GILL ARMANDO
GILL ARMANDO (Michele Testa) -
Napoli, 23 luglio 1877 - 2 gennaio 1945.
Armando Gill, cantante, piaceva per il repertorio tutto suo che egli
stesso annunciava con la simpatica dicitura: «versi di Armando, musica di
Gill, cantati da Armando Gill». Originalità leggera leggera, ma sempre
originalità; e, nel primo Novecento, doveva per forza far molto scalpore.
Gill fu il canzoniere del popolo; un poeta popolare con una punta di
signorilità dovuta al suo temperamento ed alla sua cultura. Entrare, fino
a raggiungere i primi posti, tra l'imponente spiegamento di vedettes che
davano vita al varietà dell'epoca, voleva dire che si possedeva una
spiccata personalità artistica. E di personalità, il giovane ed entusiasta
Armando, ne possedeva tanta che non dovette aspettare a lungo i convinti
applausi della platea.
I suoi primi successi rimontano agli anni 1896 e 1899: Fenesta nchiusa e
'O surdato. Ne furono editori Santojanni e Bideri. Le musiche le compose
il M° De Crescenzo, altri suoi versi li musicò Alfredo Mazzucchi:
Stornelli montagnoli, ecc.; poi Gill sentì qualcosa che gli batteva
dentro, imperiosamente: la musica per i suoi spontaneissimi versi.
Da quel momento, la sua produzione fu copiosa, ricca, originale. Ma il N1°
Mazzucchi restò l'amico fedele, il trascrittore di tante e tante belle
musiche del brillante artista fiorite in contemporanea con i versi.
Dopo gli studi liceali, s'era iscritto alla Facoltà di Legge nella nostra
Università. Era un frequentatore di «periodiche», dove furoreggiava. Poi,
abbandonò pandette e codici e volò verso il teatro con la gaia mitezza
della sua autentica, incomparabile personalità.
Per alcuni anni, dopo la prima guerra europea, creò una compagnia musicale
il cui repertorio, scritto da lui, in maggior parte, prendeva spunto dalle
sue stesse canzoni: Come pioveva, 'O quatto 'e maggio, 'O zampugnaro
nnamnaurato. Inoltre rappresentò riviste sue e riviste scritte in
collaborazione con Guido di Napoli: Calendario, 4 e 4 = 8, ecc.
L'estemporaneità di Armando Gill - altra sua spiccata dote - era
formidabile. Per un'ora, e anche più, era capace d'intrattenere e
divertire il pubblico con le sue indimenticabili «improvvisate». Forse,
per questo, la critica ufficiale, qualche volta, ha condannato la musica
uniforme e la facilità del verso e delle rime che recavano la sua firma.
Ma per il «mondo», che voleva cantare in un impeto di evasione, erano
proprio quelle le note e le rime che occorrevano.
Fra i suoi successi:
In
dialetto: Fenesta nchiusa - versi - (1896), 'O surdato - versi - (1899),
Nun sò geluso (1917), 'E quatto 'e maggio (1918), 'O zampugnaro nnammurato
(1918), Bella ca bella si' (1919), Varca dammore (1919), 'O sunatore 'e
mandulino (1926), Palomma (1926).
In lingua: Stornelli montagnoli e campagnoli - solo versi - (1909),
Stornelli spagnoli - solo versi - (1909), Bel soldatin - solo versi -
(1910), Canti destate (1911), Gina mia (1911), Al mare (1912), Stornelli
del cuore (1912), Stornelli proibiti (1912). Canti paesani - solo versi -
(1913), Donne e amore (1917), Come pioveva (1918), Canti nuovi (1919),
Stornello dell'aviatore (1920), Cinemà cinemà (1921), Rispetti all'antica
(1922), Ancore in montagna - solo versi - (1926).
Ettore de Mura -
Enciclopedia della Canzone Napoletana
Casa Editrice IL TORCHIO,
Napoli 1969
ZIO ARMANDO
Nacque il 23.07.1877 da
Pasquale Testa Piccolomini e Concetta Saracino. Studiò all’Istituto Chierchia dove mostrò subito le sue doti di poeta ed improvvisatore.
Quindi s’iscrisse alla facoltà di Giurisprudenza che lasciò ad un anno
dalla laurea per dedicarsi all’arte che studiò al teatro Eden. La sua
prima poesia la compose a soli 12 anni, la sua prima canzone fu “Funesta
’Nchiusa” musicata dal maestro De Crescenzo cui seguirono molte altre. Poi
cominciò a musicare lui stesso le sue canzoni e nel 1918 scrisse “Come
Pioveva”, “O Zampognaro ’Nnammurato” e “E quatte ’e Maggio”. Grande
intrattenitore, fine dicitore, poeta, ebbe molto successo in tutta la sua
carriera artistica. Nel 1943 dopo aver presentato la Piedigrotta, si
ritirò dalle scene e morì nella notte tra il 31.12.’44 ed il 1.1.’45
lasciando grande rimpianto nella famiglia ed in quanti lo apprezzarono.
I nostri ricordi dello zio
ci sono stati tramandati da nostra madre Lavinia Testa Piccolomini che rea
la figlia del fratello maggiore di Gill, Gustavo Testa. Nostra madre ha
trascorso buona parte della sua vita accanto allo zio ed ha potuto
raccontarci le sue abitudini, il suo modo di vivere, la sua arte e la sua
capacità di comporre ed improvvisare. Possiamo soffermarci su brevi
episodi della sua vita privata e della sua carriera artistica: quando
componeva una canzone, amava farla ascoltare in famiglia per avere un
giudizio dalla moglie Assunta, dalle nipoti, dalla governante e dalla sua
amata cagnolina Florì. Componeva generalmente di notte a causa dei suoi
impegni teatrali e sui manoscritti era solito indicare l’ora, la data e la
sua firma. Nostra madre ci ha raccontato un altro episodio avvenuto in un
teatro napoletano: Armando Gill era in scena ed aveva iniziato il suo
spettacolo, quando nel silenzio della sala si indicono delle voci
concitate provenienti da un palchetto. Erano due signori, marito e moglie
che discutevano tra loro; Gill pensò di richiamarli in versi,
bonariamente, suscitando l’ilarità ed il divertimento dei presenti. Un
altro ricordo riguarda la sua ansia prima di entrare in scena. Nostra
madre era solita accompagnarlo nel camerino di scena e lui era contento
della sua presenza perché l’amava come una figlia e le confessava il suo
timore nell’affrontare il pubblico, ma tutto ciò finiva quando entrava
sulla scena e si esibiva mostrando il suo talento.
Maria Rosaria e Gaetano De Maio Testa
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IL MATTINO |
GILL ARMANDO
Spedito in collegio a nove anni, Michele scopre invece una forte attrazione per la poesia: anzi, più di ogni cosa gli piace giocare con le parole e improvvisare versi estemporanei. In questo esercizio di abilità è un asso capace di andare avanti per ore partendo da un nonnulla, con la gente che starebbe lì ad ascoltarlo a bocca aperta all'infinito. In pratica, è un attore nato. Così, quando s'iscrive alla facoltà di Giurisprudenza, Michele sa già in partenza che nella sua vita farà altro e difatti non appena compie i ventuno anni si presenta dal padre e gli illustra i suoi progetti: il Salone Margherita e l'Eden hanno già dei contratti pronti per lui, ma non si preoccupi, il papà, ché Michele ha pensato a tutto, onde evitare alla famiglia imbarazzi e brutte figure userà un nome d'arte. Una mattina dell'estate 1918 Napoli appare tappezzata da centinaia di manifesti che raffigurano soltanto un ombrello: magari è la pubblicità di un nuovo negozio, oppure di una marca di parapioggia. Dopo una settimana, compaiono altri manifesti: questa volta, all'ombrello si è aggiunta una frase sibillina: "Come pioveva". Finalmente, qualche giorno più tardi uno striscione completerà lo slogan e risolverà il rebus: "Come pioveva, parole di Armando, musica di Gill, canta Armando Gill".
D'ora in poi Michele Testa non esiste più, il suo posto è stato preso da Armando Gill. Se lo pseudonimo l'ha preso dallo spadaccino Martino Gill, eroe popolare dei fascicoli settimanali della Sonzogno, il personaggio che interpreterà per tutta la vita è farina del suo sacco: un viveur borghese dai modi eleganti, vestito rigorosamente in frac o al massimo in marsina, riconoscibile dal papillon bianco, dall'immancabile gardenia appuntata all'occhiello e dal monocolo a mascherare l'occhio un po' strabico. Ma come, si chiederà babbo Pasquale, tutti così vistosi sono gli autori? No, non lo sono, il fatto è che suo figlio è sì un autore, ma soprattutto è uno showman, un uomo di spettacolo. O meglio, un uomo che fa spettacolo. Nonostante l'accentuato strabismo, con lo scoppio della guerra Gill parte militare e addirittura rischia di diventare un eroe, almeno così pare: il fatto è che un giorno a Napoli si sparge la voce che la nave su cui e imbarcato Gill è stata affondata dai tedeschi. Subito fioccano messe di suffragio in sua memoria e circolano commossi coccodrilli. Napoli non potrà trattenere una sana risata liberatoria quando un mese più tardi si ritroverà l'Armando più vivo e vegeto che mai, e andrà di corsa ad applaudirlo al Trianon, dove si rappresenta uno spettacolo allusivamente intitolato Gill affondato. Questo estroso frequentatore della vita notturna napoletana è anche uno dei primi cantautori del nostro paese: dopo qualche canzone in condominio, decide di fare tutto da solo: autodidatta, strimpella il pianoforte con un solo dito e per orientarsi sullo spartito è costretto a segnare un numero su ogni sillaba del verso, per indicare la nota corrispondente.
Poi, per assicurarsi dell'efficacia del risultato,
chiama la sua fedele cameriera Maria, le fa ascoltare il frutto del suo
lavoro e lo sottopone al suo giudizio. Forte di un consenso popolare
tanto scientificamente perseguito, Armando non si darà mai troppa pena
se la critica lo ignorerà e lo snobberà per via della sua insufficiente
preparazione musicale e di quel suo inconfondibile falsetto
dall'intonazione così traballante; né d'altro canto i suoi limiti tecnici
gli impediranno di comporre melodie stupende, ammalianti, come quella
dello Zampugnaro 'nnammurato, una canzone del 1917, o quella di Palomma,
pubblicata nel 1926.
Nel 1925, alle
soglie dei cinquant'anni, Gill sposa una ragazza conosciuta a teatro,
anzi, corteggiata in teatro, alla sua maniera
inimitabile; il suo monocolo la mette a fuoco fra i volti del pubblico,
Armando sente un fremito dentro, le dedica istintivamente una canzone e
poi le chiede un appuntamento improvvisando una quartina ad hoc. Con la
sua Irma Gill si ritirerà dalle scene nel 1943, dopo aver ceduto il suo
canzoniere alle edizioni Bideri. Ormai malaticcio e malmesso, spenderà gli
ultimi spiccioli di vita attorniato dai suoi gatti, dai suoi cani e dai
suoi uccellini. Un attacco di angina lo porterà via la notte del 31
dicembre 1944. Conoscendone la vena istrionica, c'è da sospettare che non
sia un semplice caso: pensate, uscire di scena col cielo di Napoli
illuminato a giorno dai botti di Capodanno... Una tentazione troppo
forte, per uno come lui.
Maurizio Becker - La canzone napoletana
Casa Editrice
OCTAVO, Firenze 1999
DI ARMANDO GILL ...
L'Arte è certo vastissima e inesauribil cosa, e
l'argomento sarebbe troppo arduo e ponderoso per i miei esili infallibili
omeri letterari. Anche se i miei conosciuti lettori fossero disposti a
transazione, e a contentarsi, diciamo così, di un ramo più limitato e più
alla portata della miopia del sottoscritto, come per esempio della
manifestazione, anch'essa vasta e multiforme, dell'Arte nel caffè-concerto
; io dovrei, ancora una volto, ahimè, chinare il volta per nascondere il
mio rossore, e confessare che proprio, ecco non posso.
Ma i grigi tempi della scuola mi hanno pur las2iato qualche ricordo... La
rettorica, di infelice memoria, sudò ad insegnarmi che v'é una certa
figura del parlar figurato che mi dispensa dal trattare, per esempio,
dell'Arte, dal momento che posso parlare dell'Artista, dell'Artista che è
la personificazione, la materializzazione dell'Arte; che di questa
evanescente, inafferrabile e divina, porta con sé e mostra tutte le
perfezioni tutte le bellezze, tutti gl'incantamenti.
E io sotto il velame della provvida sineddoche, esalto quanto di più
nobile e di più puro abbia l'Arte tra le quinte e le orchestre del
caffè-concerto, esaltando, in una parola, Armando Gill.
Ecco che i miei sconosciuti e benevoli lettori, li vedo sorridere a fior
di labbra, con un pochino di commiserazione... Eh, diamine, capisco io:
Non vi aspettate che io salti fuori con frasi peregrine, con concetti
rari! io non sono qui il critico: sone l'entusiasta, incondizionatamente,
e le mie parole, quindi non possono essere che su per giù le stesse che
avrete sentite dal vostro vicino di poltrona ammirato e elettrizzato, o
che avrete confidate al vostro vicino in un momento di spontaneo e
irresistibile entusiasmo.
Armando Gill è -il trovatore gentile di altri tempi, che sembra debba
errare nelle notti plenilunari lungo i fossati di misteriosi manieri,
merlettati in nero sull'azzurrino pal pitante del cielo, levando gli occhi
ansiosi e melanconici agli ascosi veroni dalle vetrate ogivali e
istoriate... Il pensiero lo segue in quelle poetiche nottate lontane di
primavera che ritornano, e lo sente modulare serenate e sirventesi mai più
udite, di una tenerezza ineffabile, di una soavità di sonno... Lo sente
implorare col canto, e vede che una vetrata oscilla indecisa, poi si
chiude; e una figura attesa appare, si sporge sulla balaustrata, e una
sottile scala di seta si svolge fino ai piedi del trovatore amorissimo
invito...
Vado troppo lontano con la fantasia? Forse... Certo che Armando Gill è
sopratutto il poeta. I suoi versi, sempre - e sono i più belli - pieni di
delicata passionalità, hanno una semplicità trecentesca, una
sentimentalità profonda e squisita, sgorgano, fluidi e sinceri
"Come da un sinteventesese del trecento
Pieni di forza e di soavità" (1)
Tutti - dico tutti senza esitare - conoscono Armando Gill quando vien fuori
alla ribalta, sempre fresco e sorridente, di quel suo sorriso ingenuo e
malizioso che sotto linea a sua insaputa - sembra - il suo scoppiettante
umorismo e il suo spirito originalissimo. Tutti sono rapiti dalla sua
perfetta e correttissima dizione, dalla signorilità irreprensibile con la
quale egli, gentiluomo della scena soggioca il pubblico e ingentilisce,
nobilita ogni espressione, ogni calembourg, ogni verso. Tutti fremono
quando egli sospira a fior di labbra le più tenere sue canzoni; tutti,
insomma, lo applaudiscono, lo festeggiano, gli decretano un trionfo
spontaneo, unanime.
Pochi, pochissimi sanno Armando Gill nel studiolo, seduto allo scrittoio,
con una sigaretta fra le labbra e un foglio bianco davanti che egli va
comprendo agilmente di righi irregolari, l'uno sotto l'altro. Versi ?
versi.
Son sicuro che i miei lettori sconosciuti, che potessero, non visti, far
capolino dall'uscio socchiuso, cercherebbero ostinatamente qualcosa di
medievale, di romanzesco che s'era ficcato da un pezzo nella loro mente:
che so... un liuto, un giustacuore serico, un ritratto di castellana
bionda... Niente, niente, che disillusione!
Ma dunque come è che è là, che scrive, scrive, e sorride, senza fermarsi,
senza esitare ? Non si ispira a nulla? Oh si, il soffio misterioro parte
dal cuore. Il cuore detta, detta, ed egli scrive... e canta!
(1) Mi si permetta la lieve modifica.
Grillincervello
LA CANZONE ITALIANA
Dall'inesauribile
vena ispiratrice dei poeti napoletani nasce la canzone in lingua
italiana (Santa Lucia, Reginella, Amor di pastorello, Fili d'oro, Cara
Piccina...) che ha la sua metamorfosi attraverso le romanze da salotto
(Mattinata, Ideale, Musica proibita, Vieni sul mar...) e trova la sua
affermazione nelle sale del café-chantant, del varietà, del tabarin.
Il merito è condiviso con interpreti di gran valore e popolarità: Lina
Cavalieri, Elvira Donnarumma, Gea della Garisenda, Anna Fougez, Ria Rosa,
Gilda Mignonette, Gennaro Pasquariello, Nicola Maldacea, Berardo
Cantalamessa, Armando Gill, Gino Franzi, Isa Bluette, Ettore Petrolini...
.
Facevano epoca canzoni come Vipera, Ninì Tirabusciò, 'A cammesella, A
Tripoli, Come pioveva, Balocchi e profumi, Capinera, Abat-jour, Gastone,
Creola, Addio signora, Spazzacamino, Miniera, Addio tabarin, Re di cuori,
Campane, Come una coppa di champagne, Nannì, Scettico blues... .
Le canzoni
italiane degli anni '20 sono state le prime ad essere composte interamente
in lingua. Sino ad allora vi era stata la prevalenza letteraria dei
diversi dialetti. Nel primo dopoguerra, parallelamente alla sua diffusione
nei grandi centri urbani, l'uso dell'italiano si afferma anche attraverso
le parole delle canzoni. La loro spiccata originalità, sotto l'aspetto
squisitamente musicale, si evidenzia in frasi melodiche più brevi, le
prime concepite per adattarsi alla danza.
Secondo la maggior parte dei musicologi la prima canzone rappresentativa
della nuova italianità raggiunta nel periodo giolittiano è proprio "Come
pioveva" di Armando Gill.
ANEDDOTI
Una dedica di
Musco a Gill
Angelo Musco, in una sua venuta a Napoli, volle conoscere Armando Gill,
del quale aveva sentito parcare con ammirazione.
Una sera che era libero si recò all'Eden, dove si produceva lo
«chansonnier» napoletano, e si divertì tanto nell'ascoltarlo
nell'«improvvisata» - una frecciatina garbata era stata scoccata anche
contro di lui - che gli volle regalare una sua fotografia, con questa
dedica: «Ad Armando Gill, principe e suvrano de lu Varieté, che mi ha
fatto ridere a mia che lazzo l'arte di far ridere».
L'arguzia di
Armando Gill
Armando Gill, il delizioso chansonnier napoletano, entrò un giorno in un
negozio di utensili domestici per acquistare un piccolo fornello a gas.
Scelto l'oggetto ne domandò il prezzo.
- Costa mille lire - gli rispose la commessa, una deliziosa bionda.
Don Armando passò alla cassa, dietro la quale una formosa bruna, che lo
aveva riconosciuto, sorrideva. Cavò di tasca un portafoglio e ne trasse
l'unica banconota che possedeva; la guardò fingendo rimpianto, e,
porgendola alla cassiera, improvvisò sul motivo della sua canzone « 'O
quatto 'e maggio », questi versi:
I' tenevo na bella cartuscella: avevo fatto tanto p' 'accucchià. 'A
cummesso m'ha dato 'a f urnacella e i' resto senza niente pe' mangià!...
E infilò la porta seguitando: ...Core fatto curaggio...
Armando Gill e
il raglio dell'asino
Armando Gill, l'aggraziato (così lo definì Matilde Serao)
chansonnier napoletano dal ciuffo nero, il monocolo, la marsina
irreprensibile e la voce esile ma incantevole, si produceva una sera in un
teatrino - una baracca di legno veramente - d'un paesello rivierasco del
Salernitano.
Aveva attaccato la sua canzone «Nun so' geluso», allorché si senti venire
dall'esterno il potente squillo d'un asino.
Gill fermò il suo canto e attese; ma poiché il ragliare del ciuco non
finiva, calmò con un gesto della mano gli schiamazzi del pubblico, e
improvvisò questi versi:
Non posso continuar:
Questo per me è un corruccio.
Llà fore canta 'o ciuccio
e i' nun saccio arraglià!
Armando Gill
nell'autobus
Molti anni fa Armando
Gill si trovava su un autobus affollatissimo.
Davanti a lui v'era un vecchio popolano con un ragazzetto.
Ad una fermata, alcuni viaggiatori spingevano gli altri per andare verso
l'uscita: - E' permesso?... E' permesso?... Ma ve muvite o no c'avimma
scennere!
Il vecchio diceva al ragazzetto: - Totò, cammina! - Ma Totonno non si
muoveva. Ed il vecchio: - Totò, cammina! - Ma Totonno sembrava inchiodato
li. Allora Gill prese a incitarlo con una comica cadenza nella voce:
- Jammo Totonno, cammina c"o nonno! ...Jammo Totonno, cammina c' 'o
nonno!... Jammo, Totonno, cammina c' 'o nonno!...
E Totonno si mosse!
Tenzone poetiea
tra Petrolini e Gill
Mario Mangini descrive, con fine arguzia, l'incontro avvenuto tra Ettore
Petrolini e Armando Gill, due grandi del Varietà dell'800, in un locale di
Roma.
«Una sera, nel ristorante di Alfredo alla Scrofa, don Armando conobbe
Petrolini in un'occasione alquanto singolare. Ad un tavolo egli era in
compagnia di amici, e, ad un altro tavolo poco discosto, Ettore Petrolini
con una comitiva di artisti e buontemponi. Petrolim chiama ripetutamente
il cameriere:
- A camerié... Embé... Ce volemo fa vede, sì o no?
Il cameriere, questa volta, premuroso, accorre: - Mi scusi, sor
Ettore, sono a lei. Diceva?
E sor Ettore, allora, allegro e scherzoso, gli risponde improvvisando
versi:
Quel che dicevo, caro er mio Checchino,
è che più tempo passa e più sei bullo...
T'avevo chiesto un poco de stracchino
e tu mi porti un fricassè de pollo...
Sentimi bene e spìlate l'udito:
voglio dei peperoni ben pelati,
un po' de manzo, er
tutto ben condito
da mezzo litro rosso de Frascati!...
Gill, che ha riconosciuto
Petrolini e ha udito l'ordinazione in versi, si affretta a chiamare
anch'egli: - Cameriere!...
- Comandi!
Se quel signore, da novello aedo
vi chiede le pietanze poetando,
anch'io le mie portate ve le chiedo
a modo mio, a mo' di don Armando.
Petrolini si volta di scatto, resta un attimo in silenzio, poi,
rivolgendosi a Gill, gli fa:
- Me piace, si!
E, continuando in versi:
Vediamo allor se ci sapete fare.
Qual'è quel cibo che fa più ingrassare?
E Gill:
Mio nobile vicino, voi parlate
di quelle palle?... Forse le patate?
... E dite voi: avendo la patata,
qual'è la bestia pe' n'accoppiata?
E Petrolini:
A forno la patata vale un occhio
se tu ce butti un pezzettin d'abbacchio!
Dovendo cor faciolo fa la pasta,
quale trafila è quella che non nuasta?
E Gill:
Per far dei prelibati e buon bocconi,
amico mio, ci calo i tubettoni!
- Gill?... Sei Gill, tu? - fa Petrolini alzandosi: - che te possino...!»
Nessuna meraviglia se Gill aveva voluto gareggiare con Petrolini in versi
estemporanei. Egli infatti era insuperabile nella cosiddetta
Improvvisata, con la quale chiudeva il numero in teatro. Improvvisava
- continua Mangini - cioè, lì per lì, sul ritmo di una caratteristica e
popolare cantilena, in versi facili e scorrevoli e grande abbondanza di
rime, dei veri e propri discorsi con saluti, commenti e convenevoli,
rivolgendosi a persone note e sconosciute in platea.
Di ognuno sapeva cogliere il lato comico e a tutti rivolgeva il frizzo, il
motto, la frase saporita, la punzecchiatura ironica. E in questo difficile
giuoco, nel quale molti sarebbero scivolati nella volgarità e
nell'asprezza, egli conservava sempre una misura, una sobrietà, una
correttezza e una linea elegante di autentico causeur.
Il fatto è che Armando Gill era un vero «signore».
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