LA CASINA VANVITELLIANA
(progetto in collaborazione con la Soprintendenza)

Il restauro del complesso borbonico del lago Fusaro, comprendente la Casina Vanvitelliana, l’Ostrichina, il Giardino storico, gli Stalloni, la Banchina borbonica e la Lecceta, rientra nell’ambito del progetto integrato “Campi Flegrei”, finanziato con fondi comunitari del P.O.R. 2000-2006. I lavori, durati oltre due anni, sono stati diretti dalla Soprintendenza BAPSAE di Napoli e provincia, su progetti d’ufficio. Gli edifici e le aree di pertinenza sono stati recuperati dopo decenni di abbandono e predisposti, con idonea dotazione impiantistica, ad ospitare attività connesse al turismo culturale dell’area flegrea. La gestione del complesso del Fusaro è affidata alla responsabilità del Centro Ittico Campano, società con partecipazione azionaria di maggioranza del Comune di Bacoli.

Premessa
La Casina Vanvitelliana è stata parzialmente restaurata nel 1991, dopo anni di abbandono ed incuria. Prima degli ultimi lavori di restauro denotava uno stato di degrado avanzato, aggravato dall’ubicazione del sito, sottoposto all’aggressione e corrosione degli agenti esogeni del clima umido marino. L’intervento è stato finalizzato alla conservazione del monumento ed alla sua messa in sicurezza, dotandolo dei necessari impianti tecnologici (elettrico, telefonico e trasmissione dati, rivelazione incendi, antintrusione, termico, audio-video) per le destinazioni d’uso ad attività espositive e concertistiche. Sono stati realizzati interventi di risanamento delle murature dall'umidità di risalita ed è stata consolidata la banchina in basoli di pietra vesuviana. Per la definizione dei colori esterni della Casina sono state riproposte le scelte cromatiche adottate nel restauro del 1991, privilegiando l’originario “colore dell’aria” desumibile dal celebre dipinto di Hackert Ferdinando IV a caccia di folaghe sul lago Fusaro (1783, Museo di Capodimonte) rispetto al colore rosso di alcune fonti iconografiche più tarde (Giacinto Gigante). In sintonia con il dipinto di Capodimonte, è stata ricollocata sul fronte principale una riproduzione dello stemma di Ferdinando, andato perduto nel corso del tempo. All’interno, nella sala dodecagonale al piano terra, sono stati riproposti i cromatismi degli esterni della Casina, con la realizzazione di boiseries di stoffe azzurro polvere e tendaggi di colore avorio. Al piano superiore, la sala circolare è stata arricchita con un pavimento maiolicato di manifattura artigianale, che ripropone disegno e colori di una antica riggiola “Giustiniani” rinvenuta in cantiere. Nello stesso ambiente è stata realizzata una controsoffittatura a volta e sono state collocate alle pareti riproduzioni dei dipinti dispersi del Ciclo delle Stagioni di Hackert, desunte dai quattro bozzetti custoditi in musei e collezioni straniere. Delle decorazioni originarie si conservano, nei due ambienti di servizio contigui alla sala, le tempere grasse della volta nella stanza a destra - in parte ritoccate nei restauri precedenti - e, nell’ala sinistra, gli analoghi dipinti inediti venuti alla luce nel corso dei lavori: motivi floreali, zoomorfi e paesaggi flegrei, tipici della fine del Settecento. Dal piano superiore, grazie alla realizzazione di una comoda scala a chiocciola, è consentita la visita ai sottotetti, caratterizzati da una complessa struttura di diciotto diverse tipologie di capriate lignee.

La storia della Casina
La Casina del Fusaro fu costruita su progetto di Carlo Vanvitelli, nel 1782, per volere di Ferdinando IV di Borbone date le ottimali condizioni ambientali del lago che favorivano sia la caccia che la pesca di cui il re era amante. Il re trovò opportuno far costruire un nuovo edificio al posto di una preesistente casetta, su un isolotto a pochi metri dalla sponda del lago, dove i pescatori disponevano il materiale da pesca. Il piccolo edificio disponeva in “due bani, con casetta, cisternala, banchetta di fabbrica all’interno e pradetta, per cui si sale ad una loggetta coverta a tetto: dalla loggetta si entra a’ due stanziale situate sopra ai bassi, con altro piccolo camarino, e comodo focolaio”. Carlo Vanvitelli, incaricato di sistemare l’edificio, preferì trasformarlo completamente e suggerì in una lettera indirizzata al principe di Tarsia Fabrizio Spinelli, Cacciatore Maggiore del re, di come fosse preferibile l’acquisto e la radicale trasformazione, piuttosto che l’adattamento del primitivo edificio,  allo scopo di potervi fare, da padrone, tutte le necessarie trasformazioni. Carlo Vanvitelli parte quindi dalla piccola duna sabbiosa e riduce l’isolotto a una piattaforma circolare, quasi interamente coperta dall’edificio, a meno dello spazio antistante ai due ingressi porticati e ad un angusto passaggio perimetrale all’esterno dei corpi aggettanti. L’edificio non è in asse rispetto al più probabile punto di vista costiero ma ha un angolo a 45º in modo da dare un’immagine molto suggestiva e di scorcio. Infatti, da questa visuale la sporgenza delle due terrazze laterali del primo piano, danno equilibrio e senso di unità della fabbrica. La predilezione non centrale della prospettiva riporta ad una matrice di gusto tardo-rococò. La pianta, poligonale, è fissata nel vivo di una grossa base vulcanica, circolare, stretta in blocchi cubici di pietrarsa. La palazzina comprende piano terra e primo piano, con due corpi terranei di fabbrica che si protraggono rispettivamente verso nord e verso sud. Agli spigoli, quattro bracci dotati di lanterne di ferro artisticamente battuto. Sui balconi, all’ingresso, sulle facciate esterne, stucchi con decorazioni marine di pregevolissima fattura. Lo schema planimetrico del piano terra è abbastanza semplice: una sorta di deambulatorio circonda una sala dodecagonale, consentendo l’accesso coperto ai due corpi aggettanti, con ambienti accessori e servizi. La scala che conduce al primo piano è collocata in posizione asimmetrica e interrompe la continuità del deambulatorio. La scala accede al primo piano in corrispondenza di un piccolo ambiente di ingresso e passaggio, così da conservare integra la sala superiore che risulta non leggibile all’esterno. La sala centrale, al primo piano, è circolare e si affaccia a mezzogiorno e a settentrione, con tre aperture per lato, di cui il balcone centrale dà accesso alla relativa terrazza poligonale. I restanti tre piccoli ambienti (il quarto spazio occupato dal vano scala) si affacciano ciascuno con una finestra sulle due terrazze maggiori, ricavate al di sopra dei corpi aggettanti, e rivolte rispettivamente ad oriente e ad occidente. Il progetto del Vanvitelli non prevedeva l’accesso alla Casina se non con il passaggio in barca: soltanto dai primi del Novecento l’edificio è collegato alla terraferma attraverso un ponticello di legno. Il volume poligonale della Casina, richiama le fabbriche che in quegli stessi anni si andavano compiendo ad opera degli epigoni del Vanvitelli, primo fra tutti il Collecini, nei diversi siti reali borbonici e in particolare a Carditello. Alieno da ogni compiacimento formalistico, Carlo Vanvitelli affida qui l’effetto a semplici riquadri di stucco sulle pareti ed a scarne cornici intorno alle finestre. Il corpo inferiore più ampio, fa da terrazza al piano nobile e mostra un arricchimento del tema figurativo nelle paraste a bugne piatte, coronate da decorazioni in stucco con motivi marini (conchiglia e granchio). Le conchiglie - di disegno diverso al piano nobile ed al piano terra - hanno anche valore allusivo, perché la pesca che vi si faceva era quella delle ostriche che venivano raccolte poco prima di Natale ed anche vendute in gran quantità, come ricorda lo stesso Hackert. A tal proposito occorre ricordare che la fama del luogo, da questo punto di vista, fu tale da spingere il re a far costruire nel primo quarto dell’Ottocento una “Ostrichina”, cioè un edificio da adibire al pubblico ristoro, nel quale si può riconoscere senza difficoltà un embrione dell’attuale organismo edilizio a terra. L’estrema semplicità dell’articolazione, richiama assai da vicino l’Oratorio della Scala Santa che Luigi Vanvitelli disegnò per S. Marcellino e Pasquale Mauro diresse, dopo la morte di lui; mentre lo svolgimento irregolare del blocco edilizio, a due corpi coassiali, nel ricordo di esperienze rococò, risulta felicemente inserito nel piatto paesaggio circostante. Preziosi gli arredi interni originali, con sete delicatissime di San Leucio, lampadari sfarzosi, quadri d’autore. Fra i più significativi, nel salone superiore, i dipinti del ciclo delle stagioni di Filippo Hackert e gli otto soggetti religiosi dell’artistica cappellina. Tutto perduto nel corso della Rivoluzione del 1799. Con il ritorno della famiglia reale al potere, qualche anno dopo, si riuscì a mettere insieme altri mobili, quadri e pezzi pregiati. Nei giorni convulsi che conclusero l’ultima guerra, però, la Palazzina fu occupata dalle truppe alleate e subì un secondo, definitivo saccheggio. Soltanto alcuni dipinti ubicati nella cappella, trasportati nella Reggia di Napoli nel 1874 non sono andati perduti e oggi si possono ancora ammirare nelle sale dell’Appartamento Storico nel Palazzo Reale di Napoli. L’opera meno appariscente, ma sicuramente di grande ingegno è rappresentata dal tetto, sorretto da un complesso sistema di travi e supporti che hanno garantito grande tenuta contro gli agenti atmosferici, ma anche notevole resistenza alla natura vulcanica dei Campi Flegrei. Per la sua bellezza e per la particolare ubicazione, la Casina Vanvitelliana è stata da sempre riservata agli Ospiti più illustri, come l'imperatore d'Austria Francesco II e Consorte, il Principe Federico Clemente conte di Metternich, Principe e Principessa di Sassonia e Arciduchessa Carolina, ospiti della Casina Reale nei banchetti trimalcionici, che si ripeterono nel corso delle loro visite del 1819. La sera del 24.3.1846 furono ricevuti Zar e Zarina di Russia in una magnifica festa in loro onore. I sovrani di Prussia pranzarono nella Casina Reale nel gennaio 1859, in occasione della loro visita informale a Napoli, sotto il falso nome di Conte e Contessa di Zollern. Tutta la genealogia dei Borbone di Napoli vi passò, così come re Umberto I e Vittorio Emanuele III in occasione di battute di caccia e di pescate. Ultimo Capo dello Stato ospite della Casina Reale, fu il Presidente della Repubblica Luigi Einaudi, che molti ricordano assieme alla Consorte, con l'aria dei galantuomini signori dell'800 quali erano, sulla carrozzella del popolare vegliardo Polpetta (al secolo, Pasquale Mazzella). Altri personaggi illustri passarono per la “Casina Rossa” quali il grandissimo W. A. Mozart, venuto nella terra cumana a carpire l'atmosfera per sua opera musicale La clemenza di Tito (1791) e il geniale effervescente Gioacchino Rossini, che tra una pescata e una battuta di caccia, scriveva spesso motivi e arie musicali.

L’intervento di restauro
La Casina Vanvitelliana nel corso di due secoli è stata segnata profondamente dai colpi della storia e di una progressiva decadenza a partire dai saccheggi dei giorni della Rivoluzione Partenopea del 1799, dagli eventi sismici del 1805 fino al più recente terremoto del 1980. A seguito degli ultimi eventi bradisismici del 1984 è stata interessata da un intervento di restauro nel 1990-91 dal Gruppo C.S.T.R. - “Consorzio Studi e Tecnologie per il Restauro”: il degrado in cui versava aveva messo in dubbio la sopravvivenza stessa della palazzina, fatiscente ormai nelle sue strutture fondamentali. “Abbiamo pensato di muoverci nell’unica direzione possibile – spiegano i progettisti dell’operazione di restauro –. Come primo obiettivo, avevamo il ripristino dell’efficienza strutturale dell’edificio. Nello stesso tempo, però, l’intervento è stato indirizzato al pieno recupero filologico dell’architettura originaria, liberandola dai troppi appesantimenti successivi che avevano orrendamente stravolto l’elegantissima fisionomia della Casina. La riapertura dei portici e d’alcune finestre murate, ha restituito una morbida luce agli interni, che hanno potuto anche riacquistare l’antica armonia, finalmente liberi da ogni sorta di posticce tramezzature”. Tra gli interventi operati dal Consorzio, si segnalano la ripavimentazione della banchina con basoli in pietra vesuviana ed i consolidamenti effettuati nelle capriate lignee delle coperture, che hanno dato risultati duraturi nel tempo. Il tetto di copertura a più falde è coperto da tegole in laterizio ed è costituito da una complessa struttura portante composta da diciotto diverse tipologie di capriate lignee, puntoni, murali, cantonali e dormienti, poggianti sulle murature perimetrali. Inoltre, con la rimozione delle controsoffittature, è stata riportata alla luce una partitura di grottesche figure, rappresentanti temi di pesca e d’ambiente marino, il cui autore va individuato tra gli artisti che affiancarono il Vanvitelli a Caserta e negli altri cantieri da lui curati nell’area regionale. Per il resto, tuttavia, le condizioni della Casina sono tornate in breve tempo ad un generale stato di degrado, dovuto alla forte aggressività degli agenti atmosferici in ambiente salmastro, alle frequenti inondazioni delle acque del lago ed alla carenza di interventi manutentivi. L’intervento di restauro appena completato, è stato preceduto da una attenta analisi dello stato conservativo in cui versava il monumento, dalle strutture fondali alle coperture, con particolare attenzione alle murature in elevazione. Le murature erano rivestite da intonaci, interni ed esterni, con evidenti fenomeni di degrado causati dall’umidità; degradate le pavimentazioni interne ed esterne che erano già state interamente sostituite nel corso dei precedenti interventi così come anche gli infissi; i solai, le piattabande dei vani e volte intermedie tra i piani, erano stati oggetto di consolidamento e restauro precedenti. In particolare le murature e gli intonaci presentavano alterazioni più o meno pronunciate in funzione dell'orientamento, dell'esposizione ai venti dominanti e dell'altezza dal suolo. Sullo strato superficiale le alterazioni potevano essere ricondotte a due tipologie fondamentali:

  1. alterazioni dovute alla presenza e alla cristallizzazione di sali solubili;
  2. alterazione dovuta alla presenza di licheni, alghe e vegetazione superiore.

In generale, il degrado appariva maggiormente accentuato sulle pareti che guardano verso N-NW; ciò può essere posto in collegamento con il verificarsi delle seguenti condizioni:

  1. posizione isolata della Casina fisicamente inserita nel particolare contesto ambientale del lago costiero;
  2. assenza di qualsiasi protezione o barriera sui lati ovest e nord;
  3. conseguente assenza di protezione dall'azione dei venti provenienti dagli ottanti N e N-W;
  4. elevata frequenza (comprovata da vari documenti relativi a riparazioni e riattazioni) di forti venti che investono la Casina e che non trovano ostacolo se provenienti dal mare.

L’approccio visivo, pertanto, denotava uno stato di degrado avanzato sia superficiale che in profondità degli intonaci e delle pitture esterne ed interne, con distacco ed espulsione dalle murature, unitamente ad un disagio olfattivo e fisiologico, per la persistenza e stagnazione di attività da contaminazione salina e di eccesso di umidità latente negli ambienti. Gli infissi in legno interni ed esterni erano deformati nel loro assetto e in avanzato stato di fatiscenza. Il tutto era aggravato dall’ubicazione del sito, sottoposto all’aggressione e corrosione degli agenti esogeni del clima umido marino. Dall’esame superficiale delle strutture murarie non si evidenziavano lesioni, sia sul piano verticale che orizzontale, che potessero far ipotizzare fenomeni di dissesti strutturali in atto, tranne all’esterno sulla banchina sul versante di ponente dove era visibile una fagliatura nella pavimentazione in basalto lavico, di ampiezza discreta e di lunghezza circa 16 m, con distacco dei basoli in pietra lavica e dei cordoni perimetrali. L’essenza di legno del tetto di copertura, risultava in discreto stato di conservazione, in quanto favorita da una aerazione naturale attraverso aperture laterali; alcune piastre in ferro e bulloni di tenuta degli elementi strutturali si presentavano parzialmente ossidati, ed alcune tegole di copertura risultavano sconnesse. All’esterno gli impianti pluviali di smaltimento delle acque meteoriche, in alcuni punti erano insufficienti ed i pilastrini di tenuta in muratura e le balaustre si presentavano degradati e aggrediti dalla corrosione dovuta a cause ambientali Anche il rivestimento in pietra calcarea dura, dell’area basamentale, era aggredito dalla corrosione e interessato da delaminazione e scagliatura degli strati. Dunque, partendo da tali condizioni, l’intervento di restauro si è articolato con le seguenti lavorazioni principali:

  1. Consolidamento banchina
  2. Revisione del drenaggio vespaio areato
  3. Bonifica murature con barriera impermeabile e realizzazione di intonaco traspirante
  4. Restauro delle decorazioni a tempera delle salette al primo piano
  5. Ripristino stucchi e rifacimento della volta del salone al primo piano
  6. Ripristino delle pavimentazioni originarie del salone al primo piano
  7. Sostituzione delle pavimentazioni in cotto naturale
  8. Sostituzione e ripristino degli infissi in legno
  9. Revisione carpenteria capriate lignee e del manto di copertura
  10. Rifacimento degli impianti e sistemazione di un locale tecnico
  11. Restauro dei lampioni originari e revisione del ponte di collegamento
  12. Ripristino delle tappezzerie e dei tendaggi del salone al piano terra
  13. Riproduzione del Ciclo delle stagioni e stemma borbonico

Il consolidamento della banchina ha riguardato essenzialmente il ripristino delle giunture tra i basoli che si presentano alquanto sconnessi in molte parti perimetrali. L’intervento più importante ha interessato i problemi di umidità, poiché la Casina appariva interessata principalmente da degrado per risalita capillare in tutte le murature del piano terreno, fino ad altezza considerevole. Tale problema accanto agli effetti diretti derivanti dalla presenza di acqua nelle murature e negli intonaci, comportava poi anche una consistente cristallizzazione dei sali trasportati dall'acqua stessa verso le superfici esterne del muro. I sali presenti nell'acqua di risalita, creandosi progressivamente le condizioni di saturazione (con l'aumento dell'evaporazione dell'acqua, praticamente allo stato di acqua distillata, verso l'esterno), cristallizzavano aumentando di volume ed esercitando conseguentemente sui materiali pressioni che possono essere anche assai elevate e che ne provocano la rottura e lo sfaldamento superficiale. L’intervento è stato preceduto da un’attenta analisi e monitoraggio dei luoghi, avvalendosi di consulenze e strumentazioni specialistiche. In particolare, utilizzando il metodo capacimetrico, si è evidenziata una diffusa presenza di umidità in eccesso presente nelle murature, definita dalla letteratura scientifica umidità di risalita e/o ascendente. Il metodo usato è stato quello capacimetro, con l’ausilio di uno strumento termoigrometro a corrente continua, denominato PROTIMETER modello 5835, le letture puntuali sono state controllate e quantificate con il metodo Glaser. L’apparecchio è munito di sonde metalliche da inserire in appositi fori, realizzati nella muratura con trapano elettrico e punte in acciaio da 8mm. Il metodo si basa sulla capacità dei conduttori al passaggio di una corrente, di dare una risposta di corto circuito se esiste una presenza di sali in soluzione all’interno della massa muraria.
I sali originano efflorescenza e umidità ambientale ionizzata, percepibile a livello olfattivo e alterano il benessere fisico e l’ambiente circostante. I sali sono elettroliti e conduttori di 2° classe. Tale presenza viene misurata su una scala valori visibile e tarata sull’apparecchio e marcata da una lancetta, che ne indica l’intensità. Il metodo di misurazione è previsto dall’Unità di Fisica Tecnica di Ricerca del C.N.R. dell’Università Federico II di Napoli e dai Politecnici Italiani e la sua attendibilità è valutata con uno scarto di precisione del 10%. L’intervento è consistito, dunque, nella realizzazione di una barriera chimica con resina a basso peso molecolare eseguita nell’area basamentale della muratura per tutto il perimetro e per tutta la sezione della stessa con sistema a lenta infusione. Sono stati eseguiti una doppia fila di fori sfasati a quinconce, a interasse di cm 20 circa ed a un’altezza di cm 20 dalla quota del pavimento (o dal piano campagna se prevalente). Ciascun foro, con un diametro mm 30, una profondità pari allo spessore di muratura a meno di cm 10 ed un’inclinazione del 15% circa, è stato sigillato con malta premiscelata. Le operazioni sono state accompagnate da altri interventi tesi all’eliminazione di muffe efflorescenze, condense e in generale degli effetti indotti sui materiali. Per ciò che concerne gli intonachi si è proceduto iniziando dalla rimozione dei prodotti di alterazione di origine biologica e della vegetazione superiore (piante cresciute negli interstizi dei rivestimenti) in due fasi: asportazione meccanica; applicazione di preparati inibitori. Successivamente sono state eliminate le stuccature cementizie realizzate nel corso di precedenti restauri, potenziali fonti di alterazione attraverso la produzione di sali solubili. A seguito di tali opearzioni si è provveduto al consolidamento dello strato esterno degli elementi lapidei per arrestarne l'esfoliazione con un’accurata stuccatura degli interstizi e l’applicazione di uno strato esterno protettivo. Per quanto riguarda la finitura cromatica della facciata (intonaco tinteggiato, stucco, materiali lapidei, etc.), si è ritenuto opportuno riferirsi, ove possibile, alla situazione originaria. La documentazione iconografica disponibile non lasciava dubbi circa le coloriture originarie: nella Casina, secondo varie rappresentazioni fra cui quella, famosissima, di P. Hackert ("Ferdinando IV a caccia di folaghe sul Fusaro"), si fa uso della bicromia costituita dal “celestrino” o "color d'aria" e da un colore chiaro con una leggera componente di giallo, che doveva richiamare il colore della pietra: per qualche verso simile al colore della “pietra di Bellona". Nelle successive rappresentazioni della Casina, invece, prevale la tinteggiatura in rosso dei fondi ed in giallo delle modanature e degli stucchi (dipinto di G. Gigante). Tale immagine persiste per tutto l’800 fino agli ultimi lavori di restauro effettuati dal Consorzio C.S.T.R. In questa occasione, prevalse la soluzione del colore “celestrino” che venne impiegato per gli sfondi di tutte le facciate e per le specchiature dei parapetti murari delle terrazze; il "colore della pietra" fu usato invece per tutte le parti in bugnato e, in generale, per le parti in aggetto, per le cornici e le zoccolature. Da un attento esame della iconografia storica, si evince anche la presenza di uno stemma reale sul prospetto principale della Casina. Tale stemma, raffigurato nel progetto originario di Carlo Vanvitelli, viene riportato nelle prime rappresentazioni pittoriche (P. Hackert). Dopo i moti insurrezionali giacobini del 1799, durante i quali furono abbattute molte delle le effigie del potere monarchico, la Casina rimase depredata nel suo interno e danneggiata all’esterno. Pertanto, nei successivi dipinti, dopo il ritorno del re Borbone, appare priva dello stemma e ridipinta in rosso (G. Gigante). L’attuale scelta progettuale ha mirato al recupero dell’immagine della Casina seguendo una rigorosa metodologia di rispetto dell’istanza storica con il recupero dell’immagine settecentesca originaria consistente nell’uso del fondo “celestrino” o "color d'aria" e la ricollocazione dello stemma reale. Le coperture sono state oggetto di un’attenta revisione e manutenzione che ne hanno consentito la conservazione senza interventi inutilmente invasivi. Per i serramenti interni ed esterni che presentavano caratteristiche e stato di conservazione tali da consentirne il recupero, si è proceduto ad una revisione/reintegrazione; gli infissi non recuperabili sono stati sostituiti con nuovi serramenti realizzati con le stesse caratteristiche di quelli preesistenti. Previa realizzazione o ripristino di drenaggi e dei massetti di pendenze, è stata posta in opera una nuova pavimentazione in cotto rustico sui terrazzi; i vani interni al piano terra sono stati pavimentati con cotto naturale mentre negli ambienti del piano superiore è stata realizzata una pavimentazione in cotto maiolicato riproducente una “riggiola” originaria marchiata “Giustiniani”, in sostituzione del precedente ed inadeguato cotto di tipo industriale. Sono stati completamente rinnovati gli impianti idrico, igienico-sanitario, elettrico, antintrusione, trasmissione dati, climatizzazione ed antincendio). Infine, per accedere al sottotetto e garantirne per garantire un efficiente controllo e manutenzione delle strutture di copertura e per poter visionare l'interessante sistema di capriate lignee, è stato realizzato un collegamento stabile di minimo ingombro in prossimità del locale igienico del primo piano, inserendo una comoda scala a chiocciola in ferro zincato.

 

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