UN  MISCONOSCIUTO  TESORO  CAMPANO
IL  MUSEO  ARCHEOLOGICO  NAZIONALE  DI  PONTECAGNANO
 

La Campania, questa terra beata, dove miti e storia posero la loro sede e che ogni anno attira migliaia di turisti con l’incanto dei suoi paesaggi, del suo immenso patrimonio archeologico e artistico, con la feracità dei suoi campi, che fecero dare alla pianura, sin dall’epoca romana, l’appellativo di Campania Felix (da campus - terra pianeggiante), continua a stupirci con i reperti che giornalmente affiorano dal passato. Basti vedere  i tesori venuti alla luce  a Napoli  dai molti scavi per le stazioni della metropolitana e ogni tanto affiorano in tutta la regione, tanto da far dire al grande Maiuri: “In Campania il patrimonio archeologico che sta sotto terra è più grande di quello che sta sopra”.

Si è molto scritto e parlato dei siti archeologici di Pompei, Ercolano e delle grandiose ville stabiane  distrutte dall’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C.; dei Campi Flegrei, con le importanti  città ricche di storia e le note sorgenti termali; della pianura paestana con i suoi magnifici templi e le  famose necropoli, ma c’è un sito di cui non si conosce a fondo l’importanza perché poco propagandato: il sito di Pontecagnano nel Salernitano, che da un cinquantennio ad oggi ci ha restituito un ambiente di grande fascino  e profonda suggestione  Una realtà apparsa all’improvviso con una grandissima quantità di reperti affiorati sotto le ruspe dell’intensa attività edilizia degli anni ’50 ,’60  nella zona e  che è stata per gli archeologi una vera “sorpresa”in quanto ha documentato un importantissimo insediamento etrusco in corrispondenza dell’attuale comune di Pontecagnano - Faiano, a 10 Km a sud di Salerno, l’insediamento  più meridionale di questo popolo non ancora conosciuto a fondo.

Già  Plinio il Vecchio  nella sua “Naturalis Historia” (Liber III-70) aveva appena accennato a questo territorio che “a Surrentino ad Silernum amnem XXX m.p.ager Picentinus fuit Tuscorum, templo Iunonis Argivae ab Iasone condito insignis, intus oppidum Salerni, Picentia”. Le fonti letterarie antiche non ci dicevano molto.  Si conosceva l’esistenza del tempio edificato da Giasone e dedicato  ad  Hera  Argiva alla foce del Sele (i cui reperti si trovano oggi nel museo di Paestum)  e della creazione,  nell’età romana della città di Picentia  nella prima metà del III sec. a. C. ma, oltre a queste poche notizie e ai pochi, ma importanti  reperti archeologici ottocenteschi trovati in zona e certamente non riferibili agli Etruschi, non si sapeva altro.

 L’esplorazione intensiva delle necropoli, iniziata nel 1964, grazie all’attenta politica di tutela da parte della Soprintendenza Archeologica di Salerno (in particolare sotto la direzione di P.C.Sestieri, B.D’Agostino e G.Tocco) in collaborazione con Università Italiane e straniere (Napoli “Orientale”, Salerno, Molise, Danimarca), ha fruttato un patrimonio, ad oggi, di oltre 12000 tombe di cultura villanoviana, contenenti ricchi corredi funerari della Prima Età del Ferro (fine X,IX,VIII sec.a.C.) e della Seconda Età del Ferro, convenzionalmente definita periodo  Orientalizzante (ultimo quarto dell’VIII,VII, primo quarto VI sec. a. C.),  che documentano la grande funzione di emporio  svolta  nel corso del tempo dal grande centro etrusco-campano  allorché, nel momento di massima fioritura, il potere è saldamente detenuto da principes  che si pongono al vertice di gruppi gentilizi paragonabili a quelli dell’ Etruria e del Lazio.

Altri scavi, oggi racchiusi nel Parco archeologico a poca distanza dal museo, hanno riportato alla luce anche la parte centrale dell’antica città romana di Picentia, fondata  nella prima metà del III sec. a. C. che, dai primordiali nuclei di povere capanne dei Piceni, il primo popolo che, secondo Strabone (Geografia 5,4,13)  abitò la regione,  si estese su una superficie di 80 ettari con importanti fabbricati e assetto viario del quale oggi ci resta solo il centro con il suo asse maggiore  intersecato da due assi viari perpendicolari e due insulae nelle quali sono state individuate fasi costruttive databili tra il III sec. a. C. e il V-VI sec. d. C. La vasta area destinata a verde, che circonda il Parco archeologico è attrezzata a parco-giardino, dove si può trascorrere una rilassante giornata respirando a pieni polmoni la balsamica aria di aperta campagna,  inondata dagli effluvi del vicino mare e dal profumo dei molti  alberi da frutto.

La colonizzazione di questa regione da parte degli Etruschi, iniziata con lo sfruttamento agricolo , fu dovuta al particolare interesse verso le due aree più fertili: la pianura di Capua e l’Agro Picentino attorno ai fiumi Volturno e Picentino. La morfologia del territorio era diversa a quei tempi. La costa era formata da ampie lagune che fungevano da scali navali  ben protetti dalle colline alle spalle per cui la Campania costituiva un naturale punto di passaggio sulle rotte della Sicilia e del Mediterraneo orientale e della penisola ellenica in particolare, con la quale si instaurò un grande traffico commerciale che rese prospere tutte le antiche città campane (Oltre Pontecagnano, la città più importante, allora posta su una collinetta, c’erano le città di Capua, Capodifiume, Sala Consilina e la fortezza, eretta dai Romani,  della nascente Salerno).

Momenti di intensa e lirica emozione furono vissuti dagli addetti ai lavori del suggestivo centro campano negli anni del riassetto del territorio. Le ruspe che aprivano le strade al cemento trovavano davanti a loro gli archeologi che ricuperavano giorno per giorno le piccole e le grandi testimonianze del passato: fibule ad arco, collane e bracciali d’oro e di ambra di squisita fattura, ma anche armi, morsi di cavallo, rasoi lunati, (con la lama a forma di mezzaluna),  strumenti di lavoro, vasi, e utensili di vita quotidiana, elementi di telaio. Oggetti tutti rinvenuti in  due grandi  necropoli,   catalogati amorevolmente ed esposti nel nuovo Museo Archeologico Nazionale, intitolato agli “Etruschi di Frontiera”  inaugurato il 21 aprile del 2007 con un allestimento corrispondente ai nuovi criteri museografici e didattici, dovuto alla perizia dell’allora Sovrintendente, dott.ssa Giuliana Tocco  e ai suoi collaboratori, fra i quali la dott.ssa Mariassunta  Cuozzo, professore associato di Etruscologia e antichità italiche  presso l’Università degli  Studi del Molise e docente incaricato presso l’Università degli Studi di Napoli l’Orientale. Attualmente Direttore degli scavi nel Parco Archeologico  dell’antica Picentia.

Gli Etruschi campani erano genti di cultura villanoviana, da Villanova, frazione del comune di Castenaso, in provincia di Bologna dove, tra il 1853 e il 1855, l’archeologo e storico Giovanni Gozzadini (1810-1887) ritrovò i resti di una necropoli, portando alla luce 193 tombe (di cui 179 ad incinerazione e 14 ad inumazione.) Le tombe delle necropoli dell’Agro Picentino, databili dalla Preistoria a tutta l’età romana, passando attraverso tutte le fasi della civiltà etrusca, sono caratterizzate appunto dall’aspetto di questa cultura. In una prima fase le ceneri dei defunti venivano ospitate in urne di massiccia terracotta, a forma  di vaso biconico, di olla o di anfora,  deposte in tombe a fossa e a cassetta ed erano chiuse da scodelle rovesciate e talvolta anche da elmi per alcune sepolture maschili. Poche scodelline di terracotta costituivano il misero corredo funerario.

Col passare dei secoli accanto alle ceramiche indigene grossolane e massicce, troviamo quelle d’argilla fine dipinta a motivi geometrici di fattura micenea, che comprovano la frequentazione di genti provenienti dall’Egeo. Il contatto con questi esploratori che sulla  nostra costa fondarono  Cuma, la prima colonia greca, rappresenta per gli Etruschi il grande salto di qualità. Pontecagnano vive la sua stagione più lunga e prospera. Giungono dalle diverse contrade dell’Oriente  e dell’Occidente oggetti  pregiati: vasi di bronzo e d’argento fabbricati da artigiani fenici che firmano i loro manufatti con scritte in caratteri omerici (fra i quali appare con frequenza la denominazione di AMINA, forse il primitivo nome di Pontecagnano), pendagli di ambra, amuleti  egizi a forma di scarabeo, unguenti e profumi conservati in recipienti della fine ceramica di Corinto. Nelle necropoli compaiono tombe principesche  a cassa, del tutto simili a quelle del mondo omerico  con le ceneri del defunto avvolte in un panno porporino e racchiuse in grossi calderoni  d’argento  o di metallo, attorniate da tutti gli oggetti più significativi dello stato sociale del defunto.  Per questo il museo è stato intitolato: “Gli Etruschi di frontiera” Pontecagnano diventa una terra di frontiera  in cui si fondono  due civiltà a contatto: l’etrusca impregnata di classicismo e la nuova protagonista della storia, la superba Roma.  Picentia insorgerà due volte contro Roma, alleandosi ai Cartaginesi  di Annibale, ma alla fine verrà sconfitta e gli abitanti perseguitati e dispersi.

Purtroppo questo interessantissimo museo è ignorato anche dagli stessi campani.  Non esiste un catalogo nel museo né, tantomeno, qualche pubblicazione nelle molte librerie della zona. E perfino i dépliant della Provincia, pur  tanto ricchi sulle altre necropoli  paestane e lucane (“Tomba del tuffatore,” tombe greche e lucane a camera, affrescate, Civiltà del Gaudo) non ne fanno menzione, limitandosi al solo titolo, senza una parola di spiegazione, Dovrebbe essere l’obiettivo prioritario dell’Amministrazione provinciale salvaguardare e propagandare i tesori oltre le bellezze naturali del territorio salernitano. Non dimentichiamo che la  Provincia di Salerno accoglie due costiere, i siti UNESCO di Paestum, Velia e Certosa di Padula con uno straordinario patrimonio culturale e archeologico; che, oltre ad essere terra di bandiere blu, ospita il Parco Nazionale più grande d’Europa  comprendente  il Cilento, il Vallo di Diano e gli Alburni; che è Riserva della Biosfera dal 2010 e primo parco italiano diventato Geoparco.

Assistiamo, invece al disinteresse assoluto degli amministratori e dello Stato, che  mostrano immobilismo e abbandono, tenendo i siti archeologici senza controllo, i monumenti e il paesaggio dileggiati  dal cemento e dalle erbacce. Non hanno capito  che l’arte è cultura e che l’Italia potrebbe vivere solo di turismo.  Gli stessi operatori turistici della zona operano, come ebbi a deplorare su “Cronache Cilentane”, la più autorevole voce della mia terra, nelle loro “gabbie isolate”. C’è bisogno di una maggiore coesione  e maggiore pubblicità a livello nazionale, non locale,  se si vuole arrivare ad un turismo internazionale.

Pontecagnano  etrusca è attualmente oggetto di un Progetto mirato alla valorizzazione e alla promozione della conoscenza di questo importante centro in ambito regionale, nazionale e internazionale. Il Progetto si avvale della sinergia tra diverse istituzioni e associazioni - Soprintendenze, Università, Comune, Lega Ambiente, Rotary Club – ma è auspicabile il progressivo contributo di più soggetti pubblici e privati interessati.

Renata  Ricci  Pisaturo

 


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