San Carminiello
ai Mannesi, è un sito tutt'oggi visitabile, ed è un esempio di architettura tra
le più antiche di Neapolis, che risale all'età greco-romana ovvero tra la fine
del I sec. a C. ed il II sec. d.C. Mentre la chiesa è stata distrutta dopo i
bombardamenti americani della Seconda Guerra Mondiale. Al suo interno c'è un
complesso termale collocato su più livelli, comprensivo di grotte e piani
inferiori, ed ha anche conosciuto diverse fasi decorative come dimostra un
rilievo del Dio Mitra dell'età imperiale. Comprende anche tre vasche con diverse
temperature: il frigidarium, il tiepidarium ed il calidarium.
Questo sito archeologico inoltre, è stato abbandonato per molti anni, ed essendo
in uno dei luoghi più nascosti di Napoli, tutt'ora, alcune persone non ne
conoscono I'esistenza. Uno dei motivi più importanti per cui è stato
abbandonato, è perche alcune zone erano pericolanti. Adesso il complesso è stato
"ritrovato" e alcuni ragazzi dell'università di fianco al complesso, hanno
introdotto dei lavori, per cui si sono scoperte molte cose in più, e quegli
stessi studenti, hanno introdotto degli scavi anche a Cuma, dove hanno ritrovato
anche lì molte cose interessanti.
B.M.Gattola - 1^F
SAN
CARMINIELLO AI MANNESI
(M.K.Gargiulo
- G.Lattanzi -
M.Mauro -
M.Rajola -
S.Scafuri)
Ubicazione
Nel pieno centro
storico a Napoli, tra case e balconi, lenzuola stese al sole e clacson
strombazzanti di auto nel traffico, sorge l’antico complesso termale di San
Carminiello ai Mannesi, ad Est di via Duomo ed all’interno dell'isolato
delimitato a Nord da via Tribunali ed a Sud da via San Biagio dei Librai. Una
prima chiesa venne eretta in un periodo imprecisato dell'Alto Medioevo la quale
venne inglobata nella chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi nel corso del
XVI secolo. Mentre il diminutivo Carminiello fu usato per le dimensioni
modeste della chiesa, il toponimo "Mannesi" si riferisce invece a tutta l'area,
nella quale lavoravano soprattutto costruttori e riparatori di carri.
Storia
Una prima chiesa
venne eretta in un periodo imprecisato dell'Alto Medioevo la quale venne
inglobata nella chiesa di Santa Maria del Carmine ai Mannesi nel corso del XVI
secolo. Mentre il diminutivo Carminiello fu usato per le dimensioni modeste
della chiesa, il toponimo "Mannesi" si riferisce invece a tutta l'area, nella
quale lavoravano soprattutto costruttori e riparatori di carri. Il tempio venne
raso al suolo durante un'incursione aerea del 1943; dalle macerie si è scoperto
che i muri ed il fondo della chiesa nascondevano i resti di un grosso edificio
di epoca romana, dell'estensione di un'intera insula compresa tra il Decumano
maggiore e il Decumano minore. Il vasto ritrovamento archeologico ha
preso il nome di Complesso di Carminiello ai Mannesi.
Esterni
Il lungo muro
che si trova all’entrata costituiva la facciata dell’edifico lungo lo stenopos,
che divideva le due insulae di Carminiello ai Mannesi. E’ costituito in
calcestruzzo con una cortina di tufelli, reticolato e laterizi ed è tagliato da
una serie di aperture ubicate nella parte alta degli ambienti sottostanti.
Attraverso una scala è possibile accedere al livello superiore i cui ambienti
sono meno conservati.
Interni
Il complesso si
sviluppa su tre livelli: livello superiore, livello inferiore e sotterraneo.
Per il livello inferiore sono stati identificati 29 ambienti che coprono
un’estensione di circa 700 mq. Il livello superiore copre circa la metà
dell’area occupata dal livello inferiore. Gli ambienti sotterranei invece
comprendono una serie di spazi adibiti probabilmente a magazzino. il piano
inferiore appare concepito per ospitare ambienti di servizio che probabilmente
si sviluppavano intorno ad una grande sala rettangolare affrescata. Un piccolo
complesso termale occupò la parte meridionale dell’edificio. Al piano superiore
si è identificata una grossa vasca rivestito di signino ed una vaschetta con
fontana centrale a gradini. Al piano inferiore due degli ambienti furono
adibiti a Mitreo.
Osservazioni
La cosa più
bella che abbiamo visto è stato l’immenso giardino che poi portava agli ambienti
interni di cui abbiamo visto questo impianto termale, non molto grande ma
affascinante. E la cosa più interessante sono stati i resti della chiesa posta
proprio ad sopra del complesso. Ci hanno anche spiegato molto
approfonditamente come era stato costruito il lungo muro all’entrata e ci è
sembrata molto interessante la tecnica utilizzata. San Carminiello ai Mannesi è
un complesso molto interessante e speriamo di tornarci al più presto.
LE
TECNICHE DI COSTRUZIONE
(M.Aiello - A.Crispino - R.De Vita - E.Laghi - L.Stanziola)
Murature
L'opera reticolata (opus
reticulatum o reticolatum) è una tecnica edilizia romana tramite cui si realizza
il paramento di un muro in opera cementizia. A Roma e nei dintorni fu utilizzata
soprattutto a partire dalla prima metà del I secolo a.C. ("opera quasi
reticolata") e in epoca augustea. Anche dopo l'introduzione dell'opera laterizia
se ne continuò l'uso ancora nella seconda metà del II secolo d.C., con
ammorsamenti in mattoni sugli spigoli (opera mista o opus mixtum).
Inizialmente consistette
in una variante dell'opera incerta più evoluta, nella quale le pietre che
formavano il paramento del muro venivano preparate prima della messa in opera a
forma irregolarmente piramidale a base quadrata e disposte quindi con la base in
vista, mentre la punta affondava nel cementizio. La disposizione veniva a creare
un irregolare reticolo diagonale sulla superficie della parete ("opera quasi
reticolata"). Successivamente furono utilizzati cubilia (o più impropriamente
"tufelli") con base quadrata perfettamente regolare e assolutamente uniformi,
che venivano disposti in file regolari con i lati a 45° rispetto alla linea
orizzontale. I lati dei cubilia erano separati da un leggero strato di malta:
dopo la realizzazione del paramento sulle due facce del muro, veniva colato
all'interno il cementizio che ne costituiva la struttura e la costruzione
procedeva a strati successivi. La forma piramidale dei cubilia con la punta
rivolta verso l'interno faceva sì che la coesione tra la massa del cementizio e
dei blocchi del paramento fosse molto resistente avendo una grande superficie di
appoggio per il legante.
L'effetto finale sulla parete era quello di creare
un reticolo regolare disposto in diagonale. Normalmente il paramento veniva
quindi rivestito da intonaco, ma in alcuni casi (esempi in opera mista ad Ostia
antica, dove la vicinanza al mare rendeva poco durevole l'intonaco applicato
sulle pareti esterne) se ne sfruttarono anche le proprietà decorative,
alternando file di cubilia in tufo (giallastro o rossastro) e in selce nerastra.
Archi e
Volte
Andremo adesso ad analizzare le
caratteristiche del sistema spingente che si concretizza nella costruzione degli
arti e delle volte, i vari studi compiuti nel tempo hanno permesso di precisare
che i romani non inventarono il sistema spingente, in particolare l'arco, ma
avrebbero assimilato questa tecnica costruttiva da altre civiltà che si erano
sviluppate poco prima o che si erano sviluppate contestualmente nel bacino del
Mediterraneo; tra queste civiltà la prima era quella degli etruschi, di cui non
abbiamo reperti architettonici così vasti, però sappiamo che già al loro
iniziarono a realizzare delle opere, dove il sistema spingente ed in particolare
l'arco assumeva una notevole importanza, questo sapere se era probabilmente
trasferito ai romani durante il secondo periodo regio, quando i re erano
etruschi. I romani iniziarono a sperimentare l'arco per risolvere delle esigenze
di carattere pratico, però poi hanno trasformato l'arco ed il sistema voltato
nella base del loro linguaggio espressivo e nel loro linguaggio della
composizione dello spazio (il sistema ad arco diventa una sorta di alfabeto, in
particolare il sistema dell'arco inquadrato dall'ordine architettonico).
Naturalmente i romani non arrivarono subito alla formalizzazione dell'arco come
le intendiamo oggi ma attraverso tutta una serie di tentativi per dare una
soluzione ad un problema, ovvero dell'esecuzione di una bucatura all'interno di
una muratura; inizialmente si trattava di esperimenti che utilizzavano ancora il
sistema trilitico, cioè non sono presenti delle forze spingenti o se ci sono son
modeste e lavora per gravità (molto simili al sistema del tesoro di Atreo a
Micene). La prima cosa che si nota degli esempi che trattano il vero sistema
spingente è la progressiva razionalizzazione della disposizione delle pietre e
come viene tagliata la pietra, infatti i prolungamenti delle superfici di
contatto fra conici si incontrano più o meno tutte in un punto, che corrisponde
al centro di una semi circonferenza (in questo caso si dice che i conci sono
radiali, perché è come se seguissero il raggio); nella sostanza strutturale
questa disposizione degli aspetti fondamentali. Abbiamo studiato il sistema
trilitico, formato da due elementi portanti ed uno portato, premesso che il
masso portato deve auto sostenersi (nel senso che non si deve spezzare sotto il
suo stesso peso), troviamo una reazione dei piedritti che va a controbilanciare
il peso del architrave (come lo chiamo si tratta di forze tutte verticali); il
limite di questa struttura però è la distanza tra un sostegno e l'altro
(l’interasse o luce), perché inevitabilmente i blocchi tendono a rompersi per
effetto del loro stesso peso. I greci puntarono sempre su questo sistema
probabilmente perché lo pensavano di più perfetto tra tutti; i romani invece
avevano tutt'altra mentalità in quanto erano soliti assimilare i saperi dalle
altre culture e arrivano alla soluzione dell'arco, innanzitutto per superare il
limite della distanza tra un appoggio e l'altro, infatti proprio per effetto
della geometria di questa struttura il suo modo di scaricare il peso a terra
sarà diverso rispetto al caso precedente, questo si può vedere disegnando la
forza peso (che non è altro che un vettore tangente alla linea curva dell’arco),
che naturalmente posso vedere come risultante di due interazioni perpendicolare
tra loro, una orizzontale e l’altra verticale (applicando la regola del
parallelogramma),naturalmente più vicino siamo al concio di chiave più la
componente orizzontale aumenta. Possiamo constatare che un sistema del genere
permette di deviare parte del carico della struttura anche sulle parti laterali
della muratura, con un vantaggio immediato, ovvero quello di ampliare la luce.
Inizialmente il sistema dell'arco era formato da una serie di conci che radiali
(che per quanto riguarda i romani formavano l'arco a tutto sesto), in seguito la
struttura si evolse ed anche per questo tipo di costruzione venne utilizzato il
conglomerato cementizio, versando l’opus caementicium al di sopra di una
cassaforma (una struttura provvisoria), che poi veniva tolta, per mostrare la
struttura vera e propria.
Anche l’arco ha una sua
nomenclatura particolare (che viene riassunta nell’immagine), la superficie che
noi possiamo osservare quando ci troviamo sotto l’arco è chiamata superficie o
linea di intradosso, mentre la linea esterna si chiama linea o superficie di
estradosso (o più semplicemente estradosso); l’arco per essere retto deve avere
dei piedritti o delle spalle (se si parla di spalla di solito si indica che il
muro continua dopo il piedritto); l’arco inizia sulla linea di imposta, se ci
troviamo di fronte ad un arco in blocchi di pietra ogni blocco si chiama concio;
l’arco poi può essere estradossato (cioè la linea curva dell’arco non va ad
interagire con la tessitura muraria) oppure estradossato legato ai filari (dove
i conci sono sagomati in maniera tale da trovare un collegamento con la
muratura); infine somiero o peduccio è il nome che viene dato al primo concio
sopra la linea d’imposta.
Naturalmente il concio più
importante è la chiave, ovvero l’ultimo concio che viene messo in opera e quello
che permette all’arco di funzionare sulla base del principio che abbiamo
spiegato. Tuttavia è necessario che siano soddisfatte delle condizioni affinché
un arco stia in piedi, infatti esiste il problema del terzo medio (ipotizzando
di dividere il piedritto in tre parti uguali il terzo medio è 1:3 che sta a
metà). Come possiamo osservare anche dall'immagine la risultante somma tra la
forza che esercita l'arco sul piedritto nel punto d’imposta e la forza peso
dello stesso piedritto, in caso case all'interno del terzo medio mentre
nell'altro caso sono; dal punto di vista strutturale naturalmente la soluzione
giusta (affinché l'arco non crolli) è quella in cui la risultante si trova
all'interno del terzo medio, altrimenti si potrebbero verificare degli effetti
di apertura dell'arco e di instabilità generale che andrebbero compromettere
l'intera struttura.
Uno punto particolarmente
fragile dell’arco è quello che viene chiamato reni dell’arco, che non sono altro
che delle superfici che si trovano all'incirca a 30° rispetto al piano di
imposta, questo è il punto particolarmente fragile perché se i materiali non
sono disposti in modo adeguato e se anche la quantità di materiali non è
sufficiente possono verificarsi delle fratture che vanno a determinare la caduta
dell'arco. I romani trovarono una serie di soluzioni che verranno (in altri
modi) applicate anche dai costruttori successivi (come nell'architettura
romanica e in quella gotica), in particolare si realizzano dei setti murari che
raggiungono un livello, in termini di gradi, superiore a quello delle reni. È
consueto anche trovare nei resti romani delle aperture con una apertura
orizzontale, in realtà quando ci troviamo di fronte ad una muratura in opus
testacium e con i mattoni della copertura che sono disposti quasi verticalmente,
ci troviamo di fronte ad un sistema spingente che si chiama piattabanda.
Funziona nello stesso modo in cui io trasporto una serie di libri, ovvero
comprimendo alle estremità, questo rende il sistema a piattabanda un vero
sistema spingente. Il nome che i vari archi hanno deriva dal rapporto che esiste
tra il raggio che forma la curvatura della volta e la distanza tra il piano
d’imposta e la chiave dell’arco (che si chiama freccia). Per quanto riguarda i
romani utilizzarono prevalentemente l'arco a tutto sesto e per quanto riguarda
le volte, utilizzarono prevalentemente la volta a botte e la volta.
LA DOMUS ROMANA
(D.Arpaia - D.Gaeta - J.Pizzo - P.Quirino - N.Vinciguerra)
La Storia
Sviluppatasi durante il periodo
di splendore dell’antica Roma, la
Domus è una delle tipologie di abitazione romana, di cui ancora oggi
possiamo ammirare meravigliosi resti. Destinate alle ricche famiglie romane, le
Domus erano singole case private, in genere di un piano e si contrapponevano
alle Insulae, le
fatiscenti e poco confortevoli palazzine riservate alle classi povere della
società e destinate alla coabitazione di un cospicuo numero di famiglie plebee.
Da quelle situate a Roma, come la Domus
Flavia e la Domus
Augustana, a quelle che si sono conservate nel resto d’Italia, ad
esempio la Domus dell’Ortaglia a
Brescia. Le Domus romane possono essere classificate tra i resti di epoca romana
più belli a noi giunti.
La
Struttura
Come era strutturata
la Domus romana? Osservando le foto, vi sarete di certo accorti che
queste abitazioni hanno tra di loro più di un tratto in comune. Questo è dovuto
al fatto che le Domus romane venivano costruite seguendo, a linee generali, uno
schema comune. Realizzate in mattoni o calcestruzzo, le Domus
contavano due accessi:
un’entrata esterna, l’ostium, che si affacciava
sulla strada e che, tramite un corridoio denominato vestibulum,
portava ad un cortile dotato di lucernario, e l’atrium,
l’ingresso principale della Domus, situato proprio in questo cortile. L’uscita
posteriore era invece denominata porticum.
Le stanze
della Domus
Dall’atrium, spesso di forma
rettangolare, si poteva quindi accedere alle diverse stanze della Domus romana:
la più importante era il tablinum, una sala in cui il padrone di casa era solito
ricevere visitatori, clienti, amici. Oltre allo studio e alla biblioteca del
signore, quest’ala comprendeva il solarium e, soprattutto, l’oecus, un’ampia
sala destinata ai banchetti delle occasioni solenni. Arredato con immagini degli
antenati ed oggetti di lusso, il tablinum era il nucleo della Domus. Intorno
all’atrium erano inoltre disposte le camere da letto, i cubicola, mentre accanto
al tablinum si apriva il triclinium, la sala da pranzo dove la famiglia era
solita bere e mangiare sdraiata sui letti, e il larario, la stanza dedicata alla
preghiera e al Culto degli dèi. Si è detto in precedenza che la casa era formata
da due grandi aree al cui centro vi erano l'Atrium e il Peristylium: A) nella
parte anteriore della casa, al cui centro vi era l'atrio (Atrium), erano esposte
le immagini degli antenati, le statue dei Lari, deiMani e dei Penati protettori
della casa, della famiglia e di altre divinita', le opere d'arte, gli oggetti di
lusso e altri segni di nobilta' o di ricchezza; qui il padrone di casa riceveva
visitatori e clienti, soci e alleati politici; B) nella parte posteriore della
casa, al cui centro vi era il peristilio (peristylium), si svolgeva di solito la
vita privata della famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus),
che poteva anche essere circondato da un portico a colonne (porticus) e ornato
da statue, marmi e fontane, dove affacciavano le camere da letto (i cubicola)
padronali. Ma vediamo, come in un viaggio immaginario di duemila anni indietro
nel tempo, cosa avrebbe visto un visitatore dell'epoca che entrava in una domus
romana: l'entrata principale si trovava generalmente su uno dei due lati piu'
corti della casa e si affacciava quasi anonimamente sulla strada, ad evidenziare
quel volersi distaccare dal "caos" delle vie e il non voler essere troppo
d'invito per i ladri. La porta era costituita da un alto portone in legno a due
battenti con grosse borchie in bronzo; al centro di ogni battente non era raro
trovare raffigurata la testa, anch'essa in bronzo, di un lupo che stringeva in
bocca un grande anello da usare come batacchio, cosi' come non era raro trovare
nelle ville (specie quelle di Pompei) per terra un mosaico con la figura di un
cane minaccioso e con la scritta "Cave canem", attenti al cane: erano in tanti
nell'Impero romano ad aver fatto questa scelta, considerato che ladri e
postulanti erano un problema non secondario. Esternamente la domus romana aveva
un aspetto rigoroso, lineare, e, se c'erano, poche e strette finestre poste in
alto sulla strada (questo per evitare che dall'esterno potessero entrare rumori
o, peggio ancora, ladri), aperte regolarmente nella muratura esterna, che era
spessa e rozza. Il soffitto era a cassettoni (lacunari) intarsiati o decorati
con stucchi. Il pavimento era ricoperto da mosaici. Le domus romane erano,
spazio permettendo nelle citta' (vedi Roma, per esempio), grandi e spaziose,
areate ed igieniche, fornite di bagni e latrine, dotate di acqua corrente, calda
e fredda, riscaldate d'inverno da un riscaldamento centrale (gli ipocausti,
complessi dispositivi che facevano passare correnti d'aria calda sotto i
pavimenti), vetri colorati e decorazioni con mosaici, affreschi variopinti e
statue, erano abitazioni volte a soddisfare i bisogni dei loro inquilini,
abbinandovi bellezza ed estetica, tanto da poter essere considerate forse, e non
a torto, le piu' comode che siano state costruite fino al XX secolo. Logicamente
il numero e l'ampiezza degli ambienti e dei giardini, l'arredamento e la
decorazione delle stanze variavano a seconda dell'età (repubblicana, imperiale,
ecc.) e della ricchezza del proprietario. Comunque i vari ambienti erano tutti
disposti intorno a due aree centrali aperte da cui ricevevano aria e luce. Non
va dimenticato che nelle domus romane, nonostante fossero per ricchi, non erano
presenti mobili, ma solamente piccoli armadi a muro (armarium) e bauli usati per
riporvi i vestiti, i triclinium, e i letti (cubicula); pertanto, le decorazioni
alle pareti presenti in abbondanza miravano ad arricchire lo spoglio ambiente.
Lo splendore della casa quindi si notava principalmente dalla qualità di marmi,
statue, e affreschi parietali. Da ricordare comunque tra l'arredo, le sedie,
delle quali si conoscono molti tipi, come la sella o seggiola senza schienale,
la sedia con schienale e braccioli (cathedra) e la sedia con un sedile lungo (longa).
L'esedra (exedra), era un grande ambiente di ricevimento, utilizzato anche per
banchetti e cene, con pavimenti in mosaico e pareti ricoperte di affreschi e
marmi colorati. Il peristilio (peristylium) consisteva in un giardino (Hortus)
in cui crescevano con ordine ed armonia erbe e fiori, con sentieri, aiuole (e a
volte piccoli labirinti), sapientemente curati dal giardiniere che spesso le
sagomava a forma di animali; era circondato su ogni lato da un portico
(Porticus) generalmente a due piani, sostenuto da colonne: il tutto arricchito
da numerose opere d'arte, ornamenti marmorei, da affreschi, statue, fontane e
oggetti in marmo (vasi, tavoli e panche). Era la zona più luminosa, e spesso una
delle più sontuose. Nel peristilio non era raro trovare anche una piscina.
Era qui, nella
parte posteriore della casa, che si svolgeva di solito la vita privata della
famiglia, tutta raccolta intorno ad un giardino ben curato (Hortus). Ai lati
sinistro e destro dell'atrium si aprivano i cubicula (al singolare cubiculum),
le piccole e buie camere da letto simili a delle cellette senza finestre alla
cui illuminazione provvedevano soltanto delle deboli lucerne che poco
evidenziano quei capolavori di affreschi o di mosaici che spesso decoravano
queste stanze, e le alae, due ambienti di disimpegno aperti. Accanto
all'atrio era sempre presente il lararium dove si tenevano le statue dei Lari e
dei Penati, protettori della casa e della famiglia, e dei Mani, per la
venerazione delle anime dei trapassati. Inizialmente, accanto ad essi, veniva
alimentato un fuoco sacro, che non doveva mai spegnersi, pena l'ira degli dei.
L'impluvio svolgeva anche la funzione di contribuire a rendere più luminosa e
bella la casa, riflettendo la luce solare e l'azzurro del cielo.
LA CASA DEL FAUNO
In Campania ci sono molti siti
archeologici tra cui uno dei più famosi nel mondo quello di POMPEI. A Pompei ci
sono molte domus Romane e quella più grande e forse anche quella più importante
è quella del Fauno.
Una prima costruzione della casa risale al III secolo a.C.,
di dimensioni ridotte rispetto a quella attuale e caratterizzata da una grande
orto, sfruttando anche altre abitazioni vicine ed alzando di circa un metro il
piano di calpestio, la casa fu totalmente ricostruita ed ampliata, raggiungendo
un'estensione di 2970 metri quadrati. Una delle opere principali fu la
costruzione di un secondo peristilio: la scelta di avere una casa con ampi atri
e peristili e pochi ambienti servili e abitativi è da ricondursi al fatto che il
proprietario aveva la necessità di ostentare la propria ricchezza ed il proprio
potere. Nel I secolo fu risistemata la zona del bagno e dei servizi. Sepolta
dall'eruzione del Vesuvio nel 79, fu esplorata a partire dall'inizio del XIX
secolo, offrendo una grande varietà di decorazioni in primo stile, di tipo
ellenistico, caratterizzate da numerosi mosaici, asportati per preservarne la
conservazione e custoditi al museo archeologico nazionale di Napoli.
Entrando per il
porticato in pietra di tufo si arriva nel vestibolo. Il pavimento è in
travertino poi all’atrio dove al centro è posto l’impluvium - che qui è
realizzato in travertino e non in tufo, com’era consueto - all’interno del quale
fu ritrovato un satiro danzante. L’edificio ha due giardini con peristilio e due
atri, finemente decorati con affreschi in primo stile. I pavimenti son degli
stupendi mosaici, tra cui famosissimo quello dell’esedra che raffigura la
battaglia tra Dario e Alessandro (ora custodito al Museo Archeologico Nazionale
di Napoli).
LE
TERME ROMANE
(D.De
Girolamo - G.Nappi - M.Persichetti - N.Pizzo - S.Saggese)
Le terme romane erano degli
edifici pubblici con degli impianti che oggi chiameremmo igienico-sanitari. Sono
i precursori degli impianti odierni e rappresentavano uno dei principali luoghi
di ritrovo durante l'antica Roma, a partire dal II secolo a.C.. Alle terme
poteva avere accesso quasi chiunque, anche i più poveri, in quanto in molti
stabilimenti l'entrata era gratuita o quasi. Le numerose terme erano un luogo di
socializzazione, di relax e di sviluppo di attività vive per uomini e donne che,
in spazi ed orari separati, facevano il bagno completamente nudi. Le prime terme
nacquero in luoghi dove era possibile sfruttare le sorgenti naturali di acque
calde o dotate di particolari doti curative. Col tempo, soprattutto in età
imperiale, si diffusero anche dentro le città, grazie allo sviluppo di tecniche
di riscaldamento delle acque sempre più evolute. Al riscaldamento dell'acqua
provvedevano i focolari sotterranei che diffondevano aria calda dagli ipocausti,
gli spazi sottostanti alle pavimentazioni sospese (suspensùra) dei vani da
riscaldare. Esse erano veri e propri monumenti o addirittura piccole città
all'interno della città stessa, esistevano due classi di terme, una più povera
destinata alla plebe, e una più fastosa destinata ai patrizi. Lo sviluppo
interno tipico era quello di una successione di stanze, con all'interno una
vasca di acqua fredda, la sala del frigidario, solitamente circolare e con
copertura a cupola e acqua a temperatura bassa, seguita all'esterno dal
calidario, generalmente rivolto a mezzogiorno, con bacini di acqua calda. Tra il
frigidario e il calidario vi era probabilmente una stanza mantenuta a
temperatura moderata, il tepidario, stanza adiacente al calidario in cui veniva
creato un raffreddamento artificiale. Assieme al calidario veniva usata quella
che ai nostri giorni viene chiamata la sauna finlandese, ovvero il passaggio
repentino dal caldo al freddo e viceversa. Le natationes erano invece le vasche
utilizzate per nuotare.
LE STRADE
ROMANE
(C.Beneduce - L.Boniello - M.Fucci - S.Marasca - O.Tranchini)
I
Romani, per scopi militari, politici e
commerciali, iniziarono la costruzione di lunghe strade diritte. Le strade
romane erano essenziali per la crescita del loro Impero, in quanto consentivano
di muovere rapidamente il loro esercito. L'enfasi romana sulla costruzione di
strade diritte risultò spesso in tratti ripidi, relativamente impraticabili per
gran parte del traffico commerciale. Queste lunghe "autostrade" furono molto
importanti per il mantenimento della stabilità, e per l'espansione dell'Impero.
Con il nome di vie (viae in latino) venivano indicate le strade extraurbane che
partivano da Roma. Il termine deriva dalla radice indoeuropea *wegh - con il
suffisso - ya, che significa "andare", ma che esprime anche il senso di
"trasporto". La loro creazione fu inizialmente spontanea, e presero normalmente
il nome dalla città alle quali conducevano (via Ardeatina verso Ardea), mentre
altre avevano i nomi delle funzioni alle quali servivano (via Salaria) o delle
popolazioni che arrivavano a raggiungere (via Latina). A partire dal IV secolo
a.C. venne avviata la costruzione di nuove strade, dirette verso regioni lontane
e aventi funzioni di tipo principalmente militare, alle quali venne dato il nome
dei magistrati che le avevano realizzate, principalmente Censore e console: ne è
un esempio la Via Appia, iniziata nel 312 a.C. da Appio Claudio.
A Napoli le strade sono tre e
scorrono parallelamente l'una dall'altra attraversando da est a ovest la città,
parallelamente rispetto alla costa. Il termine decumano utilizzato in via
ufficiale risulta in realtà un termine improprio in quanto esso caratterizza un
sistema di urbanizzazione di epoca romana. Neapolis, invece, venne fondata come
colonia greca, dunque ben prima dell'avvento dei romani. Il sistema greco
prevedeva uno schema stradale ortogonale in cui tre strade, le più larghe (circa
sei metri) e grandi, parallele l'una all'altra, chiamate plateiai (singolare:
plateia), attraversavano l'antico centro urbano suddividendolo in quattro parti.
Inoltre, tali vie principali vengono tagliate perpendicolarmente, da nord a sud,
da altre strade più piccole (larghe circa tre metri) chiamate stenopoi
(singolare: stenopos) o più impropriamente "cardini", le quali strade oggi
costituiscono i vicoli del centro storico cittadino. La rete stradale dunque,
risulta essere caratterizzata di fatto da strade principali (plateiai) e strade
secondarie (stenopoi) che combinate tra loro, dividono lo spazio in isolati
quadrangolari regolari, spesso in strigae molto allungate. Si conta che le
strade secondarie di Napoli che tagliano le tre plateiai siano in numero
variabile tra le diciassette e ventiquattro.
Classe 1^H |