LE  BOCCHE  PIETRIFICATE  DELL’ISOLA  AZZURRA

Mare e vento hanno lavorato con mani da geniale scultore, dal gusto raffinato e dalla fantasiosa creatività in quella assoluta meraviglia che è l’isola di Capri. E il risultato è ben visibile nei singolari gioielli che sono i Faraglioni, l’emblema dell’Isola e nelle numerose grotte che si aprono come enormi bocche nella nuda roccia. Se ne contano a centinaia: grotte di mare e di terra, le note e le nascoste, queste ultime diventate fresche cantine ove conservare il bianco nettare dei vigneti capresi, ricavate, picconata dopo picconata, dai loro proprietari, abilissimi ad ingrandire le loro “grottelle”. E in questa attività i tiberiani, gli abitanti di Monte Tiberio, non sono superati da nessuno.

Le più belle sono, senza dubbio, le grotte marine, ognuna con la sua peculiarità, a seconda della sua posizione. Verde, bianca, rossa, azzurra, grotte colorate dalla natura e mitizzate dalla fantasia dei barcaioli per compiacere i forestieri. Grotte che l’acqua cheta, talora, lambisce sommessamente e il sospiro della risacca  canta in esse una dolce nenia o che, sferzate e lavate dalla spuma di onde impazzite per la furia del vento, fanno sentire il loro muggito di bestie ferite.

Fare il giro dell’isola in una semplice barchetta a motore, sotto costa, tuffarsi nel blu che ammanta tutta l’isola, esplorare con lo sguardo,  chini sul bordo della barca, i limpidissimi fondali cangianti dallo smeraldo all’azzurro, aspirare a pieni polmoni la salsedine mentre la brezza marina ti accarezza il viso, è un’esperienza da provare. La Grotta Verde, esposta a mezzogiorno e a pelo d’acqua, deve la sua colorazione smeraldina alla luce che si rifrange nella flora marina;  la Grotta Bianca, chiamata anche Meravigliosa, a due livelli,  con le sue stalattiti e stalagmiti ti dà la sensazione di essere davanti  a una scenografia wagneriana. Il colore della sua volta sembra aver selezionato tutti i raggi bianco-opalini della luce. La Grotta Rossa o del Corallo, prende il nome dai pomodori di mare e dal purpureo corallino caprese, che spiccano sulle pareti; la Grotta dell’Arsenale, un dì covo di pirati; quella del Bove, sull’altro versante, esposto alla tramontana, nella quale  il mare furibondo si apre un varco col muggito di un bue e tante altre, di tutte le dimensioni.

E lei, la più straordinaria di tutte, magica grotta che il mare un giorno inghiottì trasformandola in incantesimo. Quante volte, munita di maschera e pinne,  scendendo dalla scaletta della soprastante via, vi sono entrata a nuoto  nell’intervallo fra un turno e l’altro dei battellieri che infilzano, con le loro acrobazie e la loro perizia, le barche fra un onda e l’altra nella piccola bocca socchiusa! Quante volte, dopo la prima esplorazione per rendermi conto del “perché,” vi ho accompagnato gli amici mostrando loro l’arcata sottomarina, il magico portale sommerso, attraverso il quale entra nell’antro la luce del paradiso e quante volte  ho assaporato la gioia di vedere il mio corpo diventare  tutto dipinto di blu  e  di argento lunare! L’immagine poetica che se ne fa in tutte le lingue del mondo è superata dalla realtà. Era una volta ninfeo della villa imperiale di Damecuta, una delle dodici ville di Tiberio sparse sull’isola e ad essa collegato per mezzo di un passaggio, oggi ostruito completamente e ben visibile dall’interno della cavea.

Ma voglio qui parlare di una grotta meno nota, quella del Castiglione, la più grande delle grotte di terra, quel grande sbadiglio che domina tutto il versante della Piccola Marina, a sud dell’isola. Degli  scalini, un dì agibili ed oggi  appena abbozzati nella roccia, fatti scolpire nell’800 da Giorgio Cerio, fratello minore del grande Edwin, la collegano dal basso a Via Krupp. Essa aveva sempre affascinato mio marito e me fin dai primi anni dei nostri soggiorni  capresi: un altro capolavoro del Grande Scultore dell’Universo che, come tutte le bellezze naturali dell’isola, aveva una storia da raccontare e avevamo voglia  di ascoltarla. Essa apre la sua fauce sotto quella specie di castello che sovrasta la cima del Castiglione, il monte che da questa costruzione ha preso il nome. Visto dal mare, lo strano edificio che occupa la scenografia centrale di Capri fra i due monti di Tiberio da un lato e il Solaro dall’altro, può esser preso per un castello merlato medievale. In effetti, tale era in origine e servì da asilo ai capresi durante le invasioni barbaresche. Dopo secoli di abbandono era diventato una masseria, rifugio di contadini e di greggi di ovini e tale  si presentava nel 1700, allorché, per un colpo di fortuna, raccontò il suo nobile passato.

Ferdinando IV di Borbone,  amante della caccia, trascorreva a Capri un paio di settimane  durante la passa delle quaglie. Con la passione ereditata dai suoi augusti genitori per le antiche vestigia, pensò bene, nel 1786 di portarsi dietro il diplomatico austriaco Norbert Hadrava, che aveva  il vezzo dell’archeologia. Un giorno, mentre il re e i cortigiani riempivano i carnieri, Hadrawa, nel corso di una delle sue esplorazioni, salì alla masseria chiamata Castiglione, dove, essendosi dichiarato amante di “cose antiche” gli fu mostrata dai contadini una voragine formatasi al posto di un grande fico sradicato dal vento. In fondo ad essa s’intravedeva una grande caverna che sembrava piuttosto una camera, con  stucchi ancora attaccati alle pareti. Incuriosito, il diplomatico fece allargare la voragine, scoprendo  altri locali con tracce di pavimento e frammenti marmorei sparsi qua e là.

Fu così che Hadrawa, con il permesso del re,  iniziò una campagna di scavi che lo tennero impegnato, in varie riprese,  per due anni, con il patto, però, di consegnare  ai musei del regno i reperti più importanti. Oggi essi si trovano a Capodimonte : pavimenti marmorei e di mosaico, grandi vasi , frammenti di cameo, putti affrescati. oggetti di arredamento e di uso che facevano parte di una delle ville imperiali romane di Capri. I ruderi erano stati abbattuti e la cavità ricolmata a più riprese e da ultimo, in età medievale,  per la costruzione del castello fortificato. Seguirono altri secoli di abbandono fin quando venne acquistato da un nobiluomo italiano che lo restaurò nella stravagante maniera in cui si presenta oggi: una via di mezzo fra il castello merlato e una villa, con un grande finestrone belvedere che si apre sul paradiso. Per un certo periodo la cima del Castiglione fu munita di un cannone e ospitò anche un cimitero a-cattolico per i residenti inglesi e tedeschi di religione protestante, prima che lo si spostasse a Marina Grande.

Nei bei tempi dell’anteguerra Capri, come sappiamo, era l’isola prediletta dalla cafè society, la tappa obbligata di regnanti, di intellettuali e artisti , spiantati e miliardari, il massimo della raffinatezza e della scapigliatura, ma anche il fiore all’occhiello di un regime che aveva fatto dell’isola una vetrina. E proprio il Castiglione venne preso di mira dai gerarchi fascisti dopo che Galeazzo Ciano,  vi aveva costruito, a mezza costa, una villa di trenta stanze, a due piani, circondata da un parco. Come immediata conseguenza si ebbe la dotazione di una strada rotabile costruita dal regime  e una serie di privilegiate villette  per i gerarchi fascisti. Dopo la fucilazione di Galeazzo, nel gennaio del 1944, per alto tradimento, Edda aveva fatto dell’isola e della villa, lasciatole in eredità dal marito, il suo dominio incontrastato.

Negli anni sessanta ancora perdurava l’eco delle dissolutezze della contessa e la grotta del Castiglione veniva chiamata la Grotta di Edda, dai capresi. Si vociferava di notti brave trascorse in essa, di evocazioni alla maniera  tiberiana, di un passaggio, un  sentiero che collegava la villa all’antro illuminato di notte da fuochi ecc, ecc, Pettegolezzi, chiacchiere, maldicenze? Si sa che la fantasia di un popolo galoppa. Decidemmo un giorno, mio marito ed io, di andare ad esplorare la zona. Saliti per la carrozzabile che inizia sulla Via Roma, a fianco dell’Hotel Capri, ci trovammo davanti al cancello d’ingresso del castello e a un terreno incolto, sulla destra, tutto transennato e con tanto di scritta:“Vietato il passaggio”. Ignorato completamente il cartello e con qualche contorsione fra fili spinati e sterpaglie, riuscimmo a trovare l’imboccatura del sentiero scosceso che si delineava sulla parete rocciosa. Camminando a tastoni, mani e piedi per terra, con la prospettiva di precipitare da lassù in qualche tratto nel quale era caduto quel basso muretto di protezione, contenente  a vari intervalli degli incavi bruciacchiati, arrivammo finalmente davanti ad un arrugginito cancelletto chiuso con fil di ferro e, scesi alcuni scalini scavati nella roccia, ci trovammo nella maestosità di quello squarcio di orrida bellezza. La volta era costellata da piccole stalattiti ma di ruderi romani neanche l’ombra, tranne qualche accenno di “opus reticulatum”sulla parete di destra. Sulla stessa parete era una serie di quattro cabine in muratura  e al centro un grandissimo piano di cottura, sormontato da una enorme cappa, il tutto corroso dalla ruggine. Ma quali notti brave? La grotta ci raccontava una storia ben più reale: doveva esser servita da ricovero antiaereo per la povera gente del luogo durante l’ultima guerra per sfuggire ai tremendi bombardamenti che avevano tartassato l’isola, torno, torno, fortunatamente preservata dalla fama mondiale della sua bellezza e dalla sensibilità dei nemici.

Oggi la bianca villa Ciano, scampata al sequestro perché requisita prima dall’Ammiragliato inglese e successivamente dal Comando Americano, restituita  nel ’47 alla contessa perché a lei intestata, spicca ancora su quel versante del  Castiglione, spoglia perfino delle eleganti mattonelle di Vietri  scelte personalmente da Edda,  portate via come souvenir. Il bel ninfeo tiberiano che, secondo il grande Amedeo Maiuri, avrebbe avuto una terrazza panoramica aperta sul golfo, baciato dall’ultimo raggio del sole che va a dormire laggiù verso Ischia, termina qui la sua storia di un passato che ritorna ad essere  presente, oggi, nella memoria umana.

 Renata  Ricci  Pisaturo

 
Grotta del Monaco


Davanti alla Grotta Azzurra


Il Castiglione e Marina Piccola - anni '60


Anno 1962


La grotta del Castiglione


Grotta Bianca - ingresso


Grotta Meravigliosa


Grotta Meravigliosa


Grotta Meravigliosa


Grotta Rossa


Grotta Bianca


Grotta Meravigliosa


Grotta Azzurra


Grotta Verde

Prefazione

Eremita per una delusione d'amore. Si, è questa la vicenda che più mi ha affascinato fra quelle, e sono tante, (trattano non solo di costume, ma anche di storia, di archeologia e perfino di botanica) fra quelle che Renata Ricci Pisaturo racconta nel presente libro. Muoio dalla fregola di riassumerla subito.
Come si chiamasse la donna che
è all'origine di tutto, non è specificato. Di lui sappiamo che rispondeva al nome di Willie Kluck e che era tedesco. Piantato in asso dalla sua bella, cosa ti fa Willie? Si trova una nuova fidanzata, tenta il suicidio, si arruola fra i monaci trappisti? Macchè. Decide, semplicemente, di trasformarsi in eremita e andare ad appartarsi su un pizzo di montagna ove non avere più rapporti con esseri umani. E fin qui niente di strano. L'eccezionalità sta nel fatto che l'eremita sceglie Capri come meta. Il luogo, cioè, che è considerato in tutto il mondo il supremo regno dell'amore. L'isola dell'amore, l'isola per amare, l'isola per essere amati, l'isola in cui fare l'amore o all'amore.
Fosse venuta, questa storia, a conoscenza di Igmar Bergman, da essa sarebbe nato un film-capolavoro pieno di oscuri sottintesi. Fosse, più modestamente, stata fiutata dal sottoscritto, si sarebbe inverata in un servizio da inviato speciale. Catturata invece da Renata Ricci Pisaturo, ha generato un breve paragrafo di poesia in prosa. Grazie, Renata, per aver saputo scoprire e poi narrare questo episodio salvandolo dalla chiassosità spesso volgare.

* * *

Il caso di Willie è solo uno dei tanti trovati o elaborati da Renata Ricci Pisaturo. Fatti ed eventi l'uno più gustoso dell'altro ma che servono non altro che a restituire magia a un'isola che è senza dubbio la più bella del Mediterraneo e che rimane unica al mondo. C'e, in queste pagine, risultato di attenti studi condotti nell'ambito di una vasta bibliografia, il millenario percorso di una Capri che con Augusto viene nel 29 a.C. tolta a Napoli e ceduta a Roma; che con un Roberto d'Angiò diventa teatro nel Trecento di una lotta fra anacapresi e capresi che si rivela secolare; che con il terribile pirata Barbarossa vedrà crollare nel 1536 un castello i cui ruderi sono tuttora intitolati al corsaro; che con un Ferdinando IV – senza dubbio il peggiore e il più sfaticato dei sovrani Borbone dedito solo alla caccia alla pesca al commercio del pesce e a quello del sesso – riesce miracolosamente a ottenere nel 1816, da un archeologo austriaco che i reperti degli scavi rimangano nel regno di Napoli.
Gli appunti storici di Renata Ricci Pisaturo non escludono le epoche più recenti, compreso il periodo successivo alla seconda guerra mondiale. E si concentrano su una donna di nome Edda Mussolini, figlia primogenita del Duce. Edda, e ormai cosa accettata, sposo senza amore e soltanto per opportunità politiche il Conte Galeazzo Ciano che, a differenza di suo padre Costanzo, eroe dei mas durante la Grande guerra, era prevalentemente un bellimbusto. Proprio a Capri la coppia trascorse la sua luna di miele vissuta da lei quasi come un incubo. Asceso anche al rango di ministro e generalmente ritenuto delfino di Mussolini, Galeazzo nella notte del 25 luglio voto contro il suocero. E per questo motivo un tribunale speciale della Repubblica sociale lo condanno a morte. Edda, in quella circostanza, si batte come una leonessa sperando di ottenere la salvezza del marito. Non vi riuscì e l'odio che in lei si sviluppò contro il padre parve insanabile.
Finita la guerra, Edda si rifugio a Capri e, come la stessa Renata Ricci Pisaturo racconta, sul suo passato comportamento se ne inventarono di tutti i colori, attribuendole perfino operazioni che le voci popolari e certi storici avevano ascritto a Tiberio. La stessa Renata Ricci Pisaturo afferma, su basi concrete, che una grotta ritenuta cede di orge era invece utilizzata come rifugio in occasione di incursioni aeree.
A questo punto, chiedendo scusa a Renata Ricci Pisaturo e a chi mi sta leggendo, non riesco a sottrarmi al bisogno di narrare un episodio che fa parte della mia vita. A Capri, per le esigenze del mio lavoro, ho avuto occasione di avvicinare e di intervistare personaggi del-la cronaca ma anche della storia, da Curzio Malaparte a Roger Peyrefitte, da Sasa Magri presunto corteggiatore di Soraya a Pupetto di Sirignano sedicente discendente di San Gennaro. Eccetera eccetera. Fino a Edda Mussolini Ciano.
Mi aveva dato appuntamento nel parterre all'aperto del Quisisana. La trovai già seduta a un tavolino e fu li che si svolse l'intervista. Mi infastidiva, ricordo, la presenza li accanto di un'anziana signora americana. Il colloquio fra me ed Edda comunque, andò avanti molto speditamente. Non so come e non so perché, a un certo punto mi venne fatto di chiederle: "Contessa, lei ha qualche rimorso nei confronti di suo padre?". Mi fulmino con un'occhiata: "Ho il rimorso di non essermi trovata a Dongo accanto a lui quel giorno, il 28 aprile".
La vecchia americana scoppio a piangere. Il giornalista dal cuore impietrito dal mestiere riudì, dentro di se, un verso di Dante ("Se non piangi, di che pianger suoli?") e si convinse che era diretto a lui, quel verso.

* * *

Trovo, nel libro di Renata Ricci Pisaturo, una frase che mi sembra particolarmente significativa: "Io sono rimasta, nel mio nostalgico ricordo, agli anni '60 e '70, quando tutta la baia di Capri era illuminata dall'argentea Luna, oggi completamente offuscata da mille luci". E la riporto, questa frase, non tanto per sottolinearne il significato negativo, quanto per ribadire che alle informazioni di carattere storico, alle notazioni derivanti da ricerche autonome, Renata Ricci Pisaturo ha aggiunto, in un mix di consumata professionalità e genuina spontaneità, suoi ricordi personali. I quali hanno il merito di suscitare, in ciascuno di noi, altri ed altri ricordi.
Bentornata giovinezza.

Vittorio Paliotti


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