MASSIMO TROISI
CUORE D'ARTISTA

27 marzo/19 aprile
ACCADEMIA DI BELLE ARTI DI NAPOLI
Via Bellini, 36 - Via Santa Maria di Costantinopoli, 104

Ingresso libero
orari: dal lunedì al venerdì 9,00/17,00
sabato 9,00/13,00 - domenica chiuso
realizzazione: Rsb comunicazione, www.rsb-it.com

Cuore d'artista
di Alessandro Masi

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Soli come una vecchia coppia di amanti ad un tavolo di ristorante. Uno di fronte all'altro come due innamorati, con gli sguardi ripieni uno dell'altro, semplici come mai ti aspetteresti due grandi divi del cinema, colti all'improvviso, così conobbi per la prima volta Massimo Troisi e Marcello Mastroianni insieme nell'estate del 1988 sul set di "Splendor" di Ettore Scola.
Con Umberto Mastroianni, il più grande scultore italiano del dopoguerra, zio di Marcello, andavo ad un incontro ad Arpino, città natale di Cicerone e della dinastia Mastroianni (dello straordinario disegnatore Alberto, del montatore Ruggiero, di Domenico, dello scultore Umberto e .... dell'indimenticabile Marcello), per discutere la costituzione di un museo, museo che fu realizzato soltanto qualche anno più tardi.
L'idea era quella di passare a trovare Marcello per scattare qualche foto insieme da pubblicare per il futuro catalogo. Sapevamo che Marcello quel giorno sarebbe rimasto a pranzo ad Arpino per continuare le riprese del film, sfruttando la luce di quelle splendide giornate di inizio estate. "Zi' Umbè!" fu l'affettuosa esclamazione di meraviglia di Marcello nel vederci. Umbè', una parola, un suono: lo zio e il nipote, il sangue improvviso riattivato nella lingua, in un incontro inatteso, la Ciociaria.
Distante, discreto, sorseggiando del vino,Troisi rimase in silenzio, avvolto in quell'aria di ragazzo di provincia un po' timida e un po' ironica, ci guardava come chi guarda dall'esterno un incontro, come chi sa che quel momento è un momento per due e non c'è spazio per altri. Come sempre capita i terzi si incrociano, si fiutano, solidarizzano, ammiccano. Fu così che mi ritrovai a parlare con Massimo Troisi. E così continuò per i giorni successivi.
Di Marcello ne avevo sentito parlare tanto nei racconti dello zio Umberto. Di questo incredibile artista sapevo della sua semplicità, dell'umiltà che circondava il suo fare, del suo essere uomo prima ancora che attore. Di Troisi no. Fu un colpo trovano lì, davanti a me, a tu per tu. Io giovane critico d'arte, lui più semplicemente Troisi!, il mito dei miei anni di liceo, dei pomeriggi al cinema a credere che anche attraverso quelle risate qualcosa sarebbe cambiato, una "risata che vi seppellirà" come si leggeva sui muri dell'università, una risata amara poi ripiegata dalla storia successiva. L'Italia raccontata da Troisi è l'Italia della mia generazione, di coloro che tra gli anni '70 e '80 hanno fantasticato sulla possibilità di vedere final mente qualcosa di nuovo pur non rinunciando all'ironia e al giusto distacco dalla cronaca dei giorni. Quella rappresentata da Troisi è stata una ideaità, un modo d'essere che è stato anche quello di gran parte dei giovani della mia generazione, che non hanno ceduto al mondo fàlsato dalle ideologie estreme della politica, nè si sono lasciati distruggere dal disimpegno della droga. Una generazione che ha difeso la "propria" normalità, una normalità sconvolgente, così normale da essere spesso anche paradossale.
Io non so come verrà giudicato il suo lavoro dalla critica cinematografica dei prossimi anni, nè come la storia del cinema collocherà questa caleidoscopica figura di artista, ricca di umanità, di verità, di intelligenza, di pathos, maschera universale e caratteristica di un tempo senza tempo e di un passato che non finira mai.
Come storico dell'arte posso dire di sapere, però, come l'icona di quest'uomo sia entrata nell'immaginario di tutti noi preservando dolcemente per ciascuno una fetta di memoria passata e una fetta di memoria recente. Nel volto scavato di Troisi si sono raccolte le pieghe e le incongruenze della tragedia e delle commedia in un gioco complesso di rimandi che nulla ha a che vedere con l'accademia o con la finzione per la finzione. La sua immagine si è sempre ripetuta perché è stata sempre distante da se stessa. La realtà prefigurata nei suoi film, penso a quelli dove il racconto si avvicina di più alla storia realistica della nostra vita come in "Ricomincio da tre", è stata l'apertura di un sipario di verità soffiate dentro il vetro dell'ironia. Vera era quell'Italia popolata da giovani di provincia e di città, non uniformati nell'eschimo o nelle magliette Lacoste, ma giovani normali, che indossano maglie della salute, che vivono in interni con camere da letto con mobili normali, con padri, madri e fratelli problematici forse, ma non improbabili. Le case di Napoli che lasciava Troisi si scontravano con quelle già un po' alternative di Firenze, con telefoni e suppellettili mai visti, vissute da donne moderne indipendenti, perfino un po troppe spregiudicate nei sentimenti.
troisi2.jpg (38174 byte)Chi dimenticherà mai la scena del letto e delle scarpe, quando terrorizzato dalla paura del puzzo di piedi rincorre i probabili odori che avrebbe potuto anche sentire la sua donna? Una scena esemplare da laboratorio di antropologia umana! Due modelli culturali che si incontrano e si mcmciano che si scontrano e si confrontano come tutti modelli umani che Troisi ci ha proposto fino al "Postino" quando la forza semplice dell'umile incontra quella grande dell'artista.
E tra questi due estremi l'odiato luogo comune borghese, quel perbenismo tutto italiano slanciato - proprio in quegli anni - a distruggere l'identità di un popolo d'origine nobile e contadina nello stesso tempo, vissuto in Terra di Lavoro accanto a meraviglie d'arte ed ora incrinato dall'avanzante consumismo.
"Napoletano? Allora sei emigrante" gli chiedono nelle sceneggiature i suoi occasionali interlocutori, sancendo il crescente divario nel paese tra l'opulento nord e il sempre più povero sud della penisola. Battute sentite per strada, reali, giocate sul piano dell'arte sul filo di una amara ironia che diverrà sempre più amara quando negli anni successivi questa di~renza si mostrerà in un concreto e odioso razzismo anumeridionalista.
Tuttavia la sua Italia resta ancora popolata da eroi buoni, eroi capaci di riscattare in un solo colpo tutte le miserie e il disagio di una condizione di umiltà, di fatica, di stenti. La sua Napoli è la Napoli dello scudetto di Maradona, dell'orgoglio partenopeo. E la Napoli di Pino Daniele, di Lucio Amelio, di Andy Warhol, di Joseph Beuys, crocevia di culture diverse e di nuove sperimentazioni, città laboratorio, città museo, città di suoni e di profumi diversi. Subito dopo il terribile sisma che colpì la Campania nel 1980, il gallerista Amelio propose a tutti gli artisti italiani e stranieri di realizzare un'opera che ricordasse quella tngedia "Terrae motus" è il titolo che ancora oggi tiene unite tutte quelle preziose testimonianze testimonianze che allora rappresentarono anche la speranza di una rinascita imminente, la via d'uscita per una città morsa dalla fame, dal crimine ed infine anche dalla furia degli elementi.
Nell'immaginario collettivo - dunque - Massimo Troisi ha rappresentato tutto ciò e certamente molto altro ancora. La sua immagine ha impersonato quello che in arte, in ordine ad una sintesi semantica, si può leggere anche come una stratificazione secolare sovrapposta in significati e stili. C'è, infàtti, una possibilità di interpretare secondo una metodologia critica, un Troisi archeologico, classico e via via sempre più moderno fino ad arrivare ad una ultima fase, in cui all'evanescenza della forma scavata dal male, corrisponde una soavità lirica che in altri pochi artisti contemporanei è rintracciabile. Come per un'opera d'arte, così pure per la sua figura il tempo ha piegato i significati intensificando i valori estetici a partire dall'arcaico e primigenio "sorriso" della "smorfia" (che in archeologia corrispoiìde più o meno ad una fase enigmatica della forma del viso delle statue dei templi) fino ad arrivare ad una concettualità complessa dell'ultimo film, rinflata da un minimalismo del gesto e dei segni del corpo (body art!), capaci, da soli, in piena autonomia artistica, di colloquiare con lo spettatore. "È il pubblico che si espone all'opera d'arte e non viceversa" ha scritto un altro grande artista, Gino De Dominicis. Un assioma che calza perfettamente nell'interpretazione dell'opera-Troisi per quella caratteristica capacità di donare allo spettatore una strumentazione critica dell'interpretazione da farlo sentire futuristicamente "al centro del quadro". E se Totò ha giocato con la parola come una tavola "parolibera" di Marinetti o surreale come Duchamp, Massimo Troisi ha fatto del proprio corpo, della propria gestualità, del suo volto una tavola complessa di rimandi proprio come in certi sperimentalismi comportamentali della ricerca di avanguardia degli anni '60 e '70. Alcune sue scene, in cui l'introspezione mette alla berlina una particolare psicologia dell'uomo moderno, non sarebbero state possibili senza i precedenti letterari e artistici contemporanei in cui la lacerazione della coscienza conquista il primo piano della scena dell'arte fino a diventarne unica protagonista. Il titolo programmatico "Ricomincio da tre" è paradossalmente accostabile alla "tabula rasa" di Schifano, quando dal 1960 la sua pittura riporta l'immagine al grado zero oppure all'Azimuth suggestivo di Castellani, al bianco di Piero Manzoni o all'assoluto re-inizio dei blu di Klein. Molte, forse anche troppe, potrebbero essere le tangenze rintracciabili tra l'arte di Troisi e la storia dell'arte più vicina a noi, a quella più vicina alle nostre passioni, alle passioni del cuore.
Ma i cuori - ahimè - si spezzano, si frantumano, si incendiano. Imbevuti di passione possono tracimare. Sensibili alla cruda realtà delle cose possono soffrire fino a giungere alla fine e con il cessare del loro battere ha termine anche il battere della vita.Tuttavia quello d'artista ha una caratteristica che altri non hanno e che, per magia, lo rende immortale, brillante, luminoso proprio come quello dipinto non a caso, da un altro interprete degli anni felici della pop art che è Enrico Manera*: sintesi grafica che raccoglie in un solo battito tutta una esistenza, tutti i volti di quella esistenza... e forse qualcosa in più che solo gli artisti sanno vedere.

*Autore dell'opera "Cuore d'Artista" riprodotta in copertina e dll'immagine del manifesto pubblicitario

 

"Massimo Troisi - Cuore d'artista" è una iniziativa editoriale collegata alla mostra che il cinema italiano dedica alla vicenda artistica e umana dell'artista scomparso nel 1994. Il volume, che per la ricostruzione storica si avvale delle testimonianze dirette di Rosaria Troisi, Roberto Perpignani, Antonio Siciliano, Enzo Decaro, è stato curato dal regista e studioso del cinema Maurizio Graziosi.

All'interno contributi di Alessandro Masi e Rosaria Troisi, poesie di Roberto Benigni e Vincenzo Mollica, opere grafiche di Bruna, Borselli, Cemak Ciantini, Cicarè, Delucchi, Espositio, Giannelli, Krancic, Sagramola, Totam, Virgì.

Il materiale fotografico è stato messo a disposizione da: Associazione Le... Ali di San Giorgio a Cremano, famiglia Troisi, Cecchi Gori Grup, Associazione Lido degli Aranci di Grottammare.

L'opera "Cuore d'artista" ed i manifesti della mostra sono stati realizzati dal maestro Enrico Manera.

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