ITINERARI TURISTICI

 ITINERARIO PROCIDANO
Da Marina di Sancio a Terra Murata e dalla Chiaiolella a Vivara
 
ITINERARIO DELLA TERRA DEI GIGANTI
Da Posillipo a Nisida sino a Pozzuoli e all'oasi degli Astroni
 
ITINERARIO DEI CAMPI FLEGREI: TRA MITO E STORIA
Da Lucrino a Cuma, attraversando Baia, Bacoli, Miseno, il lago Fusaro
 
ITINERARIO DELL'AREA OCCIDENTALE
Dai Camaldoli a Marano e Quarto fino a lago Patria
 
ITINERARIO NOLANO
Da Nola a Cimitile e Marigliano
 
ITINERARIO TRA LA COSTA E LE PENDICI DEL VESUVIO
Dall'aspro cratere del Vesuvio alle ricche ville del "Miglio d'Oro"
 ITINERARIO DELL'AREA ORIENTALE
Da San Giovanni a Teduccio ad Ercolano e a Torre del Greco
 ITINERARIO ARCHEOLOGICO ALLE FALDE DEL VESUVIO
Dall'Antiquarium di Boscoreale agli scavi di Oplontis
 ITINERARIO DELLA VALLE DEI MULINI
Da Castellammare di Stabia a Gragnano e al Monte Faito
 ITINERARIO DEI MONTI LATTARI


ITINERARIO PROCIDANO
Da Marina di Sancio a Terra Murata e dalla Chiaiolella a Vivara

La passeggiata all'isola di Procida, la più piccola e meno conosciuta tra le isole partenopee, facilmente raggiungibile da Napoli e da Pozzuoli con aliscafo o traghetto, si potrà effettuare in due giorni per poter godere delle sue bellezze e avere il tempo di fare un'escursione a Vivara.

Rispetto ad Ischia e a Capri, rinomate mete turistiche sin dai tempi più antichi, Procida si presenta ancora oggi per alcuni versi un'isola da "scoprire". Geologicamente appartiene all'area flegrea che dalla zona Ovest di Napoli giunge fino a Cuma. La composizione del suolo, prevalentemente tufaceo e la conformazione delle coste, frastagliate e scoscese, ne confermano l'origine vulcanica. Resti di antiche civiltà che hanno abitato, stabilmente o solo di passaggio, l'isola si possono far risalire addirittura al XVI sec. a.C., epoca in cui i micenei avevano cominciato a stabilire una rete di collegamenti mercantili lungo le coste dell'Italia meridionale. I primi colonizzatori furono però i Calcidesi provenienti dall'isola di Eubea, quegli stessi che poi si spostarono sulla terraferma e fondarono Cuma decretando così lo spostamento dell'interesse economico mercantile dal mare alla terraferma. Dei successivi insediamenti non si hanno notizie precise fino al IX sec. d.C. quando l'isola fu soggetta alle incursioni dei saraceni. È proprio in questo periodo che s'iniziano a delineare le maggiori trasformazioni del paesaggio: le case rurali e quelle costiere furono abbandonate, e la popolazione, per sfuggire alle frequenti incursioni, si rifugiò nella parte più alta ed interna dell'isola, oggi detta Terra Murata. In età alto-medievale l'organizzazione amministrativa e politica dell'isola è retta dalla Chiesa che determina anche un nuovo assetto urbano con la suddivisione del territorio in vaste aree strettamene connesse e dipendenti dalle chiese ivi ubicate.
Dal XI secolo fino al 1339 l'isola fu feudo prima della famiglia dei da Procida, poi dei Cossa (1339-1529) ed infine dei d'Avalos (15291749). Il feudo dei da Procida non si limitava alla sola isola ma si estendeva anche a Miseno e a Monte Cumano, oggi Monte di Procida. Il più importante esponente della famiglia fu Giovanni da Procida che partecipò attivamente alle lotte tra Svevi ed Angioini: proprio in seguito alla sommossa dei Vespri Siciliani egli divenne feudatario dell'isola. Nel 1339 il feudo di Procida con l'annesso isolotto di Vivara fu acquistato da Marino Cossa, consigliere del re Roberto d'Angiò. I Cossa, esponenti della nuova "marineria di ventura", organizzarono una flotta per combattere la pirateria, ed inoltre incentivarono i traffici commerciali e la pesca. Nel 1529 il re Carlo V concesse l'isola in feudo ad Alfonso D'Avalos. Il figlio Innico, eletto abate commendatario di San Michele Arcangelo, attuò un piano di ampliamento urbano con lo scopo di fortificare e rendere più difensiva l'isola. E' a lui che si deve la fortificazione dell'antico nucleo della "Terra Casata" poi detta "Murata" e l'edificazione del Palazzo d'Avalos. Con l'avvento di Carlo di Borbone sul trono di Napoli nel 1743 l'isola di Procida si liberò dal giogo della feudalità e divenne un bene allodiale della corona: Procida fu il primo tra i siti reali creati dai Borbone. Benché l'isola sia piuttosto piccola, si estende per soli 4 Kmq, si consiglia di sostarvi almeno due giorni per aver modo di visitarla con tranquillità e godere anche della brezza marina, delle sue spiagge e degli scorci panoramici. Si potranno in tal modo effettuare tre itinerari di visita: 1) dalla Marina di Sancio a Terra Murata; 2) da Piazza Olmo a Solchiaro; 3) dalla Chiaiolella a Vivara. La Marina di Sancio Cattolico è il punto di attracco di tutti i traghetti ed aliscafi che giungono da Napoli o da Pozzuoli, ed è da qui che si aprono le principali direttrici stradali che conducono da una parte alla Terra Murata, la zona più alta dell'isola, e dall'altra alla Chiaiolella sul versante Sud-Ovest. Il primo imponente edificio che il visitatore appena giunto sull'isola, anzi ancor prima di sbarcarvi, può ammirare è il Palazzo Merlato. Risalente al XVII secolo conserva della antica struttura solo la singolare merlatura ed una piccola cappella. L'edificio che si ritiene fosse un antico convento ha subito molte trasformazioni, soprattutto nel XIX secolo quando è stato adibito a residenza privata. Dal terrazzo merlato, attraverso un sentiero tra i campi, un tempo si collegava con una torre posta nell'entroterra, l'attuale Palazzo Catena. Lungo la banchina, sulla sinistra, di fronte all'imbocco di via Libertà vi è un Crocifisso del 1845 posto su una base rivestita da maioliche colorate. Proseguendo si giunge alla chiesa di S.Maria della Pietà eretta nel 1617 dai "marinai" che ivi avevano fondato il Pio Monte dei Marinai per l'assistenza materiale e spirituale delle famiglie dei marinai. L'interno presenta una navata con cappelle laterali ed è coperto da una volta a botte; singolari sono le raffigurazioni in stucco dei quattro evangelisti nei pennacchi della cupola del presbiterio. L'originaria chiesa fu annessa, nel 1760, alla struttura attuale divenendone la sagrestia. Di fronte allo spiazzo su cui prospetta detta chiesa si imbocca via Vittorio Emanuele, detta sin dal XVI secolo il "canale" perché qui defluivano le acque dalle zone sovrastanti. Lungo questa strada si può notare che gli edifici sul lato destro sono piuttosto bassi mentre quelli a sinistra giungono fino a cinque piani. Al civico n°31 vi è il palazzo ottocentesco del vescovo d'Ischia Giuseppe Scotto D'Amante. Proseguendo si incontra la chiesa di San Leonardo, edificata alla fine del XVI secolo ed ampliata in epoca successiva, che si erge su una scala a doppia rampa. Superata appena la chiesa, al civico n°59, vi è il Palazzo Rosato (sec. XVIII) che è senz'altro l'esempio più interessante di architettura colta; un portale in piperno immette in uno stretto androne in cui prospetta una scenografica scala aperta articolata su quattro livelli, in cui è evidente il richiamo alle scale napoletane dell'architetto Sanfelice. Adagiato presso il portale d'ingresso del civico n°79 vi è un antico capitello di marmo in stile corinzio risalente al III-IV sec. d.C., tra i pochissimi resti di epoca romana trovati sull'isola. Più avanti ancora, al civico n°105, si trova l'ingresso del Palazzo Montefusco detto "della catena", che secondo la tradizione era ivi stata messa per impedirne l'entrata ai più indiscreti. Il palazzo risale al XVII secolo anche se è stato più volte ristrutturato. La strada termina in piazza della Repubblica. Ritornati alla chiesa di San Leonardo, di fronte, si imbocca via Principe Umberto, la strada che sale fino a piazza dei Martiri e da lì a Terra Murata. Lungo la salita si possono ammirare i bei palazzi neoclassici dagli ampi portali. Al centro di piazza dei Martiri vi è il monumento ad Antonio Scialoja e la chiesa di S.Maria delle Grazie edificata nel 1679. L'interno è a pianta tamburo poligonale con finestre trilobate. Di fronte vi è il Palazzo Mignano De Iorio del XVII secolo. Superato il palazzo si accede sulla sinistra al borgo del "Casale vascello". E' questa un'area con case a schiera a due o tre piani con scale esterne, che si venne così a definire intorno al XVI secolo in seguito alle incursioni saracene. Da piazza dei Martiri si prosegue salendo lungo una ripida strada fino ad un belvedere da cui si può ammirare in un sol colpo d'occhio tutta la Marina di Corricella, con le sue caratteristiche case dai colori tenui e le scale esterne a "collo di giraffa" e più oltre lo sguardo si estende fino a Punta Pizzaco e a Punta Solchiaro. Sulla sinistra invece vi è il convento di S.Margherita nuova, oggi in restauro. Continuando la salita si giunge al Palazzo d'Avalos, commissionato agli architetti G.Cavagna e B.Torelli nel 1554. L'edificio presenta una possente struttura rettangolare che segue il dislivello naturale del terreno. Il Palazzo nel 1818 fu destinato agli allievi della Scuola Militare e poi successivamente adibito a Bagno Penale. Attraverso la porta mezz'omo, di cui oggi è visibile solo parte dell'arco, ci si immette poi nella zona più alta dell'isola, una vera è propria cittadella fortificata. Di fronte si può vedere l'ex Orfanatrofio forse un tempo il Palazzo di Giovanni da Procida. Adiacente ad esso vi è l'ingresso secondario della chiesa di S.Michele Arcangelo che immette nella navata sinistra e consente l'accesso alla zona presbiteriale. La facciata principale risalente all'VIII secolo è ubicata nel lato Sud, su via Canalone. L'abbazia di San Michele Arcangelo, la cui fondazione è ipotizzabile già alla fine del VI secolo anche se notizie sicure si hanno a partire dal XI secolo, ha subito nel tempo molteplici trasformazioni. All'interno di notevole pregio si può ammirare il soffitto cassettonato al cui centro vi è un dipinto opera del pittore romano L.Garzi raffigurante "San Michele Arcangelo che scaccia Lucifero" datato 1699. Nell'abside dietro il seicentesco coro ligneo vi sono quattro tele di Nicola Russo di cui la più interessante è quella con "San Michele che protegge Procida dall'assalto dei saraceni". Benché non rientri nell'itinerario indicato si consiglia di visitare anche la Congrega dei Turchini, in via M.Scotto, dov'è conservata la settecentesca statua lignea del Cristo Morto che viene ogni anno portata in processione nel giorno del Venerdì Santo. Il secondo itinerario può cominciare da piazza Olmo, nodo centrale dell'isola da cui parte una strada che conduce alla Chiaia, un'altra conduce alla Chiaiolella ed una piccola via che giunge fino a Punta Ottimo. Da questa piazza nel periodo di Carnevale partivano i cortei in maschera che attraversavano tutta l'isola. Imboccando la prima stradina sulla sinistra si giunge alla discesa che dà accesso alla spiaggia della Chiaia, una delle più rinomate spiagge dell'isola. Proprio lungo la costa della Chiaia, secondo alcuni studiosi, doveva trovarsi la casa della Graziella descritta da A. de Lamartine nel suo romanzo. Continuando si arriva presso Punta Pizzaco, da cui ci si raccorda a via De Gasperi, strada panoramica che si affaccia su rocce coperte di arbusti, agave e fichi d'india. Al termine della strada vi è una biforcazione che conduce a sinistra verso Punta Solchiaro dove vi sono alcune ville nobiliari tra cui Villa Sabia, mentre a destra si va verso Centane, qui è l'imponente Palazzo Guarracino edificio settecentesco costruito dai Borbone come casina di caccia. Il terzo itinerario si snoda nella zona Sud-Ovest dell'isola dove vi è la Marina di Chiaiolella che, definitasi tale solo nel XVIII secolo a causa delle paludi ivi esistenti, è oggi la meta balneare più frequentata. Un lungo ponte unisce la Chiaiolella con l'isolotto di Vivara. Vivara dal 1974 è un'oasi protetta ed è sede di un Osservatorio Ornitologico Flegreo. Per poter effettuare le escursioni bisogna richiedere il permesso alla Regione Campania. Già al tempo di Carlo di Borbone Vivara era ricca di volatili e cacciagione, ed infatti il re l'aveva destinata a riserva di caccia. Superato il ponte attraverso un sentiero si giunge ad una sommità dove vi è il casale rustico eretto nel 1681 dal duca di Bovino. Da qui si attraverso vari sentieri si possono raggiungere punti panoramici. Proseguendo verso Nord-Est lungo un sentiero parallelo a quello principale si incontra un grande edificio in parte scavato nella roccia e senza copertura, detto "Cantinone" per la destinazione d'uso che probabilmente doveva avere alla fine del XVII secolo. Quasi all'ingresso dell'isola vi è un fortino napoleonico costituito da due corpi, di cui uno doveva essere l'alloggio delle truppe e l'altro un deposito. Inoltre resti ben più antichi sono stati ritrovati a Vivara: frammenti e cocci di vasi di argilla, alcuni con decorazioni a spirale risalenti all'età micenea, e poi spilloni di bronzo e scorie di fusione, che testimoniano presenza umana sull'isola intorno al XVII sec. a.C. Dal 1974 è in corso il Progetto Vivara portato avanti da un'équipe di archeologi che si occupa non solo dello scavo e recupero dei reperti fittili, ma anche del loro restauro e conservazione, e del recupero di reperti subacquei.

   

 ITINERARIO DELLA TERRA DEI GIGANTI
Da Posillipo a Nisida sino a Pozzuoli e all'oasi degli Astroni

Proponiamo come prima meta Posillipo e indichiamo quale punto di partenza del nostro percorso il Largo Sermoneta, sistemato di recente, che ospita la secentesca fontana del Sebeto realizzata da Cosimo Fanzago per il Conte di Monterey.

Questa bella fontana con schema ad arco di trionfo fu posta qui solo nel 1939, mentre la sua collocazione originaria fu in via Cesario Console. Imboccando via Posillipo si percorrerà la strada iniziata nel 1812 per volere di Gioacchino Murat. L'opera, nonostante fosse particolarmente costosa ed impegnativa per le difficoltà di esecuzione dei tagli della collina ed i numerosi ponti, fu portata a termine grazie alla nota efficienza dei tecnici e delle maestranze operanti al tempo di Murat. Con la sua realizzazione s'intendeva prolungare la passeggiata di Mergellina e collegare la città con Pozzuoli evitando l'antico percorso del colle della grotta. Quando la strada fu completata l'intera collina subì notevoli trasformazioni: essa infatti fu deturpata dalle numerose costruzioni che ne ricoprirono la costa e più in alto i fianchi, e così perse il suo carattere marino e rustico. Sul promontorio di Posillipo, infatti, l'edilizia privata trovò il luogo perfetto per costruire ville lussuose che beneficiavano dell'invidiabile posizione e della splendida vista. All'inizio di via Posillipo cattura il nostro sguardo l'antico e famoso Palazzo Donn'Anna, che all'epoca della sua costruzione, in assenza della strada, era accessibile solo dal mare. Fu Cosimo Fanzago a progettare l'edificio nel 1642, sul masso tufaceo che ospitava la dimora dei principi Carafa, per il vicerè Ramiro de Guzman e sua moglie Anna Carafa. La struttura era costituita da tre corpi di fabbrica snodati lungo il perimetro dello scoglio al cui interno si apriva un bellissimo giardino. Come abbiamo già detto non vi era accesso da terra, ma dal mare attraverso due gallerie scavate nel basamento naturale che, con scale scavate anch'esse nello scoglio, portavano ai piani superiori. Purtroppo i lavori di costruzione vennero interrotti nel 1644 e poi il terremoto del 1688 danneggiò ciò che era stato costruito. Il Palazzo fu ristrutturato solo nel Settecento e più tardi con la costruzione di via Posillipo vide sostituito il suo accesso da mare con un unico ingresso da terra. Continuando a percorrere la nostra strada vedremo dall'alto numerosissime case affacciarsi sul mare, sino ad incrociare via Ferdinando Russo da cui si raggiungono le Ville Storiche di Posillipo come Villa Rosebery (complesso di tre fabbricati immersi nel verde che dal 1957 appartiene al patrimonio immobiliare della presidenza della Repubblica) e Villa Volpicelli. Quest'ultima è una vera e propria fortezza che con le sue torri merlate occupa l'ultimo tratto di capo Posillipo. Dopo aver ammirato dalla scogliera uno straordinario panorama, risaliamo via Russo e riportiamoci su via Posillipo, che prosegue col nome di via Santo Strato, e da qui procediamo in direzione della Gaiola. É qui che troviamo i resti archeologici testimoni dell'amore che legava gli antichi Romani a questo luogo tanto ameno. É qui che riconosciamo la villa nota nell'antichità come Pausilypon, in greco "che calma il dolore", appartenuta al ricco cavaliere beneventano Vedio Pollione, scoperta nel 1842. Ciò che s'ignora, però, è se la villa fu fatta costruire proprio da Pollione o se gli fu donata da Augusto. Comunque il suo primo impianto dovrebbe risalire al I sec. a.C., più volte rimaneggiato sino al IV sec. d.C. Accanto alla villa sono ancora visibili i resti di un piccolo teatro e di un odeon in cui la scena, un tempo lignea, manca del tutto. Il nucleo archeologico di Posillipo si chiude con un'opera di eccellente architettura: la grotta di Seiano. La grotta ( I sec. a.C.) attraversa per 800 m. la collina tufacea fino a Coroglio; non è visitabile se non in occasione di particolari manifestazioni culturali o con speciali permessi. Ecco perché il visitatore sarà costretto a ripercorrere la discesa della Gaiola per raggiungere Coroglio e trovarsi dinanzi alla monumentale uscita della grotta. Poco dopo tale uscita si può sostare su una terrazza da cui si osserva un paesaggio davvero insolito: resti di archeologia industriale, una spiaggia dalla sabbia nera, l'isola di Nisida. Quest'ultima, unita alla terraferma da una diga, è un cratere vulcanico di esplosione che a Sud-Ovest si apre sul mare con il porto Paone (che prende forse nome dalla sua somiglianza con la forma della coda di un pavone). L'isola, dominata dall'edificio costruito dagli Angioini per incarcerare i ribelli, è oggi inaccessibile perchè sede di un carcere minorile. Nel corso della sua storia l'isola ha avuto diversi proprietari, solo nel 1814 fu riscattata da Gioacchino Murat che vi costruì un lazzaretto. Da qui il nostro itinerario ci invita alla vicinissima Pozzuoli, città antichissima e dalle curiosissime tradizioni, che può soddisfare anche il turista più esigente per la ricchezza di chiese e monumenti artistici, scavi archeologici, mercati e ristoranti, spazi tranquilli e panoramici, possibilità di sport marini, e infine il vivacissimo porto da cui partire per raggiungere le altre località campane. Per chi è alla ricerca di una città ricca di storia che ad ogni angolo di strada rechi traccia del suo passato Pozzuoli è il luogo ideale. E chi ha curiosità scientifiche e naturalistiche sarà senz'altro attratto dalla morfologia del territorio, il vulcanesimo passato e presente, il paesaggio e la vegetazione tanto florida e varia. Nella preziosa cornice dei Campi Flegrei Pozzuoli nasce nel 530 a.C. ad opera dei Samii che, per il loro desiderio di libertà e di legalità, le danno il nome di Dicearchìa (ovvero città della giustizia). Nel V e IV sec. a.C. viene occupata dai Sanniti sino a quando nel 338 a.C. è conquistata dai Romani e vede il suo nome mutato in Puteoli (piccoli pozzi), in riferimento alle manifestazioni vulcaniche del suolo. Sfruttandone la vantaggiosissima posizione, i nuovi abitanti fecero di Puteoli il porto militare e commerciale più importante del Mediterraneo, che rimase in vita sino al I sec. d.C., quando fu costruito il porto di Ostia. Purtroppo le strutture portuali costruite dai Romani sono oggi sommerse, essendo state trascinate in mare dal bradisismo. E' ancora visibile, invece, il cosiddetto Serapèo, ovvero il Macellum (I sec. a.C./, fulcro del polo commerciale intorno al quale fiorirono numerose arti grazie ai contatti tra le botteghe locali e gli artigiani orientali. L'edificio, detto Serapèo in seguito al rinvenimento avvenuto nel 1750 di una statua del dio Serapide il cui culto era stato importato dall'Egitto, ha una pianta quasi quadrata con una corte centrale circondata da un porticato, alle cui spalle si aprivano le botteghe dei commercianti, che sul lato orientale dà accesso ad un'edicola absidata. Al centro di questa corte vi è la tholos con fontana ottagonale. A pochi passi dal Serapèo, in via Fasano, c'è il mercato ittico. Dopo una sosta gastronomica lasciamo la zona del porto e raggiungiamo l'Anfiteatro Maggiore di Pozzuoli. Se non abbiamo l'auto possiamo prendere gli autobus P6 e P9 alla fermata di via Roma e in pochi minuti saremo dinanzi all'Anfiteatro. Nessun problema se ci siamo fermati a lungo per il pranzo, perché l'Anfiteatro Flavio è aperto al pubblico dalle 9.00 ad un'ora prima del tramonto. Durante la visita ci stupiremo per la sua grandezza: è terzo in Italia per dimensioni (dopo il Colosseo romano e l'anfiteatro capuano e poteva ospitare fino a 40.000 spettatori. I sotterranei sono ben conservati e perciò hanno permesso di comprendere bene il sistema utilizzato per sollevare le gabbie delle belve sino al piano dell'arena. A pochi minuti di cammino dall'uscita sono visibili da via Solfatara i resti dell'antico Anfiteatro Minore costruito in età repubblicana e scoperto solo nel 1915 in occasione dell'inizio dei lavori per la costruzione della ferrovia Roma-Napoli, la cui trincea ferroviaria taglia in due l'edificio. L'esistenza di due anfiteatri è per noi un'ulteriore prova dell'importanza che la città puteolana ebbe in epoca romana. Dopo aver visto dalla strada ciò che resta dell'Anfiteatro Minore proseguiamo in direzione della Solfatara (ingresso è consentito ai visitatori dalle 8.30 ad un'ora prima del tramonto), dove assisteremo ad uno spettacolo unico. Ci troviamo in una vera e propria oasi naturalistica la cui attrazione principale è il cratere formatosi circa 4000 anni fa ed ancor oggi integro. Sul posto sarà possibile chiedere di essere accompagnati alla scoperta di fenomeni come "la condensazione del vapore" o "il rimbombo del suolo", e di essere informati sulle peculiarità geologiche, botaniche e faunistiche del luogo. Dopo una simile giornata sarà il caso di decidere dove trascorrere la notte in base alle proprie esigenze e alle offerte della zona. La mattinata seguente potrà essere dedicata completamente all'escursione presso il Cratere degli Astroni. Come arrivarci? Da Pozzuoli in auto basta percorrere via Solfatara, via S.Gennaro, via Pisciarelli e giunti ad Agnano seguire le indicazioni per l'Oasi. Altrimenti prenderemo l'autobus P6 e giunti ad Agnano raggiungeremo l'Oasi a piedi in venti minuti. All'ingresso saremo accolti dai simpatici e disponibili volontari del WWF (l'oasi WWF Cratere degli Astroni è aperta al pubblico dal 25/4/92) che ci racconteranno la storia di questa Riserva Naturale sin dalle sue origini e ci guideranno lungo un percorso fatto di continue e affascinanti scoperte, ovviamente evitando di disturbare la fauna. Il vulcano risale a 3700 anni fa, sul fondo del cratere vi sono tre laghetti vulcanici e tutt'intorno una fittissima e ricchissima vegetazione. L'estensione della riserva e la straordinaria varietà di ambienti consentono al bosco di ospitare numerose specie animali. Tra i suoi abitanti c'è il moscardino, la volpe, lo sparviero, la talpa, il rampichino, la faina e il picchio rosso, simbolo dell'oasi. L'oasi degli Astroni è davvero un luogo magico che può far provare emozioni uniche; lasciamoci guidare nei sentieri e ascoltiamo le voci della natura.

   

ITINERARIO DEI CAMPI FLEGREI: TRA MITO E STORIA
Da Lucrino a Cuma, attraversando Baia, Bacoli, Miseno, il lago Fusaro

Volendo trascorrere una piacevole giornata di riposo si consiglia una visita ai Campi Flegrei, dove si va incontro a paesaggi improvvisi, ruderi, segni di antiche civiltà, frammenti di verde dolcissimo. Visitiamo quindi Lucrino, Baia, Bacoli, Miseno, il Fusaro e Cuma.

A Cuma nel 750 a.C. i greci dell'isola di Eubea (Calcidesi) dopo un primo insediamento nell'isola di Ischia, fondarono la prima colonia della Magna Grecia che ebbe un ruolo decisivo nella nascita della cultura occidentale. Il territorio, oltre ad essere caratterizzato da un'estrema ricchezza archeologica, è si reso "ardente" Campi Flegrei in greco significa campi ardenti da diverse attività vulcaniche antiche e contemporanee. Vi si trovano, infatti, antichi crateri spenti oggi occupati da una ricca vegetazione, ma anche fumarole e segni del bradisismo. Il nostro itinerario parte da Lucrino un piccolo centro vicino i alla città di Pozzuoli. Il luogo è caratterizzato da due emergenze il lago di Lucrino e la collina di Monte Nuovo (m. 134). Quest'ultima è il monte più giovane d'Europa, infatti, sebbene i Campi Flegrei siano una zona tipicamente vulcanica, ha avuto in epoca storica una sola grande eruzione quella che tra il 28 e 29 settembre 1538 ha formato il Monte Nuovo. L'eruzione, preceduta da terremoti, distrusse il villaggio termale di Tripergole; in questa zona la notte del 28 settembre 1538 si ebbe un improvviso innalzamento e rigonfiamento del suolo circa 7 metri, poi uno sprofondamento con la formazione di una voragine esplosiva. Attualmente la collina è un'oasi naturalistica visitabile, la quale presenta un paesaggio vegetale particolarmente ricco che va dalla formazione steppica lungo le pendici del cratere, alla macchia mediterranea, fino alla lecceta. All'interno del cratere si trovano le fumarole con temperature intorno ai 70°C. In cima al monte, grazie alla disposizione geografica che occupa una posizione centrale nell'ambito del golfo di Pozzuoli, è possibile distinguere procedendo in senso orario: Capo Miseno, Baia, il Lago d'Averno, il monte Gauro, le conche di Astroni e di Agnano, il Monte Spina, la Solfatara e infine l'isolotto di Nisida. Il nome di Lucrino è legato alla storia del suo omonimo lago. Il lago di Lucrino deve la sua notorietà in epoca romana, alla coltura delle ostriche realizzata dal piscicoltore Sergio Orata il cui guadagno "lucrum" fu causa del nome. Al lago di Lucrino è legata una delle più tenere leggende tramandateci da Plinio il vecchio nella sua "Naturalis Historia" dove si narra che durante l'impero di Augusto un delfino penetrò nel lago di Lucrino. Un bambino lo vide, lo chiamò Simone e cominciò a dargli, giorno dopo giorno, un po' del suo cibo. I due divennero in breve grandi amici, ogni giorno il delfino Simone aspettava il suo amichetto e dopo aver preso un po' di cibo dalle sue mani gli offriva il dorso portandolo da una parte all'altra del lago. E "quando un giorno il bambino morì per malattia il delfino torno più volte nel luogo consueto, triste e del tutto simile ad una persona afflitta; e alla fine anch'esso morì dal dispiacere". Il lago di Lucrino fu luogo mitico in quanto collegato al vicino lago d'Averno al punto da essere identificato come uno dei corsi d'acqua infernali. Infatti l'Averno è l'archetipo del mito flegreo. Un lago come punto di partenza di un viaggio fra leggenda e letteratura, esso evoca Omero e Virgilio e il culto dell'oltretomba in quanto ritenuto l'ingresso all'Ade. Era talmente forte la superstizione popolare che la gente non osava bere l'acqua di alcuna fonte vicina ai laghi perché considerata pericolosa. Nel 37 a.C. durante la guerra civile tra Ottaviano e Sesto Pompeo lo stratega Marco Vespasiano Agrippa fece costruire una grandiosa struttura portuale: il Portus Julius; collegando con un canale navigabile il lago d'Averno, il lago di Lucrino e il mare. Ricordiamo però che le dimensioni del lago di Lucrino erano diverse da quelle ridotte attuali. Il Portus Julius ebbe vita breve a causa della tendenza all'insabbiamento causata dal bradisismo, buona parte di esso è oggi infatti sommerso ma è possibile con dei battelli che partono dal porto di Baia, visitare la città sommersa. Con lo stesso battello spostandosi un po' più a Est è possibile inoltre vedere, nei pressi di punta Epitaffio, i ruderi sommersi del palazzo dell'imperatore Claudio, sprofondato sotto il livello del mare in seguito a uno dei tanti fenomeni bradisismici dal quale provengono le statue di Ulisse e molti altri personaggi dell'antica Roma. Proseguendo il nostro viaggio siamo giunti così a Baia il cui nome è legato al leggendario viaggio di Ulisse che qui ` seppellì il suo compagno Bajos; Orazio scriveva proposito di essa: "nessun  golfo nel mondo, risplende più dell'amena Baia". Approdo della potente Cuma fu il luogo flegreo più decantato e frequentato per la bellezza del paesaggio e per le sue sorgenti termali. Tutti i resti dell'antica città sono raggruppati in un vasto complesso che va sotto il nome di Parco Archeologico di Baia, scenografico per la sua particolare posizione e per le strutture che degradano dalla collina fino al mare, si presenta particolarmente articolato in quanto racchiude vari complessi di terme di età diverse. Comprende principalmente le terme di Venere, costruite al tempo dell'imperatore Adriano e le terme di Mercurio. Il porto di Baia è particolarmente suggestivo ricco di case dai colori vivaci, bar, ristorantini, e punti di ritrovo. Il piccolo porto è sempre molto frequentato e la cittadina non vive solo delle vestigia del tempo che fu, anzi è all'avanguardia nella cantieristica di porto. Inoltre, per chi vuole interessarsi alla gastronomia flegrea, proprio sulla banchina si può mangiare decisamente bene, non a caso, infatti, Baia era descritta come luogo da evitare se ci si voleva sottrarre alla "perdizione" dei vizi della gola. Qui si può avviare un pasto con "trofei" di frutti di mare crudi e cotti in tutti i modi possibili, "carrube" tipiche del mare di baia e Procida. Godibilissimo nelle sere d'estate, mangiare all'aperto alla luce dei lampioni del molo. Per i più golosi nella piazzetta di Baia proprio alla fermata della Circumflegrea e a due passi dal porto, Luigino prepara ottimi gelati artigianali seguendo vecchie ricette di famiglia. Sempre sul porto vicino ai ristorantini si alza maestoso il Tempio di Venere, un grandioso complesso termale con aula a cupola visibile dalla via principale che fa parte del parco anche se attualmente è fuori da esso. Poco più avanti del porto, in piena area archeologica, nello stesso punto nel quale Nerone impiantò delle gigantesche vasche per l'allevamento delle ostriche, esiste un impianto per la depurazione dei molluschi I.R.SVE.M. il quale continua una tradizione millenaria praticamente mai interrotta. Tale

impianto costituisce il più importante centro di depurazione di molluschi del meridione ed uno dei più grandi d'Italia. Tutto viene accompagnato da certificati sanitari. Potrete trovare svariati tipi di molluschi di provenienza locale oltre che dai paesi della comunità Europea: vongole veraci, cozze, fasolari, lupini e cannelli.

Sulla strada già domina il paesaggio, con la sua possente mole, il Castello di Baia. Situato in posizione strategica sul golfo di Pozzuoli, fu costruito su un banco tufaceo nel XV sec. per volere di Alfonso d'Aragona per difendere il golfo. Successivamente fu ampliato da don Pedro de Toledo durante il viceregno spagnolo che ne fece uno dei castelli più sicuri. Col tempo venne abbandonato il suo originario utilizzo per diventare nel 1927 un orfanotrofio militare. Da pochi anni finalmente ospita il Museo Archeologico dei Campi Flegrei che per il momento raccoglie i reperti rinvenuti nel "sacello degli augustali" a Miseno, tra i quali la statua equestre di bronzo di Domiziano-Nerva e numerosi calchi di gesso di sculture greche ritrovate a Baia. Continuando la passeggiata, dopo il castello si arriva al centro di Bacoli "il luogo delle cisterne", qui infatti, si trova la più grande cisterna romana conosciuta fino ad oggi con una capacità volumetrica di 12.600 m3 d'acqua a cui oggi si accede dalla via S. Anna. L'edificio, di età augustea, è uno spettacolo di architettura scavata nel tufo, con i suoi 48 pilastri in opera reticolata, il bacino e la maestosa copertura a botte, è di notevole effetto tanto da fargli attribuire dagli antiquari il termine di "Piscina Mirabile" con cui è nota tutt'oggi. Altre cisterne le ritroviamo nel complesso di Cento Camerelle, o "carceri di Nerone% un articolato impianto idrico appartenente ad una villa di età repubblicana, costituito da una serie di cunicoli comunicanti scavati nel tufo e non ancora del tutto esplorati, che terminano a strapiombo sul mare. La leggenda vuole che Nerone usasse le cento Camerelle per incarcerare i suoi nemici. Alla vicenda del crudele Nerone è legata anche la storia della tomba di Agrippina che in realtà è quanto rimane di una villa sul mare. La tradizione aveva identificato, erroneamente, in tale punto il sepolcro della madre di Nerone uccisa nel 59 d C. che, secondo Tacito, era stata sepolta lungo la strada per Miseno. Si tratta di una struttura costituita da tre emicicli su più livelli essendo stata un teatro trasformato poi in ninfeo ad esedra. Chi vuole visitare oggi questi servizi deve rivolgersi ad alcuni cittadini di Bacoli preposti al servizio. Una volta arrivati sul lago di Bacoli, meglio conosciuto come Maremorto si prosegue verso la spiaggia di Miseno il cui nome è legato alla leggenda omerica che qui pone il sepolcro del compagno di Ulisse trasformato poi da Virgilio nel trombettiere di Enea. Dopo essere stato porto cumano, Miseno ebbe un ruolo fondamentale nell'organizzazione militare all'epoca dell'imperatore Augusto. L'imperatore infatti, prepose alla difesa di Roma due flotte, una di stanza a Ravenna un'altra a Misenum, a quest'ultima, molto più vicina a Roma, toccava il compito di difendere l'intero Tirreno. Forte fu qui il culto dell'imperatore divinizzato dopo la sua morte, come testimonia l'esistenza dell'edificio pubblico noto come Sacello degli Augustali ad essi dedicato. Luogo caratteristico di Miseno è il piccolo porticciolo naturale, nella parte vecchia del borgo, dominato dall'alto dalla chiesetta di San Sossio, dove si può respirare l'aria tipica dei villaggi di pescatori. Oltre al Sacello degli Augustali si può visitare la grotta della Dragonara, presumibilmente parte della villa di Lucullo, la quale primeggiava tra le sontuose ville di epoca imperiale. La villa , prima appartenuta al dittatore Caio Mario, fu poi acquistata da Lucullo che qui dava i suoi sontuosi banchetti. Proseguiamo la nostra passeggiata in direzione di Cuma, sulla strada troveremo un pineta che costeggia la marina del Fusaro, il cui lago è sotto la tutela del Centro Ittico. Anche questo lago, come quasi tutti quelli dei Campi Flegrei, è coperto da un'aura infernale "1'Acherusia palus" degli antichi ; tuttavia fu coinvolto nello stesso destino "godereccio" del lago Lucrino : sulle sue sponde, infatti, sorsero ville residenziali e impianti termali, nelle sue acque furono coltivati pesci ed ostriche. Sulle acque del lago Fusaro si adagia la Casina Reale come una splendida ninfea, raffinata nella concezione architettonica, fu voluta dal Re Ferdinando IV di Borbone che incaricò per il progetto, nel 1782, l'architetto Carlo Vanvitelli.

Alle memorie della Casina sono legati personaggi quali lo Zar di Russia, il Metternich, Rossini, Mozart e Vittorio Emanuele III, tutti ospiti illustri del luogo che fu sito di caccia e pesca ma anche oasi di musica e d'arte tra le più importanti d'Europa. Lasciato il lago Fusaro eccoci giunti a Cuma. La fondazione della colonia di Cuma, nell'VIII sec. a.C., sancì lo stanziamento della genti greche sul suolo italico e l'inizio di quell'incontro di culture che farà dell'Italia meridionale la culla della civiltà occidentale. Cuma a differenza dell'emporio di Ischia era una colonia agricola. La città riuscì a dominare, inizialmente in accordo con gli Etruschi di Capua, il fertile territorio che fu poi denominato "Campania felix" ed ebbe il controllo di tutto il golfo di Napoli, allora detto golfo Cumano, fino alla punta della Campanella, stabilendo degli approdi fortificati a Miseno, Pozzuoli e Napoli. Cuma da sola riuscì a respingere l'avanzata degli Etruschi e delle genti italiche finché nel 421 a.C. cadde nelle mani dei Sanniti. Successivamente, nel 334 a.C., divenne alleata di Roma entrando a far parte della grande Compagine Romana che dominò la Campania. In età medioevale la città fu teatro della guerra greco-gotica, subendo con alterne vicende il dominio dei Bizantini o degli Ostrogoti. Infine ridotta ad un borgo fortificato fu distrutta nel 1207 dalle armate di Napoli. Nell'immaginario la città viene ricordata per il culto dell'oracolo della "Sibilla", esiste, infatti, presso i resti del monumentale Tempio di Apollo, una cisterna greca, scavata nel tufo, di sicuro fascino per l'atmosfera di mistero che si respira. Stando alla descrizione di Virgilio nel libro VI dell'Eneide, proprio in questo luogo si svolgevano gli oracoli della leggendaria sacerdotessa di Apollo. E qui il cerchio si chiude. Esiste una galleria /grotta di Cocceo) scavata nel tufo sotto il Monte Grillo che assicurava il collegamento tra Cuma e il porto militare di Lucrino (Portus Jùlius), di cui abbiamo già parlato. L'identificazione di questa grotta con quella della Sibilla Cumana, in relazione al racconto dell'Eneide virgiliana risale al medioevo ed ha trovato credito sino al 1932, quando Amedeo Maiuri portò alla luce, sull'acropoli di Cuma, quello che comunemente si ritiene il vero antro della professa. Ma in alcune notti c'è chi giura di sentire ancora all'imbocco della grotta, il respiro ansimante della Sibilla........

   

Ed. Camera di Commercio di Napoli


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