MOSTRA MERCATO DELL’ARTIGIANATO NAPOLETANO
Mostra d’Oltremare di Napoli
5-6-7 aprile 2002

Alle ore 16 del 5 Aprile 2002, Gianfranco Alois - Assessore all’industria e artigianato della Regione Campania, Nicola Oddati - Assessore allo sviluppo del Comune di Napoli, Achille Capone - Presidente Proteus, ed altri rappresentanti del settore, hanno inaugurato presso alcuni padiglioni della M. d’Oltremare, la prima mostra-mercato dell’artigianato napoletano:
ARTE FATTI E MESTIERI
L’iniziativa è stata realizzata da PROTEUS - azienda speciale istituita dalla Camera di Commercio di Napoli - con la collaborazione degli Enti Locali, e di Confartigianato, Cna, Casartigiani e Claai.
Alla rassegna promozionale hanno preso parte circa 100 aziende in rappresentanza delle oltre 30mila piccole e medie imprese, impegnate nella produzione e commercializzazione di prodotti "creati" dalla bravura di specializzati operatori di arte e mestieri del territorio provinciale Napoletano.
Gli acquirenti-visitatori si sono soffermati con molto interesse e curiosità tra gli allestiti stand, dove tra le tante esposte "firme" primeggiavano quelle dei vari Gay Odin (cioccolata), Marinella (cravatte), Chiurazzi-Setaro (fonderia artistica), Fullin-Mollica (ceramiche e porcellane di Capodimonte), Cicciotti Stefano (abiti su misura) CM gioielli (oggetti preziosi) Consorzio Napoli guanti (produzione guanti in pelle), D’Amato Marcello (lavorazione artistica del vetro) Famiani Teodoro (intarsi legno), Il fauno (lavorazione tavoli in mosaico), ‘O quatte e maggio (restauro mobili) Qui fu Napoli (mobili intarsiati) Salumificio f.lli Pezzella (produzione salumi), Sartoria Angelina (produzione abiti da sposa), Officina della Tammorra (produzione di strumenti musicali tradizionali napoletani), Piscopo Biagio (Coralli e cammei), e tante altre imprese artigianali e commerciali.
La mostra mercato in questi tre giorni di "vetrina" ha avuto un’affluenza di oltre 20.000 visitatori, con un incoraggiante interesse e un discreto riscontro di affari, ed è per questo che gli organizzatori ripropongono la manifestazione con cadenza annuale.

Bruno Carrano

Achille Capone
Presidente Proteus

La mostra-mercato dell'artigianato napoletano "Artefatti e Mestieri" e una iniziativa promossa ed organizzata da Proteus-Azienda speciale delta Camera di Commercio di Napoli con il contributo determinante dell'Ente Camerale, delta Regione Campania - Assessorato alle Attività productive, del Comune di Napoli - Assessorato all'Artigianato e Assessorato allo Sviluppo - Progetto CUORE, delta Ersva e in collaborazione con le Associazioni dell'Artigianato Confartigianato - CNA - Casartigiani - CLAAI.
A tutte le Istituzioni e alle più di cento imprese partecipanti va it nostro convinto ringraziamento.
Con questa iniziativa entra a regime l'attività di Proteus (da poco nata) in modo da realizzare gli scopi e le finalità statuarie che, essenzialmente, sono lo sviluppo dell'artigianato e delle Pmi napoletane e campane, attraverso la fornitura di specifici servizi e la promozione delle produzioni attraverso 1'offerta di adeguate opportunità.
Da tempo le Organizzazioni dell'Artigianato e alcune Istituzioni hanno promosso e valorizzato, organizzando mostre espositive legate alla città ed at suoi beni culturali e monumentali, le produzioni di fattura artigianale e di qualità, per lo più dei settori artistici e tradizionali, determinando sia una crescita quantitativa del numero di imprese e qualitativa dei prodotti stessi sia una loro maggiore visibilità sui mercati nazionali ed internazionali.
Ora con la realizzazione di "Artefatti e mestieri" si vuole compiere un vero salto di qualità. I tre giorni di mostra mercato, oltre che esporre per far conoscere, devono diventare un significativo momento di commercializzazione e di business.
Il momento e tanto significativo in quanto a Napoli mancavA una specifica vetrina dell'artigianato di produzione di qualità finalizzata alla valorizzazione dei nostri tradizionali comparti come l'oreficeria, ceramica, vetro, ferro, marmi, legatoria, arte presepiale, coralli e cammei, intarsio ligneo, abiti da sposa, e tanti altri che fanno unico il patrimonio produttivo della nostra provincia e regione.
Pertanto è essenziale farne diventare appuntamenti fissi annuali. Colmare questa lacuna significa essenzialmente offrire una nuova opportunità di visibilità e di commercializzazione alle produzioni nostrane.
In particolare l'artigianato napoletano, radicato da secoli nel tessuto urbano, è una realtà in crescita, sempre più dinamica che, non abbandonando i valori della tradizione, è pronta a rinnovarsi e ad affrontare con energia le sfide che il mercato pone. Si tratta di attività tradizionali, di antichi mestieri, ai quali si sono innestate tecniche e scelte organizzative moderne e originali.
Da qui la necessità per le nuove generazioni che subentrano di far proprie le antiche tecniche apportando il giusto tocco di novità e di diversa personalità. L'obiettivo da raggiungere per le nuove imprese è quello di collocare nuovi ed, allo stesso tempo, antichi prodotti su nuovi mercati.
Per fare ciò è indispensabile, oltre a nuove opportunità come "Artefatti e mestieri", creare in loco nuove e più rispondenti strutture come un migliore "polo fieristico" ed un impegno più specifico e coordinato delle Istituzioni preposte in modo da facilitare l'ingresso nella produzione di intere nuove generazioni e di contribuire a fare emergere le attività sommerse.
Dunque maggiore opportunità in loco di commercializzazione e nascite di nuove imprese può diventare l'impegno dei prossimi anni. In tal modo, noi crediamo, si contribuisce sostanzialmente alla crescita occupazionale e produttiva di Napoli e della Campania.

Gianfranco Alois
Assessore all'Industria e Artigianato
Regione Campania

È particolarmente intenso, per la crescita del settore artigiano, l'impegno dell'Assessore Regionale delle Attività Produttive. Il comparto è, infatti, un'importante risorsa culturale ed economica da valorizzare e sostenere.
La Regione Campania, proprio per rafforzare e accrescere la competitività del settore, sta portando avanti un programma di sostegno alle aziende, sia mediante un nuovo regime regionale di incentivi, sia mediante una capillare attività di marketing. IL nuove regime di aiuti per le imprese artigiane.
Permetterà alle aziende di scegliere, in modo alternativo o congiunto, la migliore modalità di finanziamento tra bonus fiscale, contributo in conto interessi e in conto capitale. Per potere accedere alle agevolazioni gli imprenditori presenteranno un unico modello di domanda che sarà disponibile anche su internet. Sarà, inoltre, realizzata una "guida" al finanziamento per dare la massima diffusione e conoscenza alla nuova tipologia di aiuti.
Uno strumento innovativo, dunque, particolarmente flessibile, in grado di andare incontro alle necessità di ogni singolo imprenditore del comparto e di ridurre gli adempimenti burocratici e amministrativi.
La Regione Campania è anche impegnata in una decisa attività di promozione sui mercati nazionali e stranieri. Direttamente, o al fianco delle associazioni di categoria, stiamo sviluppando un ampio processo di internazionalizzazione del settore, tramite un sistema di mercati economicamente più interessanti per il settore artigiano, tramite un sistema di incentivi e di politiche di sviluppo, così da incrementare le quote di vendite in Italia e all'Estero.
Le aziende locali hanno dimostrato una grande vitalità: sono realtà di piccole dimensioni ma con livelli di attività e produttività molto elevata. Condizioni che rendono possibile un ulteriore ampliamento delle quote di mercato in ambito locale, nazionale e internazionale. Un traguardo raggiungibile anche grazie all'alta qualità e alla tradizione delle nostre produzioni artigianali, fortemente legate alla storia e al patrimonio culturale della Campania. Ne sono una testimonianza l'antica arte della lavorazione del corallo, della ceramica e delle porcellane, del vetro, l'abilità dei maestri orafi. Differenti attività che rendono ricco e vario l'intero comparto e che possono trasformare Napoli in Capitale dell'Artigianato.

Nicola Oddati
Assessore allo Sviluppo
Comune di Napoli

Il progetto C.U.O.R.E. rappresenta per quest'amministrazione un'iniziativa di grande significato per le notevoli ricadute di sviluppo e di emersione che a partire dal gennaio del 1999 - momento iniziale di questo intervento a favore delle periferie nord, est ed ovest della città - si sono manifestate nelle aree interessate.
La prima fase di ricerca - con la conseguente capillare interazione con le attività produttive di questi quartieri - e successivamente la fase operativa - con l'apertura dei Centri Urbani Operativi per la Riqualificazione Economica a Secondigliano, Barra e Soccavo a partire dal febbraio 2001 - hanno prodotto risultati interessanti: vi è stata una vera e propria riscoperta di queste zone periferiche che hanno finalmente mostrato il loro vero volto economico e produttivo svelando un vivace tessuto di attività.
La vivacità delle imprese, sommerse e "bianche", ha messo in mostra un potenziale di sviluppo che attraverso i C.U.O.R.E. si è cercato di portare pienamente alla luce. Molte aziende, superando decenni di diffidenza verso le Istituzioni, hanno acquisito piena fiducia nell'iniziativa, rapportandosi ai Centri in maniera via via più amplificata, superando tramite questi situazioni di difficoltà e manifestando voglia di crescere e volontà di superare condizioni di immersione più o meno marcate. Tuttavia, pur in presenza di situazioni talvolta inaspettate di eccellenza, il tessuto manifatturiero, per vicende storiche e per debolezze attuali, presenta alcune criticità nell'ambito di alcune delicate fasi della gestione aziendale, che ne frenano il pieno decollo. Tra queste problematiche spicca quella relativa alla scarsa visibilità dei produttori e degli artigiani locali nei mercati di sbocco, sia nelle aree di riferimento sia, soprattutto, in nuove fasce territoriali di mercato da conquistare. Le forme di "marketing" utilizzate dalle piccole e medie imprese di queste aree sono piuttosto limitate e non consentono una penetrazione adeguata nei mercati, pur in presenza di alcune produzioni di rilievo dal punto di vista qualitativo o artistico, spesso sottovalutate dagli stessi imprenditori. La rimozione di tali ostacoli potrebbe favorire una maggiore crescita del tessuto manifatturiero locale, con inevitabili ricadute occupazionali e reddituali nelle zone interessate che presentano un'imprenditorialità ed una manovalanza residente, per lo più, nei territori in oggetto.
Osservata da questo punto di vista, la possibilità offerta a questa Amministrazione ed in particolare al Progetto C.U.O.R.E. di partecipare ad una manifestazione espositiva di grande prestigio per la valorizzazione delle produzioni artigiane quale "ARTEfatti e MESTIERI" assume un notevole significato per due aspetti prevalenti: da un lato, la possibilità di creare una vetrina per le imprese di qualità localizzate in questi quartieri; dall'altro, il significato "premiante" che la partecipazione a quest'iniziativa può rappresentare per quelle attività particolarmente "virtuose" che hanno collaborato in maniera fattiva con il Progetto ed hanno scelto di intraprendere percorsi di crescita e di sviluppo con l'ausilio dei C.U.O.R.E..
Il mio personale auspicio è che tale evento possa rappresentare un ulteriore volano per l'economia dell'area e per lo stesso Progetto, realizzando un significativo effetto trascinamento nei confronti di tutte quelle attività produttive ancora non pienamente convinte delle opportunità offerte dal "nuovo corso" che l'Amministrazione Comunale di Napoli ha scelto di intraprendere per le sue periferie.
Sotto tale aspettativa non posso che rimarcare la ferma intenzione di voler replicare tale partecipazione in altri momenti, con il coinvolgimento di un numero sempre maggiore di aziende, che possano divenire, in maniera evidente, il fiore all'occhiello dell'economia cittadina.

GAY ODIN

L'anno è così corposo di eventi per la storia d'Italia, e così sconvolgente per tutto quello che ne seguirà, che anche gli allergici alle date non fanno fatica a ricordarlo.
1922. Da Napoli è in marcia l'avventura fascista. AI teatro San Carlo la borghesia si stringe intorno a Mussolini, difensore della legalità e restauratore dell'ordine. Tra la folla plaudente c'è Benedetto Croce.
Donna Matilde Serao spasima per un Nobel che non verrà. Le novecentomila lire o poco più del Premio servono soprattutto a sollevare le dissestate finanze de Il Giorno e a rendere meno incerto lo stipendio di quelli che vi lavorano. La Duse, sessantaquattro anni, malata e in difficoltà economiche, rifiuta la pensione per meriti artistici che il governo fascista le offre. A Napoli, dove l'attrice ha appena concluso una fortunata stagione, la notizia fa il giro dei salotti.
1922. La bell'époque si è dissolta ai primi colpi della Grande Berta. E' passata una stagione irripetibile, ma sono in pochi a rendersene conto. Lungo la Villa comunale il trottoir è solo un ricordo, e così il bel mondo che lo frequentava. Prima la guerra, poi la lunga crisi, l'inflazione, l'ondata di scioperi e di disordini hanno lasciato un segno profondo. E i nuovi ricchi non vanno a cavallo.
Sopravvivono i caffè, ma gli habitués di un tempo si sono dispersi. Anche lo scambio di visite a giorni fissi, fra la gente-bene, le famose periodiche con pasticcini, pettegolezzi e musica vanno scomparendo.
Bovio rapisce i napoletani sui versi di Silenzio cantatore, ma il dramma dell'emigrazione continua a trovare la sua voce in Santa Lucia luntana di E.A. Mario.
1922. Nasce a Napoli la prima fabbrica di cioccolato. L'evento pub indurre a pensare che sino ad allora da noi circolasse solo un prodotto importato, ma non è così. A parte qualche buona pasticceria con annessa lavorazione di cioccolato, Caflish aveva messo su un laboratorio al vico Berio, di fronte alla Galleria. Poche braccia, sufficienti a soddisfare una richiesta piuttosto elitaria.
Sul finire del secolo, un certo Isidoro Odin, cioccolatiere ad Alba, in provincia di Cuneo, era calato a Napoli e aveva aperto bottega in via Chiaia.
Qualcosa a mezza strada fra un laboratorio e un negozio di vendita, ma con una fisionomia assai spiccata e una scelta di cioccolatini così varia che in breve fermarsi da Odin entra a far parte del rituale della passeggiata. Qualche assaggio, e poi il piacere del sacchetto con l'assortimento per quei golosoni a casa.
La fortuna del piemontese comincia da qui. Il giovanotto ha avuto fiuto e conosce bene il mestiere. Viene da una terra di antica tradizione dolciaria, dove già qualche famiglia come i Ferrero ha posto le premesse per futuri imperi. Il lavoro non manca, è vero, ma è quello dipendente, con spazi ben delimitati e soprattutto anonimo. E Isidoro Odin vuole invece un laboratorio suo, dove dar sfogo a certe dolci alchimie alle quali si dedica in tutta segretezza, appena può e nei giorni di festa.
Sul grande esempio svizzero, la lavorazione del cioccolato sembra non offrire più piste da esplorare, e invece i rapporti fra gli ingredienti, il vario utilizzo della cannella e di altri aromi, l'impasto e i tempi di tostatura possono riservare ancora molte sorprese.
La sperimentazione sempre più appassionata e gli esiti ai quali il giovane perviene, specie per quanto riguarda i ripieni per cioccolatini, lo spingono prima del previsto alla grande avventura.
Che cosa lo porti a Napoli, resta però un mistero. L'ipotesi più convincente è che, escluse Torino e Milano, piuttosto vicine ad Alba e già conquistate, non c'è che Roma o Napoli come grandi centri. E qui Odin deve aver fatto un bel pò di confronti fra le due città, e riflettuto parecchio prima di scegliere, ma alla fine non ha dubbi. Una valigia, qualche migliaio di lire e un biglietto di terza classe per Napoli.
La città lo affascina a prima vista. La folla, che ai primi del secolo anima Toledo sino a notte alta, resterà sempre tra i suoi ricordi più vivi. E Odin il suo laboratorio lo vuole qui, tra negozi di moda, caffè, sartorie. Pensa che il cioccolato debba trovare spazio e vivere fra le altre voluttà.
L'ambiente è piuttosto piccolo, ma in cambio l'ubicazione è felicissima: all'inizio di via Chiaia, prospiciente Largo Carolina. Nel raggio di pochi metri il top della città: il Gambrinus, il Circolo dell'Unione e l'Artistico, le due basiliche di S. Francesco di Paola e di S. Ferdinando, la Galleria Umberto, la Prefettura, il Palazzo reale, il teatro San Carlo.
Isidoro Odin subisce di certo il peso di tanta storia, perché la sua bottega nasce discreta, all'insegna del fleury, arredata con gusto sicuro e tanto rispetto per i monumenti vicini. Ne è prova il fatto che, circa un secolo dopo, essa costituisce un compiuto esempio di quella architettura d'interni dei primi del Novecento, perfettamente conservata nella sua integrità, tanto da essere annoverata fra i Locali Storici d'Italia.
La bottega piace subito, e il cioccolato ancora di più. Ma costa, e questo fatalmente seleziona il pubblico. Basta però che intorno a mezzogiorno si diffonda da via Chiaia a Piazza S. Ferdinando quell'odore intenso di cioccolato tostato, perché anche il passante meno goloso si ritrovi dinanzi al bancone di Odin.
Il piemontese si è fatta una fama, e non c'è cerimonia, ricorrenza o invito che non registri l'omaggio dei suoi cioccolatini. Così al primo negozio si aggiungono gli altri due di via Toledo, e poi, nel '22, la fabbrica.
E qui diciamo subito che mai termine è stato usato con tanta improprietà. L'edificio a cinque piani costruito in via Vetriera (dei quali il terzo riservato ad abitazioni) non ha niente che possa suggerire l'immagine della fabbrica Intanto perché è nel cuore della città, a pochi metri dal palazzo del principe d'Avalos, e quasi a ridosso di via Dei Mille, dove negli anni Venti gareggiano a prendere casa l'ultima nobiltà borbonica e la migliore borghesia E poi per il carattere della lavorazione, le poche attrezzature che vi trovano posto, il tipo di prodotto. Per cui è probabile che la scelta del termine traduca un momento di vanità, più che giustificata, di Isidoro Odin, visto che a Napoli non c'era manifattura di cioccolato in grado di dar lavoro ad oltre cento persone. Questo senza contare che Odin viene da quel Piemonte, già con aspirazioni industriali negli anni di Cavour, dove mettere su fabbrica significava passare di colpo in un'altra fascia sociale.
Ma l'edificio di via Vetriera non è il solo fatto nuovo. Cambia anche la ragione sociale, che diventa Gay-Odin, e con essa nasce quella carta da confezione ormai codificata: . caratteri di sapore liberty e stampa in blu di Prussia.
Odin ha preso in moglie Onorina Gay, sua compaesana e collaboratrice, e gli è parso giusto affiancare in ditta i due cognomi. Tutto qui. Con buona pace anche per i problemi di pronuncia, visto che la tendenza ad attribuire una matrice inglese al primo nome e una francese al secondo è piuttosto diffusa. Il tiro a due è un ulteriore impulso per l'azienda, che ormai non ha concorrenti. La conseguenza è che la richiesta cresce, e con essa il numero dei negozi in città: sette, nel secondo dopoguerra.
A parte la bontà e la freschezza del prodotto, Onorina e Isidoro, ovvero i signori Gay-Odin, hanno con il cioccolato un rapporto che non ha confronti: è la loro storia, la loro cultura, fa parte di quell'entroterra di aspirazioni che tanti anni addietro li ha spinti da Alba a Napoli.
E sarà soprattutto la volontà di mantenere in vita tutto questo, il motivo che li spingerà, alle soglie degli anni Sessanta, a passare la mano a Giulio Castaldi. L'operazione avviene in sordina, ed è così priva di riflessi esteriori che, a parte i collaboratori più stretti, nessuno ha modo di rendersene conto.
E in effetti non è cambiato niente. E' solo uscita di scena un'anziana coppia, per la quale oltre mezzo secolo di vita napoletana non era bastato a corrompere l'originario accento piemontese.
Non indurre in tentazione, recitano i precetti sacri. E invece è proprio quello che Gay-Odin fa da circa un secolo, con il conforto di un famoso paradosso di Oscar Wilde, secondo il quale l'unica maniera per vincere una tentazione è quella di cederle.
Ho fatto l'esperienza, e bisogna dire che funziona, a patto però che si lascino subito questi ambienti, dove anche il tufo delle pareti sembra trasudare cioccolato.
In una medesima cornice, attestati e riconoscimenti sovrapposti, medaglie. d'oro vinte in qualche lontana esposizione, poche foto d'epoca e mobilio fin de siécle.
L'unica nota stonata in questa vecchia manifattura con le sue belle macchine da archeologia industriale, è data dalla presenza di un telefono, che in verità ha il buon gusto di non squillare. Isidoro Odin non avrebbe difficoltà, al buio, a trovare il vecchio interruttore di porcellana sullo stipite della porta. E frugando nell'assortimento non stenterebbe a riconoscere la continuità degli antichi criteri di lavorazione. I quali sono rimasti del tutto artigianali, non solo per fedeltà ad una scelta, ma perché è il solo modo per differenziare nettamente i prodotti della Gay-Odin da quelli di origine industriale.
Le confezioni vistose e cellofanate qui non esistono. I cioccolatini vengono ancora presentati senza la stagnola di protezione e trasferiti a cucchiaiate nel classico sacchetto di carta o nella scatola. V iene a porsi così un tipo di approccio diretto e sensuale, che passa dalla vista alle mani e consente di sentire la materia di cui è fatto il prodotto. E' una sfida all'assaggio e al conseguente giudizio del cliente: una prova che può essere superata solo dalla freschezza del manufatto, indispensabile per questo tipo di lavorazione.
Certo il cioccolato può risultare non tirato a lucido come quello industriale, ma è la prova che è lavorato a mano, che non presenta alcun tipo di conservante e che nasce giorno per giorno dal mestiere sapiente di una ventina di addetti, in prevalenza donne.
La Gay-Odin produce infatti solo quello che può essere assorbito dai suoi negozi, e ha sempre lasciato cadere qualunque richiesta per una distribuzione in esclusiva in altre città. E' la sola regola che consente un attento e diretto controllo della produzione ed evita quelle giacenze che fanno fatalmente scadere la qualità del cioccolato.
Credo di saperne abbastanza; ma indugio ancora. Il fatto è che mi piace trattenermi in questo, ambiente dall'odore forte e dai caratteri così estranei al nostro tempo.
La cortesia di Giuseppe Maglietta m'informa del cioccolato Foresta: «E' una lavorazione al latte che riproduce l'andamento di una corteccia d'albero. Una scoperta, si può dire, del tutto casuale, che ci ha dato tuttavia un ulteriore titolo di distinzione».
E questi? «Sono Cicocì. Un nome di fantasia. Sono ripieni di crema di cioccolato al latte e impolverati esternamente di cacao. Insieme ai Nudi sono tra i cioccolatini più tipici della Gay-Odin. Ma li assaggi...».
Ci risiamo. Non indurre in tentazione, e mi affretto a salutare. Appena fuori lancio un ultimo sguardo alla facciata dell'edificio. Le due grandi palme si levano solenni e invadenti contro i fregi umbertini. La costruzione ha una sua compiuta eleganza e quel pizzico di vetustà che la rende preziosa.
Ma quale fabbrica! Meno male che Odin si accontentò del nome.

Nino D'Antonio

 


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