Alcune storie di Gianni Pisani
NELLE SCUDERIE DI
PALAZZO REALE DI NAPOLI - MAGGIO / SETTEMBRE 1999
ECCO L'ANGELO |
DEPOSIZIONE |
LA FOGNA SOTTO LA MAGNOLIA |
IL RACCONTO ESISTENZIALE DI
GIANNI PISANI
Dl GILLO DORFLES
La scomposizione delle immagini che il cubismo, più
ancora del futurismo, ha reso familiare nella pittura occidentale del nostro secolo, è
forse la maggiore liberatrice dei capestri della riproduzione realistica, della resa
prospettica, della spazialità volumetrica. La stessa, poi, doveva subire, a partire dagli
anni 1910-1914, aspre, tormentate vicende: scomposizione astratto-geometrica,
scomposizione surreale, scomposizione espressionistica.
Di volta in volta il pittore abbandonava uno o più dei parametri del suo lavoro iconico
per ripiombare in una - volontaria o involontaria - sottomissione alle lusinghe della
figuralità. Neppure la lunga parentesi astratta è stata sufficiente a esaurire la
vicenda scompositiva. Che è raffiorata con la Pop Art attraverso un altro genere di
scomposizione; questa volta di oggetti veri e propri, di elementi inclusi nel dipinto,
come nei combine-paintings di Rayschenberg o negli assembioggi di Jim Dine, quando
la scomposizione e la ricomposizione degli oggetti diventa la principale matrice
dell'invenzione creativa
Un'artista che ha sfruttato tino in fondo questa volontà di spezzare e riamalgamare i
frammenti del proprio mondo è Gianni Pisani, noto soprattutto per la sua curiosa
produzione del periodo oggettuale (quando dal '63 al '74 aveva ideato assurdi e avvicenti
simulacri tra pop e surrealismo come: Il grande letto, La pistola, Lo credenza, Il
dondolo, Le bombole, Il miracolo di San Gennaro) ma che già molto primo era stato
protagonista di un'intensa attività di frammentazione e di ricostruzione dell'immagine
pittorica.
La vicenda Pisani ha inizio infatti già negli anni 50 con la "Crocefissione"
del '55 e il "Fumo del treno" del '57 e soprattutto con quell' "Uomo
che perde le mani" del '63 che costituisce, ancora oggi, una delle tappe più
significative del suo percorso artistico. Che anzi denuncia, per chi ne sappia
interpretare i criptici presupposti, la conflittuatità sempre presente in lui tra una
vena giocosa, ilare ed estroversa, e una molto più cupa, ansiosa, introspettiva (che del
resto quasi mai è assente dalla natura più profonda del carattere partenopeo: un
carattere - quello di Napoli e dei suoi abitanti - che spesso sfugge all'occhio del
visitatore superficiale, abbagliato dall'armoniosa felicità della natura e dall'apparente
vivacità degli abitanti; mentre invece di un carattere chiuso e cupo si tratta, dove gli
echi quasi inevitabili di antiche gloriose stagioni si sposano alla suggestione panica di
forze chtonie incontrollate, di sortilegi e malocchi).
Ecco, proprio nelle "Mani", oltre alle caratteristiche psicologiche cui
ho accennato, è evidente l'elemento scompositivo: una pittura facilmente decifrabile ma
dove appare già distrutta ogni precauzione prospettica e ogni pedanteria simmetrizzante;
una pittura che urla attraverso una tavolozza sanguigna (come sarà poi spesso anche in
seguito la sua); una pittura dove l'elemento narrativo acquista un ruolo essenziale.
Pisani (che è un antintellettuale per sua e nostra fortuna, che non è imbottito di Freud
e di Lacan, ma che ciò nonostante è una personalità di estrema e persino
morbosa sensibilità) si è sempre servito delle opere plastiche e pittoriche per rilevare
- spesso con una impudicizia contagiosa - gli intimi spasimi dei suoi confini esistentivi.
La 'Castratorietà' - non saprei come altro definirla - di questo dipinto (così bene
analizzata da Edoardo Sanguineti quando afferma: " Le mani perdute, nell'atto in cui
confessano il decorativismo anteriore, lo superano e lo copovolgono"), è una delle
costanti ricorrenti anche in opere successive come ad esempio in "Mio padre è
ingegnere mia madre è morta" del 1981 - uno dei dipinti più rivelatori di quel
periodo - dove non si estrinseca solo attraverso la effettivo perdita o amputazione d'un
arto, ma sotto aspetti più allusivi e metamorfici.
Si vedano i quadri dove riaffiora l'incubo dei "Viaggi a Catanzaro" (quando
Pisani insegnava in quell'Accademia): i Viaggi notturni, il distacco dal figlio
giovinetto ecc., anche qui è una separazione, è un'amputazione affettiva, a dare vita a
lavori che sono sempre anche autentici "racconti".
Nei lavori degli ultimi due anni - dopo la parentesi oggettuale e dopo alcune esperienze
più astratte - Pisani ha ripreso la via maestra di un suo primitivo espressionismo
ipercromatico. Ampie vampate di colori accesi alternate a zone di tela quasi acroma;
raffinati racconti a pastello carichi di onirismi; composizioni molto vaste imperniate
attorno al tema della donna, dell'amore, della conquista.
A questo punto forse alcuni cenni meritano di essere spesi ancora attorno alle serie di
pastelli Corri corri c'è la nuvola del '75. Si tratta in questo caso di una
composizione in apparenza " minore " (come fu quella delle Maniche sulla città
azione di gruppo svolto a Napoli nel 1968) ma che a mio avviso, costituisce una delle
opere più raffinote e più raggiunte da Pisani; un'opera che potrebbe avere una futura
dilatazione proprio per la caratteristica narrativa (cha Oè una delle peculiarità
dell'artista) e per la ornogeneità stilistica con cui è resa: le delicate tinteggiature
del pastello potrebbero far pensare ad idilliache situazioni fitzgeraldiane, ma rivelano
invece improvvise impennate falliche, tortuose esacerbazioni erotiche. Ma
l'erotisno, - il più delle volte esplicito e non inibito - è spesso presente (già a
partire dalla ben nota "Mano" Mormoreo dal dito penieno) e in molte altre
opere dove la presenza dell'elemento sessuomorfo è costante. Ancora qualche parola va
spesa per le ultimissime apere nelle quali Pisani affronta le grandi dimensioni e i grandi
spazi. Così la serie delle "Scale" - sia pittoriche che plastiche - si
riallaccia alla vicenda dell'inseguimento amoroso. Nelle scale in ferro il ricordo delle
antiche avventure pop è armai svanito; rimane solo la volontà di usare non
solo i mezzi pittorici ma quelli volumetrici per incarnare più saldamente un'idea. Nei
dipinti di Catanzaro la figura del protagonista curva sotto il peso della valigia e dei
suoi pensieri (Ciao Marcello, arriva il treno nero), la sagoma impedente del treno
pronto a partire, i toni nostalgici della separazione e del distacco sono raffigurati con
estrema efficacia. E, del pari, nel gruppo di dipinti dedicati a Marianna - tutti di
grande dimensione - la figura è trattata con la stessa intensità cromatica del fondo e
dei diversi settori del dipinto. Pur conservando lo sua autonomia figurativa l'opera mira
piuttosto a offrire una sorte di condenzazione atmosterica che una minuta elencazione di
dati e di dettaglio. La stessa aggiunta di scritte a lettere cubitali: "Quella
pazza di Marianna", "Alzati lo gonna", vale a precisare il
fattore contenutistico e insieme a sottolineare l'aspetto ornamentale dell'opera. Così in
"Marianna" dove sono accennate solo le mani e le gambe, una mezza luna
vagante nel cielo, o in "Tu mi hai rubato la luna" dove riappare
il motivodella luna ma questa volta accompagnato da uno scorcio lontano di casupole e
dall'inserzione d'una testa capovolta sulla figura centrale appena delineata. Dipinti,
questi ultimi, decisamente narrativi ruotanti attorno a scarni elementi simbolici (luna,
casa, volto, scarpe) ma dove emerge la qualità così accesa e insieme
trascolorante del cromatismo e l'indifferenza verso uno precisa organizzazione strutturale
delle figure. E finalmente - e si tratta forse dell'opera più drammatico e impegnativa di
quest'ultima serie - la grande composizione "Tutte le case cadevano" realizzata
dopo il micidiale terremoto dell'80 che consiste di sei pannelli giustapposti ci formare
un'unica sequenza di dati e di espressioni che si integrano e si accavallano. Le mani
protese in alto in un'invocazione senza risposta; i brandelli rettangolari di quelle che
furono case, avvolti dalle vampe' rossastre di sangue e di fuoco; gli sguardi luriferini
d'una "entità" trocchiuta; e - in mezzo a questo ipercromatismo sconvolto e
sconvolgente - il nero assoluto del pannello inferiore di destra dove si profila il ghigno
e il vortice d'una insaziabile divinità tellurica che risucchia le sue vittime in un'unica
oscura voragine...
Gianni Pisani
è nato nel 1935 a Napoli, dove vive e lavora. Titolare della cattedra di Pittura a Brera
fino all'82, insegna all'Accademia di Belle Arti di Napoli.
Caro Pisani,
ripercorrendo l'arco del suo lavoro, notavo alcuni anticipi, forse soltanto apparenti, di
quelle odierne correnti che propongono una totale specificità della pittura, ricusando
perfino di porlo sotto la categoria dell'arte; pure mi pare che emerga dal suo lavoro una
costante intenzionalità d'avanguardia e quindi un finalismo che quelle correnti
categoricamente ricusano. Sta di fatto che all'essere in sè della pittura, o alla sua
oggetlualità, si è giunti partendo dall'identificazione di quadro e oggetto che lei già
sperimentava fin dal '63, al tempo del Letto. Oggi, in sostanza, la nuova
figurazione detta "Transavanguardia" lavora ancora su un'oggettualità del
quadro, anche se, abbattendo l'ultima frontiera dell'allegoria, non si appoggia più
sull'analogica oggettualità degli oggetti.
È comprensibile il proposito di far pittura senza uscire dai limiti storici della
pittura, ma ciò non implica l'obbligo di considerare tutto il passato come so-sein e
quindi non storicamente, non in termini di valore. Lei non dissimula, anzi civilmente
dichiara, un iter dialettico che passa attraverso Klee, Chagall e Burri:
è su quei termini che intesse un discorso che ha allusioni autobiografiche e sbocca in
una dimensione fantastica. Anzi mi pare che col tempo sia andata accentuandosi la tenuta
fantastica di una narrazione che si genera, sviluppa ed esaurisce all'interno del puro
fatto pittorico e cioè di un linguaggio visivo che non ha rapporto diretto o indiretto
col linguaggio verbale.
Il fatto mi pare importante in un momento come l'attuale, in cui non si cerca un altro linguaggio
ma il nessun-linguaggio e, dopo aver negato il discorso, si passa alla negazione del
senso. E perché mai, dopo che la scienza moderna ha dimostrato che esistono non soltanto
modi di discorso ma di pensiero attraverso l'immagine, si ritorna alla vecchia tesi
dell'immaginazione come non-senso? Si risponde: perché il passato può essere solo citato
e non esperito, può esserci ricordo ma non memoria, citazione ma non evocazione. Nel suo
lavoro, invece, il passato è memoria che si dissolve in un assai colorato e movimentato
presente. E certamente ha una componente, forse addirittura una generatrice napoletana: ma
non posso dimenticare che il gran merito suo e di pochi altri artisti della sua
generazione è stato proprio quello di accedere e alimentare a Napoli una tensione
d'avanguardia, sia pure in direzioni diverse. Ecco, mi pare, come lei è arrivato su
posizioni indubbiamente attuali attraverso il superamento e non il rigetto delle idee di
storia e di valore. E come ha potuto mantenersi in bilico sulla soglia di una
figuratività contestata e mai negata. Forse il merito è anche di una tenue ironia che
impedisce al discorso fantastico di darsi come una sorta di mitizzazione. Oggi non
soltanto in pittura si vuole rimosso e degradato il valore: in molti altri campi, in tutti
si toglie via il valore perché non c'è valore senza giudizio nè giudizio senza giudizio
senza una libertà che viene brutalmente negata. Avrò torto, sarà l'effetto dell'età,
ma io seguito e seguiterò a ringraziare quanti, come lei, dimostrano di credere che il
massimo d'esistenza si raggiunga attraverso la ricerca della libertà, del giudizio, del
valore.
Roma, 20 luglio 1982
Giulio Carlo Argan
Dal Catalogo GIANNI PISANI - MOSTRA ANTOLOGICA Palazzo Dugnani, Milano, Gennaio
1983, a cura del Comune di Milano |
Deposizione 1991
Bronzo, cm.134x370x200 |