RITORNO ALL’ISOLA VERDE
Si staglia da lontano in tutta la
maestosità del suo monte Epomeo quest’oasi verde della natura, adagiata lì,
dal Padreterno in un momento di umore eccellente.
Per chi si vanta di essere andato in uno
qualunque dei paradisi tropicali, questa perla dell’arcipelago partenopeo,
la più grande per estensione, offre un cocktail di mare e di verde che non
ha l’uguale. A mano a mano che ti avvicini, quello che ti colpisce di più è
proprio il verde che l’ammanta tutta, il verde in tutte le sfumature che le
hanno valso l’appellativo di “isola verde”.
Meta obbligatoria per chi visita Napoli
e dintorni, essa vede un flusso continuo di viaggiatori che raggiunge,
naturalmente, il clou nei mesi estivi. A chi approda nel piccolo porto
circolare che rappresenta uno dei pochi ricordi piacevoli del regno
borbonico, è bello vedere imbarcazioni straniere di tutti i tipi, ancorati
lì, fianco a fianco. Gli odierni vacanzieri, che conquistano la propria
estate a vele spiegate, vi giungono in barca, complice il mare che unisce i
luoghi più lontani. Il mare, che sulle coste dell’isola vide approdare le
più disparate genti, poco importa che fossero i primi colonizzatori greci
che ne sfruttarono il sottosuolo argilloso, dandole il nome di Pithekussa
, o i romani, che le cambiarono il nome in “Aenaria“, la terra dei vini
o i pirati arabi che sistematicamente la devastarono e la chiamarono “Ischra”,
l’isola nera. Oggi sono i magnati dell’industria europea o americana,
consapevoli, oltre che delle sue bellezze naturali, del suo straordinario
patrimonio termale che ne ha decretato l’eterno successo.
L’isola è di tutti. Essa si offre,
bella e affascinante, come la consistenza di un sogno, col suo retaggio di
storia, di cultura, di testimonianze di tante civiltà, di natura, del suo
eccezionale clima che ha favorito la sua vegetazione lussureggiante:
un’isola completa, rispondente a tutte le aspettative. Raramente la realtà
corrisponde al sogno ma nessuna terra, scolpita come questa dai capricci di
un vulcanesimo che l’ ha stravolta ripetutamente nei secoli, è riuscita a
preservare in una magica armonia questi suoi tesori.
Purtroppo, pur rimanendo col
suo fascino inalterato, l’isola, abbandonati i ritmi lenti di una volta,
vive oggi nel dinamismo del presente; essa è movimento in ogni senso, una
sorta di caos di vitalità e d’inquietudine. Gente che arriva, gente che
parte, da sempre, per ammirare le sue bellezze o godere i benefici delle sue
miracolose acque termali, sfruttate da uomini intelligenti. Ma l’uomo ha
anche approfittato della sua bellezza non sempre con intelligenza e non le
ha risparmiato gli scempi che oggi vediamo per i continui colpi inflitti a
tutto il territorio. Le sue piccole e grandi baie, una volta accessibili
solo via mare o per tortuosi sentieri, immortalate da registi, pittori,
fotografi, poeti e musicisti, pullulano di ristoranti e di bar e di migliaia
d’imbarcazioni a togliere tutta la poesia al paesaggio; le spiagge sommerse
da ombrelloni e lettini e tutta una moltitudine di vacanzieri affolla fino
all’inverosimile le strade e il lungomare.
Il progresso è progresso. Le
oasi sono state massacrate dal cemento. Ischia la mondana che Lamartine un
giorno definì: “ le chef d’oeuvre du golfe de Naples, d’Italie, du monde”,
si offre oggi al turismo internazionale con alberghi fra i più belli del
mondo, col suo ricchissimo patrimonio termale, definito un tempo “una
miniera d’oro” da Strabone nella sua colossale opera ”La geografia”,
valorizzato in moderni centri di benessere in ambienti elegantissimi di
grande fascino, celebri in tutto il mondo. Ma quando tutto il caos estivo
finisce e spazio e tempo si fermano è allora che l’isola regala con i suoi
angoli momenti paradisiaci di struggente romanticismo e ritorna ad essere
l’Ischia di tanti anni fa , sia pure invasa dal cemento.
E mi piace andare col
pensiero a quella che era l’isola negli anni del dopoguerra. Essa era la
classica villeggiatura per famiglie con figli per le sue bellissime spiagge,
le fresche pinete, la lussureggiante campagna nelle località costiere e i
paesini immersi nel verde dei boschi per coloro che preferivano la collina.
Un’isola completa, frequentata anche in primavera e in autunno per le cure
termali nelle primissime terme di Ischia Porto, di Casamicciola e di Lacco
Ameno, già note ai grandi viaggiatori del ‘700, provenienti dal Nord Europa:
i ricchi viaggiatori francesi del Gran Tour e il teutonico popolo dell’Italienische
Reise. Non aveva nulla di mondano se non l’esclusiva clientela delle terme
appena realizzate dal mago Angelo Rizzoli, le grandiose Terme Regina
Isabella, frequentate da una clientela internazionale, che diedero inizio
alla magica attrazione dell’isola. .
Vi si arrivava col vaporetto
di linea e la traversata durava un’ora e mezza. La sagoma dell’isola che si
stagliava, appena doppiato Capo Posillipo, dietro il piatto contorno
dell’antistante, dolce Procida, faceva già presupporre l’importanza di
quella che è la più grande, per estensione, delle isole partenopee. A mano a
mano che ti avvicinavi, i turisti si affollavano sulla tolda attratti, ieri
come oggi, dalla magia di quel verde, rimasto, fortunatamente, intatto.
Già lo scoglio sovrastato
dall’imponente meraviglia architettonica che è il Castello Aragonese, alla
sinistra della spiaggia dei Pescatori di Ischia Ponte, era il biglietto di
presentazione che rivestiva l’isola anche sotto il profilo storico, come
possono esserlo i grandi, elegantissimi hotel del secolo scorso affacciati
sul porto di Sorrento che hanno ospitato celebri personaggi o la parete a
picco del “salto di Tiberio” a Capri o la falesia di Terra Murata a Procida.
Anche allora era di
prammatica per chi si fermava o aveva un po’ di tempo a disposizione, fare
il giro dell’isola via terra. Oggi lo si fa in sfreccianti auto o nelle
caratteristiche motorette ma una volta, più poeticamente, lo si faceva in
carrozzella. Ed erano tante le carrozzelle dell’isola, con i cavalli tutti
infiocchettati che ti mettevano allegria solo a guardarli. Il giro
incominciava dal versante destro.La strada, salendo, s’inoltrava subito nel
verde, offrendo uno dei panorami più belli di quella costa, per poi
ridiscendere sul mare a Casamicciola. Il paesino si presentava, allora, con
le bianche casette, allineate sul lungomare, alte non più di due piani, dopo
il disastroso terremoto del 1883 che l’ aveva raso al suolo, provocando la
morte di 2300 persone. Un odore di zolfo si sprigionava dalle fumarole della
spiaggia e dal mare. Le sue Terme avevano visto la presenza di illustri
personaggi quali Lamartine, Ibsen, Renan, Garibaldi e tanti altri.
La strada, poi, rasentando
il dorato arenile di Lacco Ameno, col suo fungo tufaceo, si snodava fra i
vigneti curatissimi, gli argentei ulivi ed una vegetazione lussureggiante
punteggiata dalle casette dei contadini, tutte bianche e rosate, dalle
caratteristiche scale esterne portanti al piano superiore.
Ricordo, a Forio, il viso di
una sorridente Rachele Mussolini e della figlia Annamaria, rispondere,
agitando la mano, al nostro saluto, affacciate ad una finestrella della
loro modesta casa. Erano l’anno 1954. Forio, chi può dimenticare i tuoi
tramonti che inondavano di luce rosata la bianca facciata di quel piccolo
gioiello che è la Chiesa del Soccorso, a picco sul promontorio ?
Continuando poi per i
vigneti che allora ricoprivano tutto il versante ad ovest, si arrivava alla
perla più bella dell’isola: Sant’Angelo e lì la carrozzella si fermava sulla
strada, che non ha osato mai profanare la magia del luogo. Sant’Angelo era
una poesia e lo è ancora, nonostante le boutique, i bar e i ristoranti che
hanno soppiantato le poche colorate casette dei pescatori e conquistato la
spiaggetta, una volta interamente occupata dalle reti stese ad asciugare al
sole e da qualche barchetta dal nome di santi. In quest’angolo di paradiso
si sprigionava un senso di calma, di serenità che non si riscontrava altrove
e non avresti voluto mai allontanarti.
Si proseguiva poi per i
borghi e i paesi di montagna, Panza, Serrara Fontana e Barano, in mezzo a
boschi di castagni, acacie, lecci, querce e profumati frassini, col loro
simbolismo di foglie che nascono e muoiono. In una delle poche osterie che
ogni tanto s’incontravano sulla strada, ci si fermava a far colazione
degustando quell’ottimo vino locale, fra i migliori dell’Italia del Sud. La
carrozzabile poi serpeggiava fra le profumate eriche, le ginestre e la
macchia mediterranea, con i suoi arbusti selvatici e balsamici.
Il giro terminava al capo
opposto dell’isola nella pineta della suggestiva e residenziale Punta Mulino
con i suoi alberghi più belli. In pineta si trascorrevano i pomeriggi per
ritemprarsi dal calore della spiaggia. L’unica frequentata a quei tempi,
oltre a qualche raro bagnante a Casamicciola e Lacco, era la spiaggia che si
estendeva fra Porto d’Ischia ed Ischia Ponte, proprio di fronte all’isola di
Vivara. Non esistevano stabilimenti balneari e i villeggianti degli anni
quaranta non avevano a disposizione che qualche sdraio in legno, qualche
ombrellone e due baracche che li affittavano e fungevano da bar, ma un
decennio dopo l’arenile era già affollato. Il turismo di massa era
incominciato.
Le altre cale e calette,
accessibili solo via mare o per impervi sentieri, erano meta di escursioni,
come pure l’Epomeo, lo spento gigante, sulla cui vetta, raggiungibile con
gli asinelli noleggiati a Serrara Fontana o a piedi, non c’erano che l’eremo
e la chiesetta di San Nicola, scavati nel tufo e diroccati entrambi. La gita
era bellissima per lo scenario che ti avvolgeva e per l’aria balsamica dei
boschi che si respirava a pieni polmoni. Da lassù il panorama che, oltre a
spaziare a 360 gradi sull’intera isola, arrivava a comprendere il golfo di
Salerno e la costa cilentana , con Capo Palinuro da una parte e il golfo di
Gaeta, con le isole Pontine dall’altra, era mozza fiato e ti ripagava della
fatica dell’ascesa.
Le escursioni culturali sul
Castello Aragonese e le numerose chiese sparse sull’isola erano
l’alternativa culturale a tanto mare e sole.
Voglio finire questi
nostalgici ricordi con la visione paradisiaca di quella che doveva essere
l’isola prima dell’intervento dell’uomo sulle bellezze della sua natura,
così come ci apparve il giorno in cui facemmo una gita in barca alla
spiaggia dei Maronti, la più estesa dell’isola. Sulla lunga striscia di
sabbia non c’era né una casa né anima viva: solo fumarole che si
sprigionavano da una rena rovente da non poterci appoggiare i piedi.
Il marinaio che ci aveva
accompagnati ci aveva edotti sulla proprietà delle acque termali e delle
“stufe”che si facevano nelle grotte di uno dei canaloni che, partendo dalla
spiaggia, fendevano la retrostante collina. Dopo un bagno ristoratore, per
modo di dire perché l’acqua era caldissima, c’inerpicammo per il canalone
indicatoci dal marinaio. Le poche grotte, scavate nella roccia tufacea,
erano delle cellette primordiali, la cui apertura era chiusa da una
lenzuolino bianco. Un sedile di pietra costituiva il primordiale confort. Lì
ci si sedeva a fare la sauna ed era tale il calore che sprigionava la roccia
da farti sudare dopo pochi minuti. Erano custodite da un omone baffuto che
si sperticò a decantare i benefici di quelle acque, secondo lui, adatte
“pe’ e signore ca nun ponno avé’ figli”. Erano quelle le primordiali grotte
della sorgente di acque termali di Cava Scura, la più potente sorgente
termale dell’isola, oggi ancora all’aperto. Facemmo colazione al
“ristorante” dell’omone, una bettola ricavata nella roccia, un po’ più su,
con alici fritte senza farina (non ne aveva) e formaggio locale, il tutto
innaffiato da un magnifico vinello e ci parve di aver mangiato da re.
Trascorremmo su quella
indimenticabile spiaggia tutta la giornata. Non un suono intorno a noi ma
solo lo sciabordio delle piccole onde a cullare il nostro riposo
pomeridiano. Ascoltavamo il silenzio della natura. Come farebbe bene a tutti
ascoltarlo di tanto in tanto ! E’ il linguaggio più melodioso mai udito da
chi sa porgere l’orecchio e la miglior cura per rilassare la travagliata
anima umana.
Questa è l’Ischia che ho
voluto evocare. La deturpazione odierna subita dal paesaggio si riflette su
quello che è oggi l’uomo con tutte le sue inquietudini. Egli dovrebbe avere
un interesse più nobile per i doni che il Signore ha profuso nel mondo e
specialmente in questa nostra terra, la più bella, che tutti ci invidiano
e tramandare ai posteri, non distruggere, ciò che ci è stato elargito.
Renata Ricci Pisaturo |
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1948
Sull'Epomeo
1948
Maronti
1948
1948
1949
Spiaggia dei Maronti
Estate
1953
1956
Terme di Cava Scura
1954
Bagni Termali "Grotte di cava Scura"
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