RENATO CAROSONE:
TRA POPULISMO PARTENOPEO E COMMEDIA DELL’ARTE

Il grafismo pittorico di Renato Carosone segue le linee e le curve della sua fantasia, cogliendo i fantasmi della nostra tradizione popolare e della Commedia dell’arte in piena genesi. Le opere di Carosone, che io anche se impropriamente in quadre rei in un astrattismo figurale, sono basate sull’eliminazione del dettaglio, sulla sintesi formale della superficie: una gamma coloristica limitata spesso da una linea crea la figuratività di questa essenzialità grafica che definisce la sagoma umana, l’uomo; un'immagine in cui proiettarci e riconoscerci, con cui tornare a confrontarci: è il messaggio di Carosone, il suo modo di costringerci a una riflessione, di abituarci entro una dimensione. Le linee di contorno da cui scaturisce l’immagine figurale le offre a tutti, la sua è una specie di satira di identificazione e d’affettuosa comprensione per l’uomo; infatti, per quanto abbia preso spunto dagli aspetti umoristici o patetici della realtà, non si è certo mosso per distruggere con l’arma del ridicolo, bensì piuttosto per una sorta di ricognizione celebrativa, per cui non si potrebbe immaginare rappresentazione più criticamente intelligente della figura umana. Queste figure esenti da turbamenti intellettualistici sono dei simboli legati al mondo dello spettacolo, simboli che vanno da un populismo partenopeo alla Commedia dell’arte.
Le figure di Renato Carosone non sono altro che silhouettes, ora statiche ora in movimento, satiriche o drammatiche, governate dal ritmo dello sconcertante gioco del chiaro e dello scuro, figure umane appiattite, che, proprio grazie alla loro assurda precarietà fisica, ci danno quel senso di spazialità ed una atmosfera stupita e attonitamente ironica sempre pervasa di poesia. Carosone sottolinea
con una forte intensità la gentilezza pura e la fragilità delle sue immagini irreali, le sue figure sono scondite in una tensione lirica; le forme dei volti e dei corpi sono definite da un segno grafico con vigore rapido e con acutezza psicologica. Renato Carosone mostra nei suoi quadri un ‘esigenza di essenzialità cromatica e strutturale, la sua è una pittura meditativa, che si attua poi di getto, rapidamente e senza indugi; la sua tavolozza si è ridotta per un bisogno di severità che tende a dare alla composizione una castigata compostezza tonale, e a non disperdere il discorso per concentrarlo su pochi elementi; egli ha sempre operato con fedeltà alla cultura e alla ragione, mantenendosi nell’ambito di una sorta di intimità contemplativo di fronte ai bianchi, ai marroni, ai grigi, ai neri, negli spazi creati per le sue figure.
La pittura di Renato Carosone ha un substrato disegnativo ritmato su cui si inserisce un colore piatto, scelto e accordato bene nelle sue tonalità: spesso commozione, vitalità, gioia, tristezza sono espresse con libertà immaginativa ma anche con accurato controllo; infatti egli usa una sua caratteristica costruzione a modulazione del tessuto cromatico, secondo una progressione ed una armonia spaziale; il fondo coloristico gli serve come sotto fondo evocativo che diviene poi quasi una strana surrealtà di immagini, continuamente arricchita e decantato da un sintetismo che si nutre di stati d’animo. La sua pittura, dai ritmi geometrici, è dotata di un senso metafisico e di una cristallinità scenico generata sia dalla pulizia materica, sia dal linearismo schematizzante.
Dopo un primo momento più figurativo, la maturazione pittorica di Renato Carosone è scaturita da alcune premesse che costituiscono la base per una ricerca critica impostata sullo spazio e sulla forma, vale a dire su una sintesi linguistica, nel suo caso molto tipica e rappresentativa: egli ha approfondito l’osservazione del suo mondo e di conseguenza il suo modo espressivo, operando una ulteriore sintesi delle apparenze del reale, riuscendo a sciogliere la sua pennellata e il suo colore in zone di cui respiro si apre in uno spazio fantastico meglio dominato, interiorizzando alla fine le immagini del mondo artistico.
Nascono così le proposte interpretative di visione della Commedia dell’arte, come forme dinamiche sentite come altrettante esigenze di strutture colorate, scondite do uno emozione sempre vero, scoperta ed esplicita.
Le composizioni di Renato Carosone cercano uno forma nuovo di espressione, infatti godono dei frutti di un sapiente uso degli accostamenti cromatici, ma non in funzione decorativo, bensì per una più sicuro costruzione ritmica e per realizzazione di conretezza: è così che gli spazi di uno composizione risultano distribuiti secondo uno economia tonale che sembro quasi dominato dal rigore proprio dello costruzione musicale.
Potremmo dire che il Renato Carosone musicista integro inconsciamente il Renato Carosone pittore, generando opere in cui si percepisce uno stato di malinconia e di ironia insieme, secondo cadenze e solite sinuose che sembrano seguire le volute dei blues; opere che sono le eleganti testimonianze di una squisito sensibilità fatto di partecipe attenzione al mondo dello musica e del teatro, olio vita e all’uomo.

ITALO MARUCCI

Sono un antico estimatore di Renato Carosone. Ho trascorso alcuni anni della mia giovinezza ascoltando fino a consumarli i suoi 45 giri. Ero in buona compagnia: Renzo Arbore, tanto per fare un esempio.
Mi addolorò la decisione di Carosone di sciogliere il complesso e di abbandonare l’attività. Sono stato lieto quando, agli inizi degli anni ottanta, il Maestro ha deciso di tornare in pista presentando nuovi brani, rilanciando quelli tradizionali e per nulla invecchiati dal tempo.
L’attuale occasione non riguarda però la carriera di musicista e di interprete di Renato Carosone, bensì l’altro suo «io», quello avvezzo a frequentare tavolozza e pennelli.
I quaranta quadri di questa sua mostra sono in qualche modo parenti del Carosone musicista, sono anche loro attraversati da una vena di ironia sorridente e mai irridente.
Renato Carosone non è un «pittore della domenica». È sufficiente osservare con attenzione le sue opere, per non aver dubbi in proposito. Non gliel’ho domandato, ma sono convinto che per anni la sua naturale ritrosia ha tenuto a bada, vorrei dire agli arresti domiciliari, la seconda attività. Soltanto adesso ha deciso di uscire allo scoperto e di sottoporsi all’altrui giudizio. Complimenti.

MAURIZIO COSTANZO

Classificare Renato Carosone pittore, è per me davvero un’impresa. Innanzitutto perché il sottoscritto ha con le arti figurative uno strano rapporto di diffidenza (soprattutto dovuto al suo amore per la arti tersicoree) e poi perché il mio personale "retroterra" a riguardo è affidato più che altro alla sensibilità, all’intuito, all’istinto piuttosto che alla preparazione. Però Carosone mi facilita il compito: come non notare che Renato esprime vigorosamente come vuole le sue grandi e innumerevoli esperienze, le sue vecchie e nuove frequentazioni (alcuni di questi volti sembrano ironici come quelli che amo e che ospito o invento nei miei programmi...), il suo passato di conoscitore dei personaggi che un tempo (ma anche oggi) bazzicano i locali notturni (quelli che un tempo si chiamavano "night"), sempre però visti in maniera satirica?
Al di là di tutto comunque, anche se sembra un’osservazione facile, la pittura di Renato Carosone è assolutamente musicale, ricca di ritmi, di cadenze; una suggestione peraltro dovuta a un talento istintivo che è estroso ma anche poetico. Quello che più conta nel mondo di Carosone è la sorprendente fecondissima immaginazione animata dalle cose a lui familiari; Renato sembra uno strabiliante prestigiatore" della verità, una verità che cerca di cambiare nei termini e nei contenuti secondo sue personali regole.
Così le figure carosoniane (ma quante volte ho usato questo aggettivo per definire lo spirito di una canzonetta...) esprimono un intenso sentimento interiore, non soltanto per la loro forma cromatica ma anche per quella "musicale" legata ai personaggi che Renato ama ritrarre, figure dicevo che sembrano tolte di peso dal mondo dello spettacolo, tanto da poterne identificare spesso il modello.
Su tutto, infine, domina un gusto "anni cinquanta" che in questo momento è quanto mai d’attualità, secondo la precisa intuizione dei corsi e ricorsi. Uno "spirito" che nessuno come Carosone può far rivivere e rendere di nuovo attuale.

RENZO ARBORE

COME HO COMINCIATO

Fu una sera del 1968 che mio figlio Pino si iscrisse ad un corso di disegno presso l’Accademia di Brera di Milano, e mi invitò a seguirlo. Non esitai un attimo, e mi iscrissi a mia volta. Iniziò così, dopo la musica, la seconda importante esperienza artistica della mia vita. Capii subito che pittura e musica vivono sotto le stesse leggi, e che un quadro fatto solo di colori non ha ragione di essere, così come la musica fatta soltanto di melodia conduce inevitabilmente alla noia, quindi il fattore (per me) essenziale è il ritmo, ovvero il disegno.
È su questa precisa convinzione che non ho mai abbandonato la mia ricerca di un genere figurativo che contenesse questi due elementi, e che richiamasse alla mente la mia stessa musica. Questo volevo ottenere, e sono certo di non essermi tradito. Era scritto!
Durante il mio corso di Disegno a Brera, conobbi Ermanno Andressi, pittore milanese affermato. La nostra amicizia, sempre alimentata dalla stessa passione per la pittura ci ha regalato ore di grande gioia e interesse. Dopo diversi anni, mi regalò due bellissimi torchi per stampare acqueforti e ad un amico così dico, e dirò sempre: grazie Ermanno.
Il secondo uomo-pittura incontrato sul mio cammino è Giovanni Battista De Andreis (Gibbe per gli amici). Quotato incisore-pittore che non ha bisogno di presentazione. Un ligure tenace, silenzioso, e dagli occhi penetranti, capaci di forare una lamiera. Non molto tempo fà vide i miei quadri e si complimentò, apprezzandone soprattutto lo stile, e fu un altro punto a favore, grazie Gibbe.
Pino Carosone, ingegnere e dirigente presso l’Elettronica di Roma.
Di questo mio unico figlio parlerò poco, e per reciproco pudore, ma so con certezza che, sia nel mondo dell’industria come in quello dell’arte, è degno di starci. Pino è pittore, e me lo confermò il Maestro Gino Moro quando lo vide disegnare. Non rispetta alcuna regola, e disegna direttamente col pennello con una libertà sconcertante, e questo l’ho visto fare a pochi. Del resto i suoi quadri, dei quali è gelosissimo, ne sono una valida testimonianza.
Il suo ruolo di dirigente è stato conquistato con tenacia, serietà ed amore, anche grazie alla sua lunga permanenza negli Stati Uniti d’America, e guarda caso, essendo nato sotto il segno dei gemelli, un altro grande amore minaccia il primo, e che profuma di acqua ragia: «la pittura». Questa bigamia di mio figlio mi rende orgoglioso, perché è mio figlio, ed è dalla mia parte. Grazie Pino.
Il critico d’arte Italo Marucci seppe della mia attività di pittore udendo uno dei "Maurizio Costanzo Show" di cui ero ospite per la prima volta resi nota questa mia seconda attività (seconda solo in ordine di tempo). L’interesse e lo spazio con il quale Maurizio Costanzo trattò l’argomento intervistandomi, incuriosì il Prof. Marucci che il giorno dopo mi raggiunse con una telefonata. Lusingato, nonché ansioso di fare la sua conoscenza Io invitai nel mio studio ed il nostro incontro rivelò subito quanto fossimo in perfetta sintonia, e di gusto e di pensiero.
Mi colpì particolarmente la sua enorme conoscenza in fatto di arte, conoscenza da non confondere col nozionismo di tanti, ed ascoltandolo, mi resi conto di trovarmi di fronte ad un uomo di grande competenza. Quale artista non vorrebbe trovare un regista col quale consultarsi e dividere i dubbi e le incertezze sempre presenti nel mondo dell’arte? Ebbene io l’ho trovato. Ed anche questo era scritto! Grazie Italo.

Per me è la facciata B delle cose la più interessante, il lato del viso che non vogliamo scoprire; in altre parole il «difetto».
Che io faccia musica o pittura, è il difetto la cosa da valorizzare o da mettere in risalto, tanto è stucchevole e noiosa quella perfezione che conferma la regola secondo la quale
«il meglio è nemico del bene».
Da quando in musica scoprii quanto il lato negativo del soggetto attirasse l’attenzione o l’interesse dell’ascoltatore, mi dissi: ecco la chiave! E a due passi c’era l’ironia che non tardai a rendere parte integrante del mio pentagramma.
Da un po’ di tempo pennelli e colori costituiscono la più giusta alternativa alla mia musica, ed oggi vivo un po’ sul bianco e nero del pianoforte, e un po’ sul colore dei colori.

Renato Carosone, nato a Napoli il 3 Gennaio 1920, primo di tre figli, in ordine: Renato, Olga e Ottavio, da papà Antonio e mamma Carolina. Pianista per scelta e volontà del padre. Terminati gli studi di musica classica e scritturato da una compagnia di arte varia, s’imbarca per l’Africa orientale come pianista – direttore d’orchestra all’età di 17 anni. Vi rimane per 9 anni, durante i quali incontra la donna più importante della sua vita, sua moglie Lita che gli regala un figlio adorabile, Pino. Eccetto il servizio militare durato un anno, ha sempre svolto la sua attività di musicista, suonando in gruppi diversi, sia italiani che anglo americani. Le esperienze accumulate in questi anni furono preziose ed importanti per il suo futuro di musicista, ampliando le sue conoscenze anche nel mondo dell’operetta e della rivista, dirigendo piccole e grandi orchestre, con il successo personale che tutti gli ex Italiani d’Africa ricordano. Ma l’obiettivo importante era l’Italia, infatti, terminata la guerra sbarca a Napoli, ed è finalmente la svolta da cui ricominciare.
Si fa conoscere nell’ambiente orchestrale di Roma passando da una orchestra all’altra, e nel 1949 forma il primo “Trio Carosone” con due personaggi ormai famosi e cari al pubblico. Peter Van Wood e Gegè Di Giacomo. Van Wood lascia gli amici del trio e va in America.
Carosone insieme al fedele Gegè ricostituisce il gruppo che però diventerà man mano un sestetto. Questo fu il gruppo che Carosone definì “la mia tavolozza di colori”, che portò le sue canzoni in tutto il mondo e che meriterebbe in verità più ampio spazio. Questo Catalogo rivelerà al suo pubblico un Carosone nuovo, che solleva per un attimo le mani dal bianco e nero della tastiera del pianoforte, per andare incontro ad un'altra sua grande passione, “La pittura”.


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