SALVATORE PALOMBA
LA CANZONE NAPOLETANA
dalle origini a oggi
dal canto popolare ai cantautori
una esaustiva ed esauriente
storia della canzone napoletana
con il dizionario delle canzoni
i versi, i dati e le date,
i fatti e gli aneddoti
con le immagini storiche e curiose
con il dizionario degli autori
le biografie e le opere
prologo
Voglio cantare e si nun canto moro,
e si nun canto me sento murire.
Me sento fa' nu nudeco a lu core,
nisciuno amante nre lo po'sciuglire.antico canto popolare
il canto perduto
Si sentiva cantare. A
Napoli, forse fino a una trentina di anni fa, si sentiva cantare un po' da
per tutto, senza "chitarre e manduline" e senza nessun accompagnamento. Il
canto di cui parlo non era una rappresentazione a beneficio di altri, si
cantava per sé: per "sbariare", per vivere un momento di pausa, per
commuoversi o rallegrarsi, quando si era ancora inconsapevoli che cantare
può essere anche una specie di terapia contro l'ansia e la depressione.
Anch'io cantavo da ragazzo: una volta mi incantai appresso alle note di
Maria Marì e solo un improvviso e ironico applauso dei miei familiari
mi riportò sulla terra.
Da un balcone aperto o dalla strada veniva, ogni tanto, una canzone, un
ritornello, una frase: voci di gente comune, voci isolate, voci di chi
forse voleva inconsciamente placare una pena o ingentilire per un attimo
il tran tran quotidiano.
E questo non lo si può ottenere facendo andare la radio o il registratore
a tutto volume.
Accanto alla fruizione della canzone ascoltata, il cui contesto si
modificava man mano nel tempo (strada, taverna, casa nobiliare, festa di
Piedigrotta, caffè all'aperto, café chantant, ristorante, teatro, e poi
anche dischi, radio e televisione), sussisteva quest'altro rapporto, più
diretto e coinvolgente, fermo nel tempo e del tutto personale.
E come chi legge un libro interagisce con la pagina scritta, interpretando
in maniera personale fatti e personaggi, così chi canta, frugando
soprattutto nella sua memoria, contribuisce un poco a ricreare quel canto.
Così è stato forse per secoli, fino a quando la canzone ha fatto parte
della memoria collettiva dei napoletani, e quindi della loro formazione,
della loro cultura e anche della loro vita quotidiana.
I versi delle canzoni sono stati per molto tempo - così come i versetti
della Bibbia per alcuni popoli - i testi più diffusi fra i ceti popolari
e, forse, l'unica forma di poesia nota; e i motivi delle canzoni hanno
costituito per tante persone quasi le uniche musiche conosciute.
Le copielle, i famosi foglietti con i versi stampati che si vendevano a
centinaia di migliaia, erano nate per soddisfare questa esigenza di canto.
I "canzonieri" - raccolte di soli testi - si trasmettevano di generazione
in generazione, e di generazione in generazione venivano arricchite le
loro collezioni.
Nelle audizioni di Piedigrotta, alla fine dell'esecuzione di ogni nuova
canzone, entrava in scena, sostenuto da un uomo nascosto alla vista degli
spettatori, un grosso cartellone con i versi scritti in grande, affinché
il pubblico potesse leggerli e intonarli insieme al cantante, nel corso
dei numerosi bis che questi concedeva proprio per favorire l'apprendimento
delle parole e della musica.
Ci si allontanava dal teatro, continuando a canticchiare il motivo che più
ci aveva colpito, quello che era diventato già un po' nostro, e si
ricominciava a cantarlo il giorno dopo. Questo accadeva ancora intorno al
1950, durante le Piedigrotte a cui ho assistito, anche se c'era una
fiorente industria discografica, con cantanti che vendevano decine di
migliaia di dischi, e anche se le canzoni napoletane venivano trasmesse
continuamente dalla radio.
Poi, si è sentito cantare sempre meno; questo bisogno, nei napoletani,
diventati come tutti più spettatori che attori e, quindi, più ascoltatori
che "cantatori", oggi sembra quasi estinto.
Non sono più i tempi in cui si acquistavano centottantamila copielle
(numericamente circa la metà dei napoletani di allora) per "cantarsi" Te
voglio bene assale.
Non si sente quasi più cantare una voce solitaria, e l'ammuina di qualche
sorta di karaoke collettivo: «Oj vita, oj vita mia», e «Ncoppa jammo, jà»,
tanto per sfogarsi tutti insieme, è evidentemente un'altra cosa.
Ed. L'ancora del Mediterraneo - Napoli 2001
Salvatore Palomba (Napoli, 1933), saggista,
poeta e autore di canzoni. Si occupa da anni di poesia e di lingua
napoletana su cui ha scritto numerosi articoli e ha tenuto una rubrica su
"Il mattino".
Come "canzoniere" ha scritto per le ultime Piedigrotte, ha partecipato a
numerosi festival di Napoli e ha collaborato con i maggiori artisti del
settore.
Fra le sue canzoni di successo spicca Carmela, musicata e lanciata
da Sergio Bruni e considerata oramai da tutti un classico della Canzone
Napoletana.
Ha pubblicato: Parole overe (Napoli, 1975); Chisto è nu filo
d'erba e chillo è 'o mare (Napoli, 1992); Canzoni di Salvatore Di
Giacomo (Roma, 1995); Napoli parole e poesia (Napoli, 1998).
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