RAFFAELE SACCO

BIOGRAFIA
Poeta e scrittore napoletano, autore dei testi di alcune canzoni, ed in particolare di "Te voglio bene assaje", una delle più note melodie napoletane, Raffele Sacco nacque a Napoli il 14 Agosto 1787.
Bambino prodigio, a cinque anni già era in grado di ripetere a memoria una poesia ascoltata una sola volta.
Si diede poi allo studio dell'ottica, ed aprì una bottega in via Quercia (oggi via Capitelli), ma diventa noto in tutta la città come improvvisatore di versi e canzoni, al punto che viene spesso invitato a feste popolari per improvvisare rime.

Nato a Napoli il 14 agosto 1787 (morì il 20 gennaio 1872), studiò ottica e aprì una bottega (in via Ouercia, oggi via Capitelli), fu un inventore di strumenti ottici (un 'aletoscopio' che doveva servire per scoprire la falsità di bolli legali), e soprattutto un versificatore noto ai suoi tempi per la sua abilità nel comporre all'"improvviso". Si ritiene possa essere stato l'autore di una della canzoni napoletane più conosciute, tra il XIX e il XX secolo, Te voglio bene assaje, e tu non pienze a me.

 

 

Te voglio bene assaje
versi di Raffaele Sacco - musica attribuita a Gaetano Donizzetti (1835)

Pecché quanno me vide
te 'ngrife comm' a ggatto?
nenne' che t'haggio fatto
ca nun me puo' vvede'?
Io t'haggio amato tanto
e t'amo e tu lo saie:
Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a mme

La notte tutte dormono
ma io che vvuo' dormire
penzanno a nnenna mia
me sento ascevoli'
li quarte d'ora sonano
a uno, a ddoie, a ttre:
Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a mme

 Guardame 'nfaccia e vvide
 comme songo arredutto
 sicco peliento e brutto,
 nennella mia pe' tte!
 Cusuto affilo duppio
 co' tte me vedarraie
Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a mme

Quanno so' fatto cennere
tanno me chiagnarraie
sempe addimannarraje:
 "Nennillo mio addo' sta?"
la fossa mia tu arape
 e llà me truvarraie:
Io te voglio bbene assaie
e tu nun pienze a mme!

È la più celebre canzone della prima metà dell'Ottocento, insieme con "Santa Lucia" e "Fenesta ca lucive" (attribuita, quest'ultima, a Bellini). Autore dei versi fu il negoziante di ottica Sacco, la cui bottega esiste ancora, retta dai discendenti, nella vecchia Napoli.

Poeta estemporaneo, fin dall'infanzia, scrisse molte canzoni, ma nessuna ebbe il successo immediato e travolgente di questa; il merito principale fu certo della musica dolcemente persuasiva, ed orecchiabilissima, che si attribuisce a Donizzetti. Il maestro soggiornava infatti a Napoli in quel periodo ( si era nel 1835) ma non pare sicuro - mancante ogni elemento probante - che abbia composto lui la musica del Sacco, anche se l'andamento è decisamente operistico e tutto il contesto potrebbe farla attribuire al musicista bergamasco.

"Te voglio bene assaje" conquistò Napoli la sera stessa in cui - come narra il Di Giacomo - il popolo la udì dalle finestre del salotto in cui veniva eseguita per la prima volta. La cantavano tutti, se ne fecero perfino dei travestimenti religiosi, adattandovi un testo sacro; e fu lo stesso cardinale di Napoli a chiederlo, affinché la bella frase musicale, potesse servire da facile inno di Chiesa, per la sua grande popolarità.

Nacqero subito "risposte" e "repliche" in versi, finché un anonimo poeta diffuse un testo ironico: "Addio mia bella Napoli, fuggo da te lontano. Perché sì strano, tu mi dirai, perché? Perché son à stufo ormai di udir quella canzon, Te voglio bene assaje e tu nun pienze a mme!"

Questa canzone, nata a settembre diede l'avvio all'usanza di diffondere ad ogni Piedigrotta le nuove canzoni dell'anno: per la prima volta, dunque, la Festa religiosa si accresceva dell'elemento musicale, dando vita ad un connubio che addirittura fece identificare Piedigrotta con le canzoni.

 

 

 

 

 

 

 

 

Te voglio bene assaje

Anche se risale al 1200 il primo verso dialettale cantilenato (quel Jesce sole citato anche dal Boccaccio nella terza novella dell'ottava giornata del Decamerone), la nascita della canzone napoletana come forma d'arte indipendente, può indicarsi nel 1835. Risale a questa data Te voglio bene assaje, una barcarola che l'autore dei versi, l'ottico Raffaele Sacco, poeta estemporaneo, dice musicata da Gaetano Donizetti, in quel tempo a Napoli per presentare Lucia di Lammermoor. In casa di amici riunitisi per la Festa di Piedigrotta, il poeta presentò in anteprima la canzone. Dalle finestre aperte, l'orecchiabilissimo motivo fu ascoltato dai passanti in festa e ricantato per le strade. La canzone era entrata nella tradizione di Piedigrotta; la festa del 7 settembre attorno alla chiesa edificata nel 1616 in onore della Madonna presso una grotta ritenuta sacra.

 

 

 

Te voglio bene assaje

Una iscrizione in marmo immortala la canzone dell'ottico Sacco ma racconta anche un sacco di bugie: l'autore della musica non è Donizetti e l'anno di nascita non è il 1835.

Se è vero che molti dubbi sono stati sollevati - e permangono - sull'origine di antiche canzoni napoletane - Michelemmà e Fenesta ca lucive, per citare due esempi illustri - nessun dubbio sembrerebbe sussistere sulla celeberrima Te voglio bene assaje.

Una targa marmorea posta a Napoli su un negozio di Ottica in Via Domenico Capitelli, ancor oggi leggibile, detta testualmente:

Questa sua onorata bottega
Raffaele Sacco
ottico poeta
scienziato accademico inventore
allietò del canto
di
Te Voglio Bene Assaje
la prima canzone
che con le melodie di
Gaetano Donizetti
nel 1835
movendo l'estro popolare
fece della tradizionale Piedigrotta
la festa di Napoli canora
fascinosa nel mondo

Dunque, come recita la scritta, i versi di Te voglio bene assaje sono di Sacco, la musica è di Donizetti, l'anno di nascita 1835, l'occasione la festa di Piedigrotta. È così?

No che non è così. Questa targa, fatta murare dal Dopolavoro Enal di Napoli nel 1949 è un piccolo monumento di bugie, eretto su una sola verità.

Dunque, la verità è che Te voglio bene assaje è stata scritta da Raffaele Sacco. Ma chi l'ha musicata?

Che sia stato Donizetti lo aveva già asserito lo stesso paroliere (definire Sacco poeta ci sembra una forzatura). Qualcuno però ha insinuato il sospetto che l'ottimo don Rafèle (personaggio di spicco della Napoli tardo-borbonica: scienziato accademico nonché ottico reale, inventore dell'Aletoscopio, diabolico congegno in grado di individuare bolli e suggelli falsi) abbia voluto pubblicizzare la sua canzone inventandosi un apparentamento prestigioso e, perchè no, verosimile.

È vero infatti che il compositore bergamasco, tra i maggiori operisti italiani della prima metà dell'Ottocento, è di casa a Napoli. Già nel 1822 era stato ingaggiato per il San Carlo dall'impresario Barbaia. Un altro suo soggiorno si protrae dal 1824 al 1826; il più lungo dal 1828 al 1838. Durante questi anni non disdegna di comporre canzoni napoletane.

Ma che abbia composto Te voglio bene assaje è tutto da dimostrare.

Pur di fronte all'enorme successo di questa melodia, non gli passa mai per la testa di arrogarsene la paternità. Si cita - anche se a sproposito - una sua lettera del 1837, spedita all'amico messinese Spadaro Del Bosch in cui, parlando della festa di Piedigrotta per la quale ...dovrei fare dodici canzonette, al solito, per pigliarmi 20 ducati l'una... che in altri tempi le facevo mentre coceva il riso... ora la penna mi cade, ma devo far tutto ché tutto è promesso... non nomina, neanche indirettamente, Te voglio bene assaje.

A questa lettera si rifanno quelli che negano la paternità donizettiana. È chiaro - sostengono - che quella canzone non gli appartiene, altrimenti non avrebbe perso l'occasione per ricordarla all'amico. Il ragionamento non farebbe una grinza, se non fosse viziato da un errore di fondo.

Prima di dire quale sia, confermiamo: Donizetti non ha musicato Te voglio bene assaje, nè nel 1835 nè mai. La precisazione appare superflua, invece è quanto mai opportuna poiché nel 1835, malgrado le perentorie asserzioni di storici e letterati insigni - tra cui Salvatore Di Giacomo - e la successiva e già citata targa marmorea, Te voglio bene assaje non è stata nè scritta nè musicata da nessuno.

Sacco la scrive nel 1839, qualcuno (poi vedremo chi) nello stesso anno ne compone la musica. Ecco l'errore di fondo di cui sopra, per il quale lo storico Giuseppe Porcaro ha invocato la rettifica della iscrizione sull'antico negozio in via della Quercia (ribattezzata, dopo l'unità d'Italia, via Capitelli).

In proposito c'è la preziosa testimonianza di Luigi Settembrini, patriota e letterato napoletano che, nelle Ricordanze della mia vita, in cui descrive, tra l'altro, la sua prigionia nel carcere di Santa Maria Apparente (protrattasi dal maggio 1839 al gennaio1841), rievoca un curioso episodio:

...Udìi da lontano una voce di donna che cantava soavemente, e mi parve come balsamo sovra una piaga. Si trovò ad entrare il Liguoro (il carceriere) e gli domandai: Chi è che canta così bene?
È mia figlia!
E che canzone canta?
La canzone nuova: Te Voglio Bene Assaje e tu nun pienze a me. Vi piace? Ebbene, le dirò che la canti spesso...

Settembrini poi commenta:

È la canzone dell'anno. Ce ne sono di belle; questa fu tra le bellissime, ed io non posso dimenticarla. Tre cose belle furono in quell'anno: le ferrovie, l'illuminazione a gas, e Te Voglio Bene Assaje...

L'anno cui si riferisce Settembrini è il 1839.

Un'altra testimonianza sta nella Nferta pe lo Capodanno 1841 (per chiarire: la Nferta - alla lettera Offerta - è un testo che riporta i fatti salienti dell'anno e che ospita anche versi, novelle e scene teatrali), in cui il barone Zezza pubblica una sua poesia di cui trascriviamo uno stralcio illuminante:

...Da cinche mise, cànchero,
matina, juorno e ssera,
fanno sta tiritera...
Che siente addò te vuote?
Che siente addò tu vaje?
"Te voglio bene assaje
e tu nun pienze a mme!"...

Poichè questa Nferta viene stampata alla fine del 1840, il riferimento ai cinche mise (cinque mesi) diventa determinante per individuare il momento di lancio della canzone, vale a dire la Piedigrotta del 1839, e la sua diffusione nei mesi successivi.

Filippo Campanella

Te voglio bene assaje (1839) 
testo: R. Sacco musica: F. Campanella (G. Donizetti ?)

E’ una canzone che ha fatto epoca, una pietra miliare della storia della canzone napoletana. Da più parti si ritiene che essa abbia segnato la nascita della vera canzone napoletana, la canzone d’arte, per la quale si cominciarono a stampare i testi su foglietti, che venivano distribuiti da venditori ambulanti (quasi sempre gli stessi editori), le cosiddette copielle. Se ne vendettero più di 180 mila; il successo della canzone fu travolgente e se ne ebbero infinite imitazioni e parodie. Veniva cantata e fischiata in ogni angolo, in ogni via, diventando, per alcuni, una vera e propria ossessione, tanto che le cronache dell’epoca riportarono di qualche napoletano che, per timore di impazzire, fu costretto a lasciare la città.
Anche la Chiesa si interessò al fenomeno legato al successo di questa canzone, tanto che un prelato, il cardinale Riario Sforza, rimproverò, in maniera per la verità bonaria, il paroliere Sacco per il contenuto di amore profano dei versi.
Intorno a questa canzone sorsero numerose controversie, sia per la data della sua nascita che per la paternità delle musiche. La tradizione attribuisce la musica al celebre operista bergamasco Gaetano Donizetti, intenso estimatore e autore egli stesso di canzoni napoletane come: La Conocchia; Lu tradimento; Canzone marinara. Tale attribuzione fu forse dovuta al fatto che in quel periodo la canzone napoletana raggiunse, per quantità, ma soprattutto per qualità, livelli artistici inimmaginabili, coinvolgendo nella ricerca musicale autori colti come il Bellini, lo stesso Donizetti e altri.
E’ però accertato che a musicarla fu Filippo Campanella, amico e compagno di sempre del paroliere, l’ottico, l’occhialaro, Raffaele Sacco.
Te voglio bene assaje venne presentata il 7 settembre del 1839 in occasione della festa della Natività di Maria Vergine, la festa di Piedigrotta, già citata dal Boccaccio (Tempio della Madonna di Piedigrotta, protettrice dei marinai di Mergellina).
In questa canzone si parla dello stato in cui è ridotto un innamorato per un amore non corrisposto o forse per una relazione irrimediabilmente e tristemente conclusa.
Il grande successo, che la rese così popolare può far pensare, però, a un testo dal contenuto tutt’altro che così triste e melanconico. Ma a Napoli si ironizza anche sulle proprie disgrazie!

Eccone i versi.

‘Nzomma songo io lo fauzo appila sie' maestà
ca l'arta toia e' chesta lo dico mmeretà
io jastemma' vurria lo juorno ca t’amaie
i' te voglio bene assaje e tu nun pienze a me
i' te voglio bene assaje ma tu nun pienze a me.

La notte tutte dormeno e io che buo' durmi'!
Penzanno a Nenna mia mme sente ascevuli'
li quarte d'ore sonano a uno a doje a tre
i' te voglio bene assaje e tu nun pienze a me
i' te voglio bene assaje ma tu nun pienze a me.

Ricordate lo juorno che stive a me becino
e te scorreano ‘nzino le lacrime accossi'
dicisti a me non chiagnere ca tu lu mio sarraje
i' te voglio bene assaje e tu nun pienze a me
i' te voglio bene assaje ma tu nun pienze a me.

Guardame ‘nfaccia e bide comme song' arredutto
sicco peliento e brutto Nennella mia pe tte
cusuto a filo duppio co tte mme vedarraje
i' te voglio bene assaje e tu nun pienze a me
i' te voglio bene assaje ma tu nun pienze a me.

Saccio ca no vuo' scennere la grara quanno e' scuro
vattenne muro muro appojate ncuollo a mme
tu n'ommo comme a chisto addo' lo truvarraje
i' te voglio bene assaje e tu nun pienze a me
i' te voglio bene assaje ma tu nun pienze a me.

Quanno so fatto cennere tanno me chiagnarraje
sempe addimannarraje Nennillo mio addo' e'
la fossa mia tu arape e la' me truvarraje
i' te voglio bene assaje e tu nun pienze a me
i' te voglio bene assaje ma tu nun pienze a me!

 

 

Te voglio bene assaje
(R.Sacco-G.Donizetti?)

Nata quasi per scherzo, Te voglio bene assaje, resta la prima e piu' famosa canzone che fu cantata a Piedigrotta. La musica piacevole ed i versi accattivanti fecero di questa canzone una vera ossessione per i napoletani. La si canto' per anni dappertutto ed in qualsiasi momento. Nacquero rivalita' tali che alcuni autori tentarono, invano, di sminuirla pubblicamente anche attraverso altri componimenti. Roberto Sacco, ottico nella Napoli del secolo scorso, compose la canzone nel 1835 cantandola per scherzo ad una festa tra amici. La leggenda vuole che la melodia del Donizetti (fu davvero lui l'autore della musica?) ed i versi del Sacco furono cantati dal popolo la sera stessa che l'avevano ascoltata in quella festa tra amici. Persino il Clero si interesso' alla cosa e Sacco (per non inimicarsi il Cardinale Riario Sforza) compose una variante "ecclesiale". La canzone porto' grande fama a Sacco ma pochi soldi. Rimase un ottico nella sua bottega, la stessa che oggi i suoi eredi gesticono nello stesso posto.