Inizio Napoli Design Week
 

   

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ARTIGIANATO è la segnalazione di imprese artigiane di eccellenza in città: mestieri della tradizione e lavorazioni tipiche del territorio. Sono gli antichi mestieri artigianali di Napoli; abili lavorazioni tramandate nel tempo ed oggetto di culto oggi per turisti e stranieri provenienti da tutto il mondo ad apprezzare tali maestrie artigiane. La città nasconde laboratori artigiani le cui origini risalgono alle grandi manifatture del passato e dove da generazioni si tramanda la cultura del fatto a mano. Un fiore all'occhiello del made in Italy, che si tratti di ceramiche, liuteria, sartoria, tipografia, lavorazione di metalli o materiali (preziosi e non), oppure di... riparare bambole. Un affare di famiglia, dove vere e proprie eccellenze, nell’ambito delle imprese artigiane, nelle quali la creatività si fonde profondamene con la conoscenza dei materiali e delle tecniche di lavorazione. Mai come a Napoli l’artigianato d’eccellenza è frutto di una catena di antichi saperi che passa di padre in figlio e dà vita a manufatti di alta qualità, unici e distinguibili. Prodotti in grado di ritagliarsi una nicchia in un mercato sempre più dominato da manufatti omologati e a basso costo. Anche qui però la sfida è sempre quella di conciliare creatività artistica, tradizioni antiche e moderne politiche di marketing aziendale.

Casa Ascione - Quarto di nove figli, il giovanissimo Giovanni Ascione, decise di avviare con il fratello Domenico jr. un’azienda per la trasformazione del corallo grezzo in prodotto finito e fondò nel 1855 la ditta Ascione Giovanni e Fratelli. L’apertura della ditta consentì pertanto di completare, in ambito familiare, il circuito produttivo del corallo: pesca, lavorazione e commercializzazione, riproponendo così un modello imprenditoriale già tentato con successo ai primi del secolo. Ancora oggi, alla quarta generazione, Giuseppe, Mauro, Caterina, Marco e Giancarlo Ascione, esprimono la forza di una tradizione artigiana secolare, maturata nel solco di una solida e mai interrotta continuità familiare.

Raffaele Calace - La liuteria Calace fu fondata nel 1825 ad opera di Nicola Calace, a Procida (Na) dove si trovava confinato per motivi politici. Iniziò l’arte liutaia con apprezzate chitarre. Alla sua morte la tradizione venne continuata dal figlio che, dopo essersi trasferito a Napoli, iniziò la costruzione di pregiatissimi mandolini. Oggi Raffaele Calace jr. segue la gloriosa tradizione familiare, continuando a costruire e perfezionare sempre di più gli strumenti che rappresentano il punto di riferimento per tutti i concertisti del settore. Negli ultimi 32 anni di attività sono state numerose le onorificenze ricevute: medaglie d’oro, primi premi e, se la cultura mandolinistica è in forte ascesa, in parte, è merito della liuteria Calace.

Ditta Criscuolo - La magia di creare fiori multicolori in pura seta, per alta moda ed alto arredamento, resiste oggi intatta in una bottega artigiana storica di Napoli, quella di Elena Gigante. In via San Gregorio Armeno 29, fra i pastori e i presepi, c’è un negozio dove la maison Chanel ha ordinato per anni camelie e fiori di stupefacente bellezza, per dare un tocco unico a creazioni senza tempo. L’azienda ha una origine antichissima: creata dal padre di Elena Gigante, portata per anni avanti dal marito Giulio Criscuolo, oggi resta un punto di riferimento fondamentale per le dame chic. I fiori in negozio sono molto belli ed è straordinario il lavoro eseguito su ordinazione per riprodurre modelli identici ad esemplari antichi.

Concetta Ferrigno - In una bottega incassata tra le mura del convento di Santa Patrizia, vive da sempre Concetta Ferrigno, custode della tradizione artigianale napoletana dei fiori di carta crespa. Le sue mani agili e veloci, segnate dal tempo e dal lavoro, creano come per incanto fiori di 1000 forme e colori, espressione della gioia di vivere che ancora si coglie nello sguardo. Quarta di 12 figli, appartiene ad una famiglia dedita a tipi di artigianato diversi che hanno dato lustro alla città. Affetta da sordomutismo fin dalla nascita, ha superato tale limite con una straordinaria capacità creativa ed una eccezionale comunicativa che travalica le frontiere facendo di lei un monumento di San Gregorio Armeno.

Marco Ferrigno - Maestro del pastore in terracotta della tradizione napoletana, Marco Ferrigno elabora in maniera del tutto personale il mestiere tramandatogli da suo padre, apportando un tocco di freschezza e di innovazione. I materiali impiegati sono gli stessi da centocinquant'anni: la terracotta, il legno e le rinomate sete di S. Leucio, borgo medioevale in provincia di Caserta. Mostre e numerose citazioni della stampa nazionale ed internazionale, sono per Ferrigno, una consuetudine. Presepi e "scene" sono presenti a New York, Parigi, Arles, Malmoe, Stoccarda e per le capacità professionali dimostrate annoverano riconoscimenti quali il "Primo Premio S. Gregorio Armeno", per tre anni consecutivi e "The First Award Europe".

Raffaele Fiorentino - Dal 1936 una storia da incorniciare. Attiva nel campo dell’artigianato dal 1936, l’azienda Fiorentino Raffaele a Napoli rappresenta una di quelle imprese generazionali che ha saputo mantenere, con il solo ausilio delle proprie forze, capacità e soprattutto impegno, la difficile scelta di un'approccio puramente e costantemente artigianale nel lavoro da essa svolto. Tale scelta tramandata di padre in figlio è stata così portata avanti col preciso intento di un'effettiva ricerca della qualità e particolarità dei prodotti che di volta in volta essa offriva, sfidando spesso canoni commerciali di natura opposta pur di soddisfare le più esigenti richieste di mercato.

Tiziana Grassi - L’Ospedale delle Bambole è un coloratissimo negozio di giocattoli dove esperti artigiani si prendono cura delle bambole "malate". Qui le bambole in plastica o gli orsacchiotti di pezza tornano a vivere. Nel retro del negozio, si trova la sala operatoria per bambole e orsacchiotti: una vecchia macchina per cucire e tutti i ferri del mestiere, forbici, uncini, aghi e spaghi vari. Qui sembra che il tempo, ma soprattutto il progresso tecnologico, non abbia minimamente alterato il lavoro che è rimasto fedele nello spirito e nella tecnica al modello arcaico, conservando i metodi, ma soprattutto la passione che da sempre accompagna gli artigiani di questa famiglia che generazione dopo generazione si sono susseguiti.

Annalisa Mignogna - Rilegatura: libri cuciti a mano, a spaghi passati o su nastri, in marocchino, seta, tela, carta. Restauro: recupero di carte e rilegature antiche. Doratura: a foglia d'oro fino libera o su supporto; scelta possibile tra oltre mille punzoni, palette, rotelle e caratteri; per eseguire decorazioni a piccoli ferri, scritte ed iniziali. Calligrafia: ex libris, monogrammi, stemmi, scritte a china su carta e pergamena. Cartonnage: scatole, cornici, reggilibri, sottomano, contenitori, portadocumenti. Album e libri bianchi: cuciti e cordonati a mano; interni con cartoncini di diverso formato, peso e colore; carta d'Amalfi. La speranza di Legatoria Artigiana Napoli è che questo sia solo un tassello di una realtà comune e condivisa.

Ciro Pepe - Fogli di lamiera di rame e d'ottone, fili di metallo, banchi, saldatrici, profilati di ferro, incudine, modelli di caffettiere ed animali in metallo, decori, rotoli di progetti, strumenti di misurazione moderni ed antichi accolgono il visitatore che accede alla bottega artigiana di Ciro Pepe e del suo socio. Un ambiente carico di storia dove si plasma la materia con esperienza ed una inesauribile passione. Ciro e Renato sono due artigiani venuti su dall'esperienza di "bottega a mastro" nella quale, già da adolescenti, plasmavano il loro carattere e la loro manualità. Camminare da soli però è molto diverso, ed appena capiscono che la loro preparazione è completa intraprendono un’attività propria con la denominazione di Ars Mea.

Mario Portolano - Ha cominciato l’attività a Napoli nel 1895 ed è sempre rimasta a conduzione familiare. I Portolano sono alla quarta generazione imprenditoriale. La produzione, che ha un marchio proprio di alta fascia e linee in alleanza con gli stilisti e le maison di alta moda e pret-a-porter, è a ciclo completo: dalla fase della concia delle pelli a quella della tintura sino alla lavorazione finale dei guanti. La qualità artigianale si coniuga con quella dei materiali e con la creatività del design. Il guanto è un simbolo, un’importante protezione, un prezioso accessorio, una parola in codice. Napoli è al primo posto nel mondo nella produzione di guanti in pelle, per eleganza, stile e qualità.

Mario Talarico è una delle più antiche ditte artigiane di Napoli. Da quattro generazioni fornisce l'ombrello all'aristocratico più esigente ed al passante occasionale. Mario è oggi il faro che illumina un mestiere che non muta da secoli. L'antica ditta fondata nel lontano 1860 da Giovanni Bongiovanni sita a Napoli in via Trinità degli Spagnoli disponeva di circa ottanta operai e serviva la più esigente clientela partenopea e la Casa Reale. La ditta era specializzata nella lavorazione d'ombrelli con il gambo in avorio e in argento, di maioliche e tessuti in seta pura: la Casa Reale inoltre amava rifornirsi di prestigiosi ventagli rifiniti con bacchette di tartaruga. Oggi Mario Talarico è la quarta generazione e la prossima sarà Mario Talarico jr.

LE ECCELLENZE ARTIGIANE - L'intero territorio della provincia di Napoli vanta una ricca miniera di arti di altissima qualità. Dalle antiche e delicate ceramiche e porcellane di Capodimonte, ricercate in tutto il mondo, al nobile corallo di Torre del Greco, città nella quale si lavorano anche la conchiglia, la madreperla, la malachite, la pietra lavica, il marmo ed il cammeo (più del 95% dei cammei venduti in tutto il mondo e opera degli incisori torresi). Sull'alta costiera sorrentina, sopravvive un'antica lavorazione artigiana, fatta di pazienza e passione e grande abilità: I'intarsio. Con il sapiente impiego di legni diversi nel colore, questi artigiani riescono a creare elaborati motivi che impreziosiscono mobili, scatole e cornici esportate in tutto il mondo: dagli Stati Uniti al Giappone, dalla Corea alla Svizzera, dalla Germania all'Inghilterra, dalla Spagna al Portogallo, ai Paesi Arabi ed Orientali. A Napoli continua I'antica tradizione dei presepi e dei pastori, che a Natale attirano migliaia di turisti nelle affollatissime stradine del centro storico, tra cui la più famosa è la nota San Gregorio Armeno. E poi: la pietra lavica, il rame, il ferro battuto, il ricamo e tanto altro. Spesso si tratta di mestieri nati in piccole botteghe, "tipicità locali" che oggi tutti conoscono grazie alla caparbietà e all'amore di chi ha creduto in esse. Sono spesso storie di famiglie che, con estrema passione per il proprio lavoro, hanno tramandato antiche tradizioni. Altre volte, invece, si tratta di produzioni, come le ceramiche di Capodimonte, iniziate secoli addietro, per pura velleità di nobili o sovrani. L'impulso ad una specializzazione sempre più curata del prodotto, la ricerca di mercati di "lusso", la qualificazione del lavoro individuale, sono gli elementi che permettono, ancora oggi, all'artigianato napoletano di resistere, anche di fronte alla concorrenza dei moderni processi produttivi. Quest'artigianato, geloso "custode" di antiche tradizioni va valorizzato e "tutelato": guai se si perdessero prodotti di così alta qualità, conoscenze tramandate per secoli e antichi mestieri.


LA LIUTERIA

La liuteria, intesa come I'arte e la tecnica di costruzione degli strumenti ad arco o a corde sfregate e a plettro o a corde pizzicate, nasce net 1700 a Napoli sulla spinta di una forte domanda di strumenti musicali. L'arte della liuteria continua a crescere ininterrottamente fino alla seconda guerra mondiale, the segna la diminuzione della domanda di strumenti musicali e la chiusura di diverse botteghe. Tuttavia, I'esistenza a Napoli di un elevato fermento artistico - culturale, la presenza di noti istituti di formazione musicale e (l'attività delle istituzioni culturali hanno consentito alla liuteria di rimanere viva e di continuare ad occupare un proprio spazio tra le attività artigianali delta città. I liutai napoletani, provenendo da esperienze di tipo artistico, come quella del musicista e quella di artigiano del legno, considerano la liuteria come la naturale evoluzione della propria attività. Grazie alle loro abilità manuali svolgono tutte le fasi della produzione dello strumento: dalla ideazione e disegno del modello, alla registrazione, facendo eseguire solo la fase del taglio del legno ad un falegname esterno. Accanto alla produzione di strumenti tradizionali i liutai napoletani costruiscono anche strumenti moderni, quali chitarre e bassi elettrici. Tutti gli strumenti prodotti si pongono comunque in una fascia qualitativamente elevata e sono caratterizzati da alcuni elementi di originalità - come le forme, le tecniche di verniciatura e lo spessore dei legni - particolarmente apprezzati sui mercati nazionali ed esteri.


IL RAME

L'artigianato del rame è un'attività molto antica esercitata nell'area vesuviana, e in particolare nel Comune di Sant'Anastasia. La lavorazione di questo nobile metallo ha origini risalenti, secondo alcuni, almeno all'epoca della dominazione aragonese. II primo riferimento storico certo risale, però, ad un'epoca ben più recente. Si tratta, infatti, di una nota del maestro ramaio Francesco Monta, del 1812, con la quale I'artigiano di Sant'Anastasia richiede ad un cliente, a seguito dell'aumento della materia prima, un ritocco sui prezzi concordati in precedenza. Questa straordinaria tradizione produttiva, passata indenne tra le fluttuazioni e i capricci della moda che, soprattutto in tempi recenti, condizionano notevolmente le produzioni di elementi d'arredo, richiede, al pari delle lavorazioni di ferro battuto, una notevole abilità tecnica coniugata con altrettanta capacità creativa. La differenza principale, tra la lavorazione del ferro e quella del rame, è nell'assenza, in questo secondo caso, stante la notevole malleabilità del rame, di lavorazioni di modellatura a caldo. Nella lavorazione del metallo rosso la modellatura si effettua prevalentemente mediante il tornio tiralastra, che consente di far assumere la foggia voluta agli oggetti di formato circolare, bombato e/o semisferico. La modellatura può avvenire anche previa martellatura delle lastre di rame ma, più spesso, questa lavorazione segue a complemento e finitura della lavorazione al tornio. Per gli oggetti con forme a spigolo vivo la tecnica di lavorazione prevede il taglio a freddo delle lastre di metallo e il successivo montaggio. Un'ulteriore fase di lavorazione, cui si ricorre solo per prodotti destinati a contenere alimenti, a quella della stagnatura delle superfici interne, resa indispensabile dalla tossicità dei composti chimici derivanti dall'ossidazione del rame. La stagnatura, che sempre più spesso è sostituita dalla ricopertura delle superfici interne effettuata, per gli usi professionali, con acciaio o alluminio, è seguita dalla pulitura. Quest'ultima fase di lavorazione è compiuta, ancora oggi, prevalentemente a mano e senza I'ausilio di prodotti chimici. Gli oggetti che si ottengono e che fanno bella mostra di sé nelle botteghe del rame, sono di diverso tipo, grazie alla grande duttilità del materiale e si prestano a molteplici impieghi; a titolo esemplificativo possiamo elencare: pentole, vasi, lampade, portachampagne, orologi, targhe.


LA PORCELLANA

Il mito della porcellana nasce in Europa durante il XIII sec. quando i primi mercanti europei, fra i quali va ricordato il veneziano Marco Polo, decidono di avventurarsi verso le terre lontane della Cina e al loro ritorno, insieme a sete pregiate e spezie, portano anche alcuni esempi di vasellame, eseguito in questo misterioso materiale. Non si conosce con esattezza I'epoca in cui è stata avviata nell'Est asiatico la produzione della porcellana, ma è abbastanza chiaro che la messa a punto di questo straordinario prodotto artificiale cinese, così come noi lo conosciamo, è il risultato della fusione fra le diverse esperienze dei ceramisti del vicino e del lontano oriente avvenuto nel duecento, a seguito della conquista dei mongoli. Tra il XV e il XVI sec. I'Europa inizia ad importare questi oggetti e il successo delle porcellane cinesi trasforma automaticamente il raro materiale d'importazione nella maggiore fonte d'ispirazione per i ceramisti sia europei che del vicino e medio oriente. Tuttavia, solo agli inizi del 1700, grazie ad un giovane sassone, Johann Friedrich Bottger, si riescono ad individuare i due elementi basilari dell'impasto della porcellana cinese: il Caolino o il feldspato. Nel 1743 apre la fabbrica borbonica di Capodimonte dove, per aggirare I'ostacolo dell'assenza di Caolino, introvabile nelle province meridionali fino alla scoperta di una cava alla fine del secolo, si sperimenta il sistema di mettere a punto un impasto diverso, basato sulla riuscita unione di varie argille, più o meno tutte flessibili. La manifattura di Capodimonte inizia una produzione di notevole portata, affidata per i decori pittorici all'abile e raffinato Giovanni Caselli e per il modellato al geniale scultore fiorentino Giuseppe Gricci. La produzione napoletana entra in crisi con la partenza da Napoli di Re Carlo di Borbone. Nel 1773 inizia ad operare a Napoli la "Real Fabbrica Ferdinandea" ma I'attività cessa nel 1806. è solo dopo I'unità d'Italia che quest'arte ritrova il suo folclore artistico. L'occasione viene fornita dalla grandiosa "Esposizione dell'Arte Antica Napoletana" dove, grazie alla cessione temporanea da parte delle più importanti famiglie della città, vengono esposte le eccezionali raccolte private di arte applicata. Nel 1880, a Napoli, viene istituito il Museo Artistico Industriale con le annesse scuole officine che svolgono con successo per almeno un ventennio il doppio ruolo di scuola e di fabbrica dove, servendosi anche di ceramisti esterni operanti in quegli anni a Napoli, si eseguono grandi opere progettate da Palizzi, da Morelli o da Tesorone. Questa istituzione, tuttora esistente nella città di Napoli, è la concreta testimonianza di lavori di grande rilevanza artistica: vasi, centri tavola, porta menu e servizi in porcellana continuano ad abbellire le abitazioni di tutto il mondo.


IL FERRO BATTUTO

Il lavoro del fabbro è un mestiere molto antico, con alle spalle una lunga tradizione, che ha bisogno di tanta passione e, soprattutto, di una notevole abilità tecnica coniugata con altrettanta capacità creativa. Si tratta di un'attività artigianale, ancora molto fiorente a Napoli, che al giorno d'oggi si basa soprattutto su tecniche di lavorazione a freddo. Queste ultime prevedono la modellazione del ferro senza che sia necessario ribatterlo quando è ancora caldo. Alla fase di lavorazione appena descritta segue I'assemblaggio dei diversi componenti, effettuato con la saldatrice. Sono, dunque, ormai rare le botteghe che seguono la vecchia tradizione di forgiare a fuoco il semilavorato anche se, per I'importanza che stanno sempre più assumendo i restauri e per una rinnovata richiesta di prodotti tradizionali, è in corso una discreta rivitalizzazione del settore. La predetta tecnica di lavorazione a caldo richiede, innanzi tutto, il taglio delle barre di ferro in segmenti della dimensione desiderata. I frammenti cosi ottenuti sono collocati nella forgia (forno aperto a carbon coke in cui la combustione è ravvivata per mezzo di mantici o ventilatori) ove sono riscaldati sino a temperature prossime ai 1.000 gradi centigradi. Raggiunta la temperatura desiderata, il ferro è adagiato sull'incudine e lavorato con il martello, oppure con il maglio. In questo secondo caso bastano in genere pochi colpi precisi, regolati da una Iieve pressione del piede del fabbro, che in tal guisa modula la velocità di caduta del maglio perché la massa rovente prenda la forma voluta. La tecnica di lavorazione tradizionale richiede poi che i pezzi forgiati a caldo siano uniti tramite chiodatura. II prodotto quasi ultimato e, infine, sottoposto alle lavorazioni di finitura: sabbiatura, verniciatura e zincatura. Tipici della produzione napoletana sono: cancelli, scale, recinzioni, balconi, sedie, tavoli, candelabri, lampade.


LA PIETRA LAVICA

I prodotti in pietra lavica, frutto di una tradizione secolare, sono oggi destinati prevalentemente al restauro ed al risanamento dell'enorme patrimonio edilizio napoletano. Al riguardo va infatti rilevato che le attività di lavorazione della pietra lavica si sono diffuse, nell'area vesuviana, tra it XVII e it XVIII secolo, in coincidenza con il pieno rigoglio delle architetture Barocca e Rococò. Nel periodo considerato sono salpati dal porto di Napoli migliaia di bastimenti carichi di roccia destinata ad abbellire, o pavimentare, le strade di tutte le principali città del mediterraneo. A dire il vero la pietra lavica è sempre stata usata soprattutto per le pavimentazioni stradali mentre, per la realizzazione di fregi, portali ed elementi architettonici di vario genere, si preferiva impiegare il più tenero "Piperno" di provenienza flegrea. Oggi, grazie all'impiego di più sofisticate tecnologie, ma anche grazie al genio ed all'estro degli artigiani locali, la pietra lavica è invece assurta, a pieno titolo, ad elemento di decoro architettonico. Per quanto riguarda le odierne tecniche di produzione, occorre sottolineare I'importanza assunta dalla tecnologia nelle fasi del taglio e della modellatura. Sopravvive però, sostanzialmente inalterata nei secoli, la tradizione manuale nella lavorazione dei basoli destinati alle pavimentazioni stradali. Questi blocchi, pesanti ognuno anche parecchie decine di chili, sono ancora modellati e rifiniti completamente a mano con il solo ausilio di martello e scalpello. Un'ultima menzione va dedicata alle produzioni di pietra lavica con inserti ceramici e a quelle di pietra lavica ceramizzata. Si tratta di tipologie produttive diffusesi, anche in questo caso, grazie a nuove tecnologie che hanno consentito di coniugare I'impiego dei due materiali. Negli ultimi anni la pietra lavica è anche utilizzata in oreficeria, per la creazione di gioielli particolarmente originali.


PASTORI E PRESEPI

Il Presepe Napoletano nasce nel 1478 quando Jacobello Pepe commissiona agli scultori Giovanni e Pietro Alemanno un presepe composto da quarantuno figure in legno dipinto e dorato, da collocarsi nella sua cappella nella chiesa di San Giovanni a Carbonara. Fino alla fine del 1500 sembra che i presepi siano stati eseguiti sia in legno che in terracotta da artisti che realizzavano anche altri tipi di sculture e che le figure avessero comunque dimensioni rilevanti. Solo agli inizi del Seicento i personaggi iniziarono ad assumere dimensioni più ridotte. Nel Natale del 1627 ad opera dei Padri Scolopi viene montato, nella loro chiesa alla Duchesca, un presepe che valorizza la figura del Bambino Gesù. Si sviluppa, così, nel primo Seicento, la consuetudine di allestire nelle chiese presepi raffiguranti il Bambino Gesù. Sullo sfondo di questa religiosità, la media e ricca borghesia incrementa la produzione di gruppi di piccole sculture raffiguranti la Natività. I pastori inizialmente sono manichini lignei. è probabile che i primi pastori, composti da manichini articolabili ricoperti da abiti in stoffa, che permettevano il mutare degli atteggiamenti compaiano nel secondo Seicento, quando I'uso del presepe è ormai attestato non solo presso tutte le principali chiese cittadine, ma anche nelle case dei nobili e dei ricchi borghesi. Ma è soltanto nel '700 che il manichino ligneo fu sostituito dai corpi composti da un'anima di filo di ferro, rivestita di stoppa che permetteva una variabilissima gestualità. L'originalità del presepe napoletano consiste nella convivenza tra i personaggi della tradizione evangelica ed una estrema varietà di personaggi diversi. La Natività posta nella grotta-stalla, I'Annuncio della buona Novella, la Taverna con gli avventori che cenano ed, infine, il Corteo dei Magi rappresentano i momenti che dominano il presepe. Gli esemplari ancora oggi prodotti a Napoli sono soggetti interamente modellati in terracotta e legno, rifiniti e dipinti a mano che, secondo la tradizione, riprendono volti e fattezze di persone, animali, oggetti di corredo, tutti accuratamente studiati dal vero.


VETRO E VETRATE ARTISTICHE

Le prime forme di vetrate artistiche, inizialmente di provenienza orientale, erano composte esclusivamente dall'accostamento di vetri colorati uniti tra loro dallo stucco per formare figure per lo più astratte. Successivamente, nel corso dell'VIII secolo si diffuse nel mondo occidentale I'utilizzo del telaio a piombo che consentì un più ampio impiego della vetrata in diverse e più estese soluzioni architettoniche. Nel corso del secolo successivo I'introduzione della grisaglia consentì di affinare I'espressione pittorica creando un'ombreggiatura ed evidenziando particolari del disegno, mediante I'utilizzo di questa polvere che veniva stesa, ritoccata e quindi fissata sul vetro dopo la cottura. Le vetrate si svilupparono con I'architettura romanica, ma la grande rivoluzione e il momento di massimo splendore si ebbe proprio con I'architettura gotica. In questo periodo le vetrate, complice la particolare linea architettonica, si ampliarono e si slanciarono, raggiungendo e superando i tre metri di altezza. Intorno al XIV secolo si può presumibilmente datare la scoperta del "giallo d'argento", che consentì di arricchire le tonalità cromatiche sulla stessa lastra di vetro e di conferire luminosità e profondità ai colori. In Italia questa forma di arte si affermò più tardi rispetto a Francia, Inghilterra, Spagna e Germania e assunse i caratteri di una vera e propria pittura su vetro. I secoli successivi si caratterizzarono per la scoperta di modalità espressive quali la tecnica del "plaquet" (due vetri, uno trasparente e uno colorato, sovrapposti e istoriati mediante I'incisione della parte colorata) e I'introduzione degli smalti colorati, che portarono I'arte delle vetrate sempre più verso una forma pittorica su vetro bianco. I secoli XVII e XVIII costituirono un periodo di declino e solo nel XIX secolo si assisté ad un ritorno di interesse con il revival gotico per il quale si tende a recuperare e a riscoprire i caratteri dell'arte di quel periodo passato. A Napoli, I'arte delle vetrate ebbe una consistente diffusione nella prima meta dell'800 con I'apertura di numerose vetrerie da parte di imprenditori stranieri e con la sperimentazione di nuove tecniche di lavorazione del vetro, mediante la sabbiatura e I'inserimento nel vetro trasparente di decorazioni interne ed esterne. Attualmente le tecniche di lavorazione delle vetrate artistiche utilizzate a Napoli sono molteplici. La tecnica della piombatura, che consiste nella creazione di un mosaico di vetri, opportunamente sagomati, legati da una trafila di piombo, saldati e stuccati, conferisce alI'opera elasticità e robustezza. La tecnica tiffany, che consiste nella creazione di un mosaico in vetro, dove ogni tessera è contornata da un sottilissimo nastro di rame, è presente nei più importanti musei d'arte del mondo La tecnica della vetrofusione, che consiste in un mosaico di tessere di vetro opportunamente sagomate e fuse su un vetro di supporto compatibile. La tecnica della pittura a gran fuoco che prevede I'utilizzo di smalti da terzo fuoco e grisaglie. Infine, la tecnica delle murrine, che consiste nell'applicare su lastre di vetro acidato o satinato, murrine fuse.


BIANCHERIA E RICAMO

II ricamo è un'arte antichissima, apparsa molto probabilmente in Oriente è poi arrivata in Occidente. La storia del ricamo può essere ricostruita per la maggior parte citando fonti storiche e iconografiche e, solo in piccola parte, studiando i reperti autentici. Si parla di ricamo nella mitologia, nei poemi di Omero e di Virgilio e nella Bibbia. è soprattutto nell'Estremo Oriente che iI ricamo diventa una vera e propria arte, provocando poi, in età medievale, attraverso i contatti commerciali, una diffusione di questo gusto decorativo anche tra le popolazioni occidentali. Dal XIII secolo si può dire che ormai ii ricamo sia uno dei più diffusi motivi di decorazione. Nel napoletano I'arte del ricamo trova il suo massimo splendore nella seconda metà del Quattrocento, durante il regno aragonese. Inizialmente è un lavoro tipicamente maschile e solo a meta Settecento assisteremo al lavoro di ricamo da parte delle donne. Diverse sono le tecniche impiegate nell'arte del ricamo. Tra le forme più antiche vanno ricordate il punto passato, la catenella, il serrato, iI diviso, iI punto steso, il trapunto, il punto croce. Alcuni di questi vengono usati ancor oggi accanto a forme più recenti quali, ad esempio, il punto risparmiato, il punto di figura o di Palestrina, il lavoro Bandera, il punto ombra, I'imbottito e molti altri. Quando furono introdotte le prime macchine per ricamo I'attività di numerose produzioni artigiane in parte si interruppe, pur non riuscendo mai a raggiungere, anche nei modelli più moderni e perfezionati, la bellezza dei ricami a mano. L'arte del ricamo a mano è comunque ancora oggi molto diffusa a Pozzuoli e nell'isola di Procida, soprattutto nel Campo della biancheria da corredo, ovvero della biancheria destinata, come si voleva un tempo, ad accompagnare la sposa nella sua Casa nuova. Le produzioni di ricamo sono diverse: si ricamano a punto piano le lenzuola di lino assieme alle coperte, il tovagliato e i tendaggi; rare le produzioni di biancheria personale.


IL CAMMEO

II cammeo indica un bassorilievo realizzato attraverso I'incisione su pietre dure, come la "malachite", "I'onice" e "I'agata". Il cammeo ha trascorsi antichi che risalgono al Ill sec. a.C., ma solo ai primi dell'Ottocento I'attività artistica dell'incisione su conchiglia è esercitata a Torre del Greco. In pochi anni è Torre il numero delle fabbriche per la lavorazione del corallo e dei cammei cresce sempre di più. Sono riconducibili a quest'epoca gli esperimenti degli incisori sul corallo, mentre le incisioni su conchiglia si sperimenteranno solo a partire dal 1830 e avranno successo verso la fine dell'ottocento sulla spinta di due eventi in apparenza assai lontani tra loro ma parimenti efficaci: I'arrivo di enormi quantitativi di conchiglie, che le navi provenienti dall'Africa usano come zavorra e la crisi che peserà sui laboratori di Torre del Greco negli anni che vanno dal 1875 al 1880, quando la scoperta a Sciacca di ricchi banchi di corallo determinerà non solo la saturazione del mercato ma lo scadimento di ogni tipo di lavorazione. II cammeo su conchiglia che si afferma a fine ottocento costituisce la novità di maggiore spicco nel clima di generale rinnovamento che investe il settore contro il dilagare della crisi. Le conchiglie più adatte a questo tipo di lavorazione provengono tutte da mari lontani e presentano, ovviamente, caratteristiche diverse sia per forma e grandezza che per colore. Quelle più largamente usate ancora oggi appartengono alla specie "Cassis" nella quale rientrano tre tipi particolarmente adatti a dare risalto all'incisione, grazie al fondo di un colore più intenso: la "Cassis", proveniente dal Centro America e detta comunemente "sardonica", è alta trenta centimetri e presenta un fondo marrone - bruno con una parte esterna (quella destinata all'incisione) perfettamente bianca; la "Cassis Rufa", detta "Carniola", è generalmente di origine africana con un fondo tendente al rossastro; la "Cassis Cornuta" che è detta "Arancio", dal particolare colore del fondo. In oltre un secolo e mezzo di storia, I'arte della lavorazione del cammeo ha via via affinato le proprie qualità artistiche e, pur rimanendo sostanzialmente ancorata ai temi classici, ha maturato un tipo di rappresentazione meno rispettosa del modello e sempre più aperta alle capacità interpretative dell'artista consentendo in questo modo al cammeo di sottrarsi al destino di oggetto datato e di proporsi, anzitutto, come espressione di una manualità sempre più rara e preziosa.


IL CORALLO

Da almeno cinque secoli il cespo rosso dai rami anarchici e sottili ha reso famoso nel mondo il nome di Torre del Greco. Pescato fin dalla preistoria, veniva utilizzato quale ornamento e moneta sui mercati asiatici già 15 secoli prima di Cristo. Ma è come amuleto che il corallo troverà la sua popoIarità. Si riteneva, infatti, che giovasse alla fecondità delle donne e proteggesse i bambini dai pericoli: una credenza diffusissima presso i Romani che usavano metterne un rametto al collo dei loro figli. Ma al di là di ogni discutibile proprietà o attribuzione, è come prestigioso ornamento che il corallo trova la sua affermazione: accostato a perle, turchesi e giade compare in Cina, nei gioielli di corte, fin dall'anno Mille. In Europa, invece, comincerà a far moda solo con il Rinascimento, quando trova le sue prime applicazioni nelle collane. Proprio in quest'epoca, il corallo farà la sua apparizione anche a Torre del Greco. Lo si pescava già da qualche anno sulle costa del Marocco ad opera di equipaggi siciliani, spagnoli e napoletani, fra i quali non mancavano i torresi. Nel 1790 Torre del Greco, benché leader nella pesca del corallo, non aveva ancora avviato alcun tipo di lavorazione. In quegli anni Ferdinando IV di Borbone valutò l'opportunità di impiantare alcune fabbriche a Torre del Greco per la lavorazione del corallo. L'obiettivo era duplice: sottrarre il grezzo ad ogni forma di speculazione sul mercato di Livorno e avviare una sicura fonte di reddito per quanti si sarebbero dedicati a questo tipo di lavorazione. Il progetto prevedeva la costituzione della "Reale Compagnia del Corallo", una società della quale ogni cittadino torrese avrebbe potuto acquistare le azioni. La Compagnia restò solo un ambizioso progetto per il susseguirsi di due orribili avvenimenti: la Rivoluzione francese e I'eruzione del Vesuvio del 1794. Nel 1805 Paolo Bartolomeo Martini, marsigliese di origine genovese, aprì a Torre del Greco il primo laboratorio per la lavorazione dei cammei in corallo e su conchiglia intorno al quale si raggrupparono molti degli artigiani locali, dando così luogo alla Real Scuola del Corallo. L'altissima maestria nell'esecuzione e il gusto incomparabile che caratterizza tutt'oggi i maestri artigiani di Torre del Greco fa sì che questa città continui ad essere il polo leader nella lavorazione del corallo.


IL MARMO

II nome "marmo" deriva dal greco "marmoreo" che significa brillante, luccicante. Nel corso dei secoli il marmo è stato impiegato sia con funzione statica nelle strutture sia come rivestimento per scopi decorativi. Notizie e testimonianze di una regolare escavazione e lavorazione della pietra si hanno sin dai tempi dell'antico Egitto e anche in Italia I'industria delle pietre ornamentali ha origini e tradizioni antichissime. Verso la fine del '700 la diffusione dell'uso del marmo fu favorita dall'adozione della segatura meccanica, ma bisognerà arrivare al 1895 per constatare un avanzamento nella tecnologia di produzione. L'uso nell'architettura di questo nobile materiale si è andato, nel corso degli anni e con I'avvento delle nuove tecnologie, sempre più diversificando attraverso diversi metodi di lavorazione per un utilizzo quanto mai duttile ed adattabile alle più svariate esigenze. Una particolare tecnica di lavorazione è quella dell'intarsio, notevolmente diffusa a Napoli. Attraverso la lavorazione del marmo con intarsio vengono realizzati esemplari unici, vere opere d'arte ricche di intensi colori e delicate sfumature, particolarmente ricercate sui mercati esteri da antiquari, negozi d'arredo e singoli amatori.


IMBARCAZIONI DI LEGNO

Figlia di un'antichissima tradizione marinara, a Torre del Greco e Sorrento sopravvive ancora la nobile arte di costruire imbarcazioni secondo tecniche tradizionali a mano, utilizzando esclusivamente il legno. L'assortimento dei modelli realizzati è vario, si va dalle barche da diporto (a motore o a vela), sino a quelle da pesca. Autentico e inarrivabile oggetto di desiderio per i più è, però, soprattutto il "gozzo", un'imbarcazione le cui origini si perdono in tempi lontanissimi. La sua principale caratteristica, lo scafo a doppia punta con linee simili a prua e a poppa, è infatti rimasta inalterata almeno dal 79 d.C., epoca cui risale I'imbarcazione, in tutto simile ad un gozzo, recentemente ritrovata sotto i fornici del porto dell'antica Ercolano. La poppa a punta rispondeva d'altronde ad una precisa funzione: si arrivava sul luogo della pesca andando a vela. Arrivati sul posto la barca era invece spinta a remi nella direzione della poppa che, non essendo occupata dall'albero, diventava il luogo di lavoro dove armeggiare con le reti. Anche se quest'imbarcazione si è continuamente evoluta nel corso dei secoli, bisogna risalire agli anni '30 per assistere alla prima sostanziale modifica tecnica e stilistica del gozzo: la propulsione a motore. Quest'innovazione ha comportato un incremento dei volumi di poppa che, invece di danneggiare I'imbarcazione, le ha conferito un nuovo e ancor più stabile assetto. Da ciò, soprattutto, la vocazione di barca ideale e prediletta dalla gente di mare.


LA CARTAPESTA

La lavorazione della cartapesta è un'arte che nasce nell'ambito delle manifestazioni teatrali. II suo utilizzo è diverso a seconda delle città italiane: a Venezia viene utilizzata per realizzare gli intagli e gli stucchi delle ville del Settecento e per le maschere del Carnevale; a Lecco si sviluppa intorno all'artigianato sacro; a Napoli, nell'ambito delle scenografie teatrali e della tradizione pastorale; a Nola si sviluppa nei primi anni dell' 800, intorno alle attività per la realizzazione delle decorazioni della festa del Giglio, una delle più spettacolari feste folcloristiche italiane. Gli otto Gigli, pesantissimi obelischi di legno, sono alti 25 metri e ricoperti da fantasiosi ed artistici rivestimenti di cartapesta: tra essi figura una imponente barca con dentro iI Turco (barbaro), la quale ricorda il mare attraversato da S. Paolino per il ritorno in Patria. I Gigli e la barca sono portati a spalla da una "paranza" di 120 uomini circa che, guidati da un capoparanza, con grande abilità li fanno ballare, ruotare ed avanzare. Ogni anno vengono costruite "macchine" sempre più stupefacenti, grazie alla fantasia degli artigiani che ricercano utilizzi sempre più avanzati della cartapesta. La lavorazione della cartapesta avviene con procedimenti diversi: prima legno e ferro, oggi anche resine e composti poliuretanici, metacrilati, stoffe. Attualmente gli "artisti" di Nola realizzano con la cartapesta produzioni diverse rispetto a quelle legate all'arte dei "Gigli". Assistiamo così a nuove produzioni nei settori dell'oggettistica e componenti di arredo. Gli artigiani utilizzando materiali ecologici, quali colla di farina cotta e carta, e con processi interamente manuali, realizzano: cornici, elementi di decorazioni, riquadri di mobili, vasi, bomboniere, porta dolci.


L'OREFICERIA

Gli orafi dell'area napoletana hanno offerto, già a partire dal basso Medioevo, un contributo di eccezionale rilevanza allo sviluppo dell'oreficeria italiana ed europea, sia nell'ambito della produzione di oggetti sacri e religiosi (ad esempio, ornamenti d'altare, suppellettili liturgici, reliquari, busti o grandi statue di santi) sia in quello della produzione di gioielli "profani". Dal punto di vista storico deve rilevarsi come la corporazione degli orefici sia stata fra le prime a costituirsi, alla meta del XIV secolo, grazie al riconoscimento ufficiale concesso da Giovanna I d'Angiò. è da ascrivere, invece, a Carlo II d'Angiò il primo statuto della Nobile Arte degli Orefici per la regolamentazione delle attività della corporazione e I'assistenza agli artigiani che vi appartengono. In tale atto si introduce, inoltre, a garanzia della qualità di esecuzione dei lavori in oro I'obbligo del punzone che viene, così, a rappresentare una sorta di "certificazione di qualità" ante litteram destinata a tutelare gli acquirenti. In epoca aragonese la Corporazione degli orefici espande i propri spazi di autonomia acquisendo, fra I'altro, la capacità di scegliere liberamente i propri rappresentanti e di esercitare, nei confronti degli associati, un vero e proprio "potere giurisdizionale". La bravura dei maestri orafi napoletani comincia ad essere apprezzata anche al di fuori dei confini del regno; basti pensare che, nel 1495, Carlo VIII ingaggia alcuni artigiani napoletani affinché lavorino per lui in Francia. Nei due secoli di dominazione spagnola (1501-1707) la divisione dei lavoratori in corporazioni diviene sempre più rigida e si pongono severi divieti all'esercizio della professione nei confronti di coloro che non fanno parte della corporazione. Nel diciottesimo secolo si registra una nuova tendenza: la produzione di gioielli destinati anche ad un pubblico maschile (si pensi alla produzione massiccia di spille, borchie ed anelli). Nel 1808 Gioacchino Murat, secondo re di Napoli durante il decennio di dominazione francese, decide di sopprimere le corporazioni. I primi anni dell'800 segnano anche I'avvio di una proficua collaborazione fra i maestri orafi napoletani e gli artigiani del corallo e del cammeo di Torre del Greco. Agli inizi del 900 anche I'arte orafa napoletana risente dell'influenza delle avanguardie artistiche: vengono realizzati manufatti caratterizzati da linee semplici ed ordinate di grande purezza geometrica. Dopo le vicissitudini e i travagli dei due conflitti mondiali, I'oreficeria napoletana torna ad essere protagonista sui mercati nazionali ed internazionali rilanciando materiali antichi come I'oro giallo. II cuore pulsante dell'oreficeria napoletana è costituito, certamente, dal Borgo degli Orefici ubicato in pieno centro storico, risalente al periodo angioino, ma I'oreficeria è diffusa in gran parte del territorio della provincia.


L'INTARSIO

Sin dalla prima metà dell'800, alcuni valenti artigiani sorrentini iniziarono a divulgare I'arte dell'intarsio sul legno; una tecnica che, ben presto, si estese in tutto il territorio napoletano. Grazie alla notorietà di cui godeva Sorrento come luogo di villeggiatura, molti personaggi del mondo politico e della cultura di fama internazionale ebbero I'opportunità di apprezzare la maestria di questi ebanisti, abili al punto da essere ingaggiati da Francesco I di Borbone per il restauro degli arredi di Palazzo Reale. La tecnica di lavorazione si basa sull'assemblaggio di piccoli pezzi di legno, prima tagliati e sagomati a seconda del disegno che si vuole riprodurre. In principio, per ottenere le sfumature, venivano impiegate tutte le essenze di legno naturali (il noce, I'agrifoglio, il tuja, I'arancio, ecc.) mentre I'ossatura del mobile era ulivo, noce o castagno. In questo modo si otteneva un gioco chiaro-scuro che era dovuto alle varie tonalità dei legni e perfezionato infine da piccole incisioni, sempre eseguite a mano, colmate da stucco scuro. Con il passare del tempo, la tradizionale tecnica della tarsia sorrentina veniva sostituita dal metodo della "ricacciatura", ovvero I'uso dell'inchiostro di china per sottolineare il disegno, tipico della tarsia francese. Questa tecnica risultò precaria, a causa dello stabilirsi nel tempo del tratto nero. Altro procedimento che modificò la vecchia tecnica nella seconda metà dell'800, fu I'utilizzo di legni colorati. Le ultime tecniche sono quelle del traforo su massello, realizzato con il seghetto, e quella del mosaico in legno, ispirata all'Opus Tesselatum di tradizione romana, che si otteneva disponendo in senso verticale i vari legni i quali, avendo composto in precedenza il disegno geometrico o floreale, si tagliavano a strisce applicate poi sull'ossatura del mobile. Per quanto riguarda le decorazioni, in un primo momento gli artigiani si ispirarono ai motivi pompeiani e pagani, poi iniziarono ad ispirarsi a scene di vita quotidiana. Ne nascono elementi d'arredo ed oggettistica, dal design originale e dai colori vivaci. Fra gli oggetti tipici che vengono prodotti attraverso la lavorazione esaminata, e che è possibile ammirare nelle botteghe artigiane, ricordiamo: i tavolini rotondi, le scatole, gli orologi, le specchiere, i vassoi.

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