalle campate demolite di S.Restituta, e la loro continuazione superiore, in pietra; furono rivestiti di marmi i pilastri, inglobando quelli antichi; ed eseguiti stucchi decorativi e dorature.
Nella I campata (A) della navata sinistra si vedono le strutture originarie, liberate dalle aggiunte e si nota il livello del pavimento gotico, inferiore di circa 30 cm. Dalla finestra rinascimentale murata si esponeva, fino al primo Seicento, il sangue di S.Gennaro nel giorno del miracolo.
Sotto il secondo arco a sinistra da notare il fonte battesimale (B), del 1618, con vasca in basalto di età ellenistica. Sulla controfacciata sepolcro di re Carlo I d’Angiò, di sua moglie Clemenza e del figlio Carlo Martello, re d’Ungheria, eretto nel 1599 a sostituzione degli antichi sepolcri gotici, già nell’abside ed ora perduti (C).
La seconda cappella a destra (D) racchiude un Crocifisso ligneo della I metà del XIII secolo, importante opera di artista forse spagnolo, e le tombe trecentesche dei Caracciolo. Su quella di Nicola una Fortezza, di Tino di Camaino.

Il tesoro di San Gennaro - Segue la Cappella del Tesoro di S.Gennaro (E), luogo in cui si verifica il miracolo della liquefazione del sangue del Patrono (maggio e settembre) e dove si conservano le ampolle che lo con-tengono ed il busto col capo del Martire, lavoro di eccezionale livello dovuto agli orafi francesi della Corte Angioina Milet d’Auxerre, Guillaume de Verdelay, Etienne e Godefroy (1304-6).
La cappella, ex voto per la liberazione dalla peste del 1526-28, fu costruita dal 1608 su disegni di Francesco Grimaldi ed è uno dei massimi esempi di barocco napoletano. Le storie e i miracoli di S.Gennaro, con cui è affrescata, sono del Domenichino (1630-41), il Paradiso nella cupola è di Giovanni Lanfranco (1643). Dello stesso Domenichino sono i quadri, su rame, degli altari, salvo quello di destra, con S. Gennaro che esce dalla fornace, tra i capolavori del Ribera (1646).
A Cosimo Fanzago si deve il disegno del magnifico cancello d’ingresso mentre Giovan Domenico Vinaccia eseguì il paliotto argenteo dell’altar maggiore, rappresentante la translazione delle reliquie di S.Gennaro da Montevergine a Napoli (1692-95).
Altri importanti scultori ed argentieri del Sei e Settecento lavorarono per il Tesoro, realizzando le numerose sculture dei Santi Patroni, forse il complesso più imponente e ricco della plastica in argento europea.

Il transetto e l’abside - Nel braccio destro del transetto la terza cappella (E) ha sull’altare un’Assunta, tavola del Perugino ed aiuti, in origine sull’altar maggiore. Segue la cappella Minutolo (G), decorata da affreschi databili dalla fine del Duecento al tardo Quattrocento. Di particolare interesse i più antichi, riferiti a Montano d’Arezzo e raffiguranti la Crocifissione, Fatti della vita dei SS. Pietro e Paolo, i martini di vari Santi e due Santi nella volta. In questa cappella Boccaccio ambientò uno degli episodi della novella di Andreuccio da Perugia che si sarebbe introdotto nel sarcofago del Cardinal Filippo Minutolo, ancora posto a destra dell’altare, per depredarlo. La cappella Tocco (H) conserva ancora l’originaria architettura gotica ed alcuni affreschi del primo Trecento. L’abside (I) fu rifatta dall’architetto Paolo Posi (1739-44) secondo uno stile barocco molto classicheggiante, affine a quanto si faceva in quel tempo a Roma, dove Posi lavorava. Di ambito romano sono anche l’Assunta, scolpita da Pietro. Bracci, e le pitture, inviate da Corrado Giaquinto, la tela di sin., e da Stefano Pozzi, quella di d. Il presbiterio, sopraelevato, si leva sul cosiddetto Succorpo di S.Gennaro (L), cui si accede per 2 scale laterali. Esso rappresenta uno dei complessi architettonici e decorativi più ricchi del rinascimento napoletano, realizzato dal comasco Tommaso Malvito, da suo figlio Giovan Tommaso e da altri aiuti (1497-1506), seguendo con molta probabilità un disegno del Bramante. La statua inginocchiata del Cardinal Oliviero Carafa, committente dell’opera, attribuibile al Malvito jr., è posta davanti all’altare bronzeo del 1511 racchiudente un’olla fittile alto-medioevale in cui sono conservate le ossa di S.Gennaro.
Nel transetto sinistro la cappella (M) seguente l’abside conserva la struttura gotica, l’altare, composto da due grifi del I sec. d.C. e dal sarcofago del III secolo contenente il corpo di S.Massimo, e la tomba di Fabio Galeota, di Cosimo Fanzago (1673). La seguente cappella (N), di 5. Lorenzo, reca sulla parete interna della facciata l’Albero di Jesse, affresco attribuito a Lello da Orvieto (II decennio sec. XIV).
Da questa cappella si accede ad un ascensore che porta al livello del tetto della Cattedrale. Di qui si può ammirare un’ampia veduta panoramica della città e del suo centro antico. Si può inoltre accedere allo spazio soprastante la volta dell’abside, ribassata dal Posi per cui al di sopra si vedono resti degli affreschi del Balducci, decoranti l’antica abside, e la struttura della volta settecentesca, di grande complessità tecnica.
Ritornati nel transetto vi si vede il sepolcro di papa Innocenzo IV, morto a Napoli nel 1254, rifatto nel XVI secolo (O). Alle pareti, in alto, Natività e I patroni di Napoli, tavole di Giorgio Vasari, già battenti di organo.
Svoltando nella navata sinistra, murato nel primo pilastro, si trova il Passo napoletano (P), campione in ferro dell’unità di misura in uso nel Regno (cm. 190), custodito in Cattedrale almeno dal Duecento. Un portale settecentèsco, ornato da statue del primo Seicento, immette in 5. Restituta (Q). Alla sua destra una lapide che chiude i resti di Andrea d’Ungheria, marito della regina Giovanna I, strangolato ad Aversa nel 1345.

La Basilica di Santa Restituta - S.Restituta è la più antica basilica cristiana di Napoli, fondata da Costantino nel 324-327 circa, dedicata forse al Salvatore e dal IX secolo alla Santa africana di cui si conservano le reliquie. Delle sue 5 navate originarie ne restano tre; le due estreme furono occupate dalle cappelle. Essa nel Duecento fu anche privata di alcune campate e, forse, dell’atrio, demoliti per dan luogo alla nuova Cattedrale. Il livello del pavimento fu più volte rialzato e l’antico, più in basso dell’attuale di c. 40 cm., si vede presso alcune colonne, attraverso un vetro. L’interno ha acquistato l’aspetto che vediamo nei restauri condotti da Arcangelo Guglielmelli dopo il terremoto del 1688. Egli lasciò in vista le colonne romane, dotandole di una finta base, stuccò le pareti e fece porre nel soffitto l’Arrivo del corpo di S.Restituta ad Ischia, di Luca Giordano.
In fondo alla navata destra si apre l’ingresso al Battistero di S.Giovanni (R) in Fonte, notevole monumento paleocristiano, eretto e decorato con mosaici fra il IV ed il V secolo. I due archi murati, alla parete sinistra, erano gli originari accessi all’ambiente. Sul finire della navata di sinistra si apre la cappella di S.Maria del Principio (5). Nella sua absidiola è un mosaico con la Madonna fra i SS.Gennaro e Restituta, di Lello da Orvieto (1322). Ai lati sono murati due plutei dei secoli XII-XIII.

Il percorso archeologico - Dopo la cappella si trova una scala che porta ad una zona archeologica, rivelata e sistemata negli anni 1969-72 (Tavola 11). Essa costituisce un autentico palinsesto, con strutture che vanno dall’età greca all’alto medioèvo, sovrapposta e riutilizzata, spesso non identificabili nella loro originaria funzione. Comunque si tratta di un complesso di grande fascino che getta nuova luce sulla topografia della Napoli antica e che attende ancora uno studio rigoroso.
Discesa la scala si svolta a destra. Si vedono subito una colonna e resti di un ambiente paleocnistiano (1); poi, percorso un corridoio, si accede ad ambienti romani (2), in opus reticulatum, e con volte in conglomerato cementizio, forse databili ai primi anni dell’Impero. Uno dei 4 vani era rivestito in cocciopesto e dotato di pulvino idraulico, visibile nell’angolo basso delle pareti. Forse fu un deposito di grano se non fu adattato a cisterna nel medioevo. Queste sale costituiscono la parte sotterranea di un grande edificio, ad esse coevo, che si incontra ritornando alla scala e svoltando a sinistra. Esso è di difficile ricostruzione e su parte della sua area poggia l’abside di S.Restituta, di cui si vedono le fondamenta. Si può ipotizzare che questa fabbrica disponesse di un’area centrale, pavimentata in battuto (3) e scoperta non visibile che in parte perché occupata dagli edifici superiori, circondata da un, colonnato (4), seguito all’esterno da una gaveta per lo smaltimento delle acque piovane. Restano 4 elementi iniziali di colonne laterizie, poggianti sul lato tagliato dall’abside. Questo lato termina con un pilastro d’angolo che faceva da raccordo con un altro lato del colonnato, privo ormai di tracce di colonne. Intorno a questi due lati visibili, a m. 2,30 di distanza, gira un muro (5) in opus reticulatum, con tracce di intonaco dipinto in rosso, che doveva costituire la parete perimetrale dell’ambulacro colonnato. La parte fronteggiante l’abside è giustapposta ad un muro di fabbrica greca (6), a grossi blocchi di tufo, ben visibile presso la scala d’accesso agli scavi. Il vasto edificio romano si sovrappose a parte di una strada greca (7), i cui larghi blocchi di tufo, con tracce di carri, sono stati portati alla luce, ad un livello di circa un metro inferiore, sotto la parte angolare dell’ambulacro. Nel pavimento dell’edificio romano si sviluppa un corsetto in cui si vede ancora l’antica tubatura idnica in piombo, che procede oltre e che si troverà più innanzi. Sui tubi il sigillo con la scritta Aurelie Utician.
Superata la strada greca si sale una scala moderna in muratura e si accede in un vasto spazio, col piano di calpestio posto a quota superiore al precedente ed ubicato sotto il cortile della Curia Arcivescovile. Questa zona pone complessi problemi d’interpretazione topografica. Si è pensato che i vasti lacerti di pavimenti mosaicati, visibili in essa, siano appartenuti all’antica basilica del Salvatore, detta Stefania. Essi infatti risalgono alla fine del V secolo, periodo in cui fu fondata la chiesa, e mostrano ottagoni includenti motivi stellari e fogliacei e bordure a serpentina, opere di grande finezza (8).
Questi pavimenti poggiano su altri più antichi (9), siti a c. 14 cm. più in basso, databili al IV secolo ed appartenuti ad un altro e non identificato edificio di culto. Essi presentano serie di tondi, raccordati da fasce spezzate, motivi a serpentina ed a matassa. In più punti il pavimento del V secolo fu riparato con marmi e pietre romani, forse in un momento di crisi dell’art e musiva, ormai nell’alto medioevo. Presso quest’area mosaicata si vede ancora un tronco di colonna (10), con base delicatamente scolpita, di età adrianea ma reimpiegata dai cristiani. Ad un livello di c. 2 metri inferiore emergono strutture romane, cui si sovrapposero gli edifici cristiani. Si vedono parti di gavete, basi di colonne in muratura, mosaici pavimentali figurati di età tardo-romana (11). Presso l’uscita degli scavi nel cortile dell’Archivio Diocesano, a sinistra, si vedono resti di una piccola abside (12), col pavimento musivo raffigurante un cantharos, fra racemi e con due uccelli sulle anse, databile al VI secolo. Quest’abside potrebbe aver fatto parte dell’accubitum, eretto dal Vescovo Vincenzo il cui nome si legge nella scritta sotto il vaso.
Usciti nel cortile della Curia si osserva un tratto di strada, del IV-V secolo d.C., interna al complesso sacro (13). Presso l’uscita su Piazza Donnaregina si vedono resti architettonici di grande interesse, databili alla fine del V secolo e forse identificabili nell’atrio della Stefania. In questo ambiente si conservano le lastre del Calendario marmoreo napoletano risalenti al LX secolo ma ornate nel retro da motivi orientalizzanti ai primi del XII secolo.

 

GALLERIA DI FOTO
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