SFOGLIATELLA
So’ doje sore: ‘a riccia e a frolla.
Miez’a strada, fann’a folla.
Chella riccia è chiù sciarmante:
veste d’oro, ed è croccante,
caura, doce e profumata.
L’ata, 'a frolla, è na pupata.
E’ chiù tonna, e chiù modesta,
ma si’ a guarde, è già na festa!
Quann’e ncontre ncopp’o corso
t’e vulesse magnà a muorze.
E sti ssore accussì belle
sai chi so’? So’ ‘e sfugliatelle!
La storia non è quasi mai dolce.
Ma ogni dolce ha la sua storia. A volte faticosamente ricostruita, in qualche
caso spudoratamente inventata. La storia della sfogliatella appartiene alla
prima categoria. Di questo dolce tipicamente partenopeo si può tracciare una
precisa topomonastica.
Avete letto bene; topomonastica, perché il topos
della sfogliatella è un monastero. Quello di Santa Rosa, sulla costiera
amalfitana, fra Furore e Conca dei Marini.
In quel sacro luogo si pregava tanto, ma,
trattandosi di un convento di clausura, non si poteva andare da nessuna parte,
e quindi di tempo libero ce n’era in abbondanza. Una parte di esso veniva
speso in cucina, amministrata in un regime di stretta autarchia: le monache
avevano il loro orto e la loro vigna, così da ridurre i contatti con l’esterno,
e amplificare quelli con l’Eterno. Anche il pane le religiose se lo facevano da
sole, cuocendolo nel forno ogni due settimane. Il menu era uguale per tutte (ci
mancherebbe): soltanto le monache anziane potevano godere di un vitto speciale,
fatto di nutrienti minestrine.
Un giorno di 400 anni fa (siamo nel 600) la suora
addetta alla cucina si accorse che era avanzata un po’ di semola cotta nel
latte. Buttarla, non se ne parlava proprio. Fu così che, ispirata dall’Alto, la
cuoca ci buttò dentro un po’ di frutta secca, di zucchero e di liquore al
limone. “Potrebbe essere un ripieno”, si disse. Ma cosa poteva metterci sopra e
sotto?
Preparò allora due sfoglie di pasta aggiungendovi
strutto e vino bianco, e ci sistemò in mezzo il ripieno. Poi, siccome anche in
un convento l’occhio vuole la sua parte, sollevò un po’ la sfoglia superiore,
dandole la forma di un cappuccio di monaco, e infornò il tutto.
La Madre Superiora sulle prime fiutò il dolce
appena sfornato, e subito dopo fiutò l’affare; con quest’invenzione benedetta (e
ancor meglio fatta) si poteva far del bene sia ai contadini della zona, che alle
casse del convento.
La clausura non veniva messa in pericolo: il dolce
veniva messo sulla classica ruota, in uscita. Sempre che, sia chiaro, i villici
ci avessero messo, in entrata, qualche moneta.
A questo dolce venne dato, inevitabilmente, il nome
della Santa a cui era dedicato il convento.
Come tutti i doni di Dio, la Santarosa non poteva
restare confinata in un sol luogo, per la gioia di pochi.
La divina Provvidenza è un po’ come la dieta:
funziona, ma non bisogna darle fretta. La santarosa ci mise circa centocinquant’anni
per percorrere i sessanta chilometri tra Amalfi e Napoli.
Qui arrivò ai primi dell’800, per merito dell’oste
Pasquale Pintauro.
I napoletani staranno protestando: ma no!, Pintauro
è un pasticciere, e non un oste. Invece nei giorni di cui stiamo parlando era
effettivamente un oste, con bottega in via Toledo, proprio di fronte a Santa
Brigida. Che rimase un’osteria fino al 1818, anno in cui Pasquale entrò in
possesso, per una via che non è mai stata chiarita, della ricetta originale
della santarosa. Quell’anno ci furono due conversioni: Pintauro da oste divenne
pasticciere, e la sua osteria si convertì in un laboratorio dolciario.
Pintauro non si limitò a diffondere la santarosa:
la modificò, eliminando la crema pasticciera e l’amarena, e sopprimendo la
protuberanza superiore a cappuccio di monaco.
Era nata la sfogliatella. La sua varietà più
famosa, la cosiddetta “riccia”, mantiene da allora la sua forma triangolare, a
conchiglia, vagamente rococò (con una sola c, da non confondersi con il roccocò,
altro famoso dolce napoletano).
Oggi la sfogliatella si può assaggiare in tutte la
pasticcerie di Napoli, con soddisfazione. Se si cerca l’eccellenza, la bottega
di Pintauro sta sempre là: ha cambiato gestione, ma non il nome e l’insegna, e
nemmeno la qualità. Che resta quella di quasi duecento anni fa.
Al viaggiatore che arriva alla stazione di Napoli,
o che abbia almeno venti minuti fra un treno e l’altro, si consiglia di fare un
salto da Attanasio, a Vico Ferrovia, che sforna sfogliatelle calde a getto
continuo. Sulla sua “puteca” c’è scritto: “Napule tre cose tene belle: ‘o mare,
‘o Vesuvio, e ‘e sfugliatelle”. Un ‘avvertenza: storditi dal profumo della
sfogliatella appena sfornata, ormai nelle vostre mani, evitate di addentarla
voracemente. La caratteristica sfoglia lamellare è calda, ma il ripieno di
ricotta è rovente.
Tra Amalfi e Positano,mmiez’e
sciure
nce steva nu convent’e clausura.
Madre Clotilde, suora cuciniera
pregava d’a matina fin’a sera;
ma quanno propio lle veneva‘a voglia
priparava doie strat’e pasta sfoglia.
Uno ‘o metteva ncoppa,e l’ato a sotta,
e po’ lle mbuttunava c’a ricotta,
cu ll’ove, c’a vaniglia e ch’e scurzette.
Eh, tutta chesta robba nce mettette!
Stu dolce era na’ cosa favolosa:
o mettetteno nomme santarosa,
e ‘o vennettene a tutte’e cuntadine
ca zappavan’a terra llà vicine.
A gente ne parlava, e chiane chiane
giungett’e’ recchie d’e napulitane.
Pintauro, ca faceva ‘o cantiniere,
p’ammore sujo fernette pasticciere.
A Toledo nascette ‘a sfogliatella:
senz’amarena era chiù bona e bella!
‘E sfogliatelle frolle, o chelle ricce
da Attanasio, Pintauro o Caflisce,
addò t’e magne, fanno arrecrià.
So’ sempe na delizia, na bontà!
Quando Re Ferdinando di
Borbone assaggiò per la prima volta una croccante sfogliatella preparata da Suor
Matilde dell'antico Convento di Santa Rosa sulla Costiera Amalfitana, capì di
aver trovato la chiave d'accesso alle Corti di tutta Europa: quante di quelle
teste coronate avrebbero resistito a quella "Macchiavellica" tentazione? Quante
alleanze si sarebbero create grazie a quello splendido ricamo profumato?
Ma c'era un problema!!
Suor Matilde era in clausura e mai e poi mai avrebbe potuto seguire Re
Ferdinando nei suoi viaggi politici diplomatici: né, d'altronde, sarebbe stata
cosa gentile per il Re invadere le cucine di quelle Corti con i suoi cuochi. Non
ci fu rimedio! Re Ferdinando dovette rinunciare a questo suo progetto proprio
perché sapeva fin troppo bene che le "sfogliatelle" vanno mangiate croccanti.
RICETTA SFOGLIATELLA RICCIA
Ingredienti per 6 porzioni:
Farina tipo 00, 400 gr.
Ricotta, 250 gr.
Zucchero a velo: 200 gr.
Semolino: 150 gr.
Canditi misti 150 gr.
Zucchero semolato: 50 gr.
Un uovo e 2 tuorli
Essenza di vaniglia
Cannella in polvere
Sale
Burro, 170 gr.
Posta la farina in una capace
ciotola, incorporatele 100 g di burro, lo zucchero semolato, un pizzico di sale
e la poca acqua sufficiente a ottenere un impasto sodo ed elastico che, datagli
la forma di una palla, farete riposare coperto per un'ora al fresco. Fatto
bollire in una casseruolina mezzo litro circa d'acqua leggermente salata,
versatevi il semolino a pioggia: ripreso il bollore, mantenetelo 5 minuti,
rimescolando. Tolto il semolino dal fuoco, fatelo freddare e trasferitelo in una
terrina: incorporate la ricotta, 150 g di zucchero a velo, un uovo, i canditi
sminuzzati, una goccia d'essenza e un'idea di cannella. Fate riposare il
composto in frigorifero, coperto da un tovagliolo.
Fate liquefare 50 g di burro. Stendete la pasta sulla spianatoia infarinata: la
sfoglia dovrà essere più sottile possibile e di forma rettangolare: tagliatela
in 4 pezzi di eguali dimensioni, spennellateli di burro e sovrapponeteli. Fate
riposare mezz'ora. Arrotolate strettamente le sfoglie sovrapposte, rifilate le
estremità del rotolo e tagliatelo a fette larghe 1 cm circa.
Poggiata orizzontalmente una fetta sulla spianatoia, spianatela delicatamente
con il matterello, agendo da centro verso sinistra in alto, quindi dal centro
verso destra in basso. Otterrete una larga losanga al centro della quale
depositare un poco di ripieno. Piegatela in due, facendo aderire i bordi e
sigillandoli: adagiate la sfogliatella su una teglia da forno imburrata. Acceso
il forno, regolate il termostato 200° C. Ripetete sino a esaurimento:
spennellate le sfogliatelle di tuorlo sbattuto e fatele cuocere per 20 minuti;
abbassato il termostato a 180°C, portatelo a 160° C dopo altri 20 minuti fate
cuocere altri 10 minuti. Servite le sfogliatelle calde cosparse dello zucchero a
velo residuo.
F.lli
Attanasio
Vico Ferrovia 2/3/4 - Napoli, Tel. 081 28.56.75
Antico Forno di sfogliatelle calde.
Napule tre cose tene belle...
o' mare
o' vesuvio
e e' sfugliatelle
Pintauro
Via Toledo, 275 - Napoli, Tel. 081 41.73.39
E' il regno della sfogliatella. Ma anche dei pasticcini, e di tutti i dolci
fatti "in casa". Il piccolissimo negozio non ha perso la patina di antico e il
buon sapore e profumo di lievito, farina e zucchero cotti al forno.
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