OMAGGIO A ENRICO CARUSO

Nell’imponente ed artistica cappella gentilizia dell’indimenticabile tenore Enrico Caruso, sita a Napoli, nel Cimitero del Pianto alla doganella. Il 2 Agosto ’99 alle ore 10,30, in occasione del 78esimo anniversario della morte di questo illustre maestro del Bel Canto, è stata celebrata una messa in suffragio, officiata dal cappellano Padre Giuseppe Garofalo.

Presenti alcuni fedelissimi del grande tenore napoletano, accorsi dai vari quartieri di Napoli, da Sorrento e, da Foggia. Durante la funzione religiosa è stata fatta ascoltare la voce registrata dell’amato "Enrico" nell’esecuzione del canto sacro del "Crucifix" di Faure.

Emozione e compiacimento nei convenuti, dandosi appuntamento ad una prossima riunione rievocativa del loro grande "Cantore", mettendo infine in evidenza l’annoso "chiacchiericcio" che si fa da parte di associazioni ed enti Locali nell’istituire a Napoli un museo Carusiano, rimasto a tutt’oggi irrealizzato – come pure il Museo della canzone Napoletana-. 78 anni fa moriva un "grande" artista lirico. Oggi alle soglie del terzo Millennio, rivive ancora il suo "mito", attraverso la sua immortale voce registrata e, dei ricordi tramandati da più generazioni, sin dal 1873, anno della sua nascita avvenuta nel quartiere popolare di "San Giovanniello"; situato tra Piazza Ottocalli e Piazza Carlo III.

Si riportano alcune epigrafi funebre, collocate presso la tomba del Maestro:

A Enrico Caruso - nel ricordo della voce che magnifica risuonò nell’incanto toscano di villa Bellosguardo da lui eletta per le serene soste dè suoi trionfi.

Lastra a Signa
Pose
Nell’anno Centenario della sua nascita.
Ass. PRO LASTRA 2 Giugno 1973.
A Enrico Caruso
Gli Italiani degli Stati Uniti
Auspice Carlo Barsotti
Direttore del Progresso Italo Americano
di NEW YORK
Agosto 1921

Breve biografia di Enrico Caruso, riportata nell’enciclopedia della canzone napoletana, scritta dal critico, poeta e cantante napoletano Ettore de Mura, il 7 dicembre del 1968:

Caruso Enrico, nato a Napoli il 25 febbraio 1873, morto a Napoli il 2 Agosto 1921.
Del più grande tenore di tutti i tempi, si può dire che la sua fiabesca carriera sia stata sempre punteggiata dalle canzoni napoletane. Dalle rotonde dei bagni alla marinella, frequentati quando era giovanissimo, povero ed apprendista meccanico a tempo perso, alle serenate dello stesso periodo; dalla frequentazione dei salotti dei quartieri popolari, all’assiduità dei primi caffè concerto; dalle timide esibizioni alla sala Romaniello, al debutto al teatro nuovo, nell’Opera San Francesco, dal lirico di Milano, alla Scala, e a Parigi, Londra, Buenos Aires, New York ove restò per circa venti anni, suscitando veri fanatismi ed accumulando ricchezze da nababbo, la vita di Caruso fu cosparsa di canzoni. Le cantava nei teatri, nei concerti, nei salotti delle grandi case; le registrò quando ancora i dischi s’incidevano attraverso un megafono, con un regolatore di velocità a mano, e a due, a quattro, o al massimo, sei per volta. A Lui si deve la diffusione all’estero di canti celebri: Torna a Surriento, Maria Marì, Marechiaro, ‘O sole mio; ed il lancio di nuove canzoni, come ‘A vucchella, Pecchè?, Core ‘ngrato, Mamma mia che vò sapè. Malgrado i successi Newyorkesi e le sue immense ricchezze accumulate, sentì sempre il fascino della terra natia, e vi tornò spesso e, dopo l’addio alle scene del dicembre 1920, per l’ascesso polmonare che lo tormentava, venne a stabilirsi a Sorrento, nel giugno del 1921. Non voleva dare l’addio alla vita e, ignorando le prescrizioni mediche, continuò ad organizzare innumerevoli scampagnate con gli amici di sempre.

Quando si aggravò, venne trasportato a Napoli, all’albergo Vesuvio, ove tutto, fu silenzio e tutti, in punta di piedi, giravano, andavano, cercando come salvare il grande tenore, che morì nella mattina di un triste 2 Agosto, dopo aver sillabato il nome della moglie, ed aver espresso il desiderio, che le sue spoglie rimanessero a Napoli.

Fernando De Lucia, nella Basilica di San Francesco di Paola, cantò per Lui la preghiera di Stradella, con voce rotta di commozione. Era presente una marea di cantanti, d’artisti e giornalisti, di popolo; e tutti manifestarono l’affetto che nutrivano per questo colosso del Bel Canto, nella cui gloriosa tradizione furono accolti, dal pubblico del Metropolitan Theatre, Giovanni Martinelli e, poi Beniamino Gigli.

Bruno Carrano

 

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