arch.Giuseppe Zampino
Soprintendente ai Beni Ambientali e
Architettonici di Napoli e Provincia
Al momento c'è richiesta all'interno della
Soprintendenza di personale qualificato?
Si, ma solo per alcuni settori. Il personale che abbiamo è
certamente qualificato, ma andrebbe integrato con figure professionali che attualmente non
sono previste, quali geotecnici, geologi, strutturisti; per questo motivo, noi
abitualmente ci avvaliamo di professionalità esterne. Solo da qualche anno è stata
introdotta la figura dell'addetto al computer, ma il procedimento d'informatizzazione di
tutto il lavoro che è in atto da alcuni anni, sia negli Uffici periferici che al
Ministero, è carente sotto il profilo professionale. Io mi avvalgo in Soprintendenza di
volontari non avendo addetti al computer; nonostante ciò abbiamo informatizzato gran
parte del lavoro. I nostri uffici sono dotati di molte decine di computer. Quindi c'è
richiesta specifica solo di alcune professionalità ben determinate.
Cosa ne pensa a proposito della creazione di
appositi Albi professionali come quello dei restauratori?
É indispensabile! Attualmente non esiste un Albo professionale per gli
archeologi, per gli storici dell'arte, etc. Questo comporta sul piano operativo una serie
di problematiche; per esempio il lavoro di restauro di un affresco, anche se è di
competenza mista, cioè di un architetto e di uno storico dell'arte, lo può dirigere - in
base alla normativa vigente - solo un architetto, perché la legge generale sui Lavori
Pubblici, prevede che sia un tecnico. Questo ovviamente crea una serie di problematiche di
natura burocratica e quindi è necessario che siano istituiti questi Albi.
Si sta lavorando a questo progetto?
Ci sono due proposte di legge all'esame della Camera per l'istituzione di questi
Albi. La stessa cosa dicasi per l'istituzione dell'Albo dei restauratori. In pratica
abbiamo diplomati dell'Istituto Centrale per il Restauro, ed una serie di scuole di
formazione per restauratori. Queste ultime sono scuole più o meno private e quindi non
rilasciano diplomi riconosciuti da nessuno; sono però comunque una forza lavoro non
indifferente. Le scuole sono di livello molto variabile sotto il profilo qualitativo. E'
necessario, anche in questo caso, l'istituzione di un Albo di restauratori che faccia un
pò di chiarezza nel settore.
Napoli è sede della Scuola di Specializzazione in Restauro dei Monumenti
diretta dal prof. R. Di Stefano; c'è collaborazione tra la Soprintendenza e la scuola?
Ebbene, questa è un Organo Statale che rilascia un diploma giuridicamente
riconosciuto a tutti gli effetti, in quanto è una specializzazione su cui non c'è nulla
da obiettare. Chiaramente nel curriculum dei professionisti che lavorano per noi abbiamo
un occhio particolare per quelli che hanno il diploma di specializzazione.
Quindi già viene utilizzato questo contatto?
Certamente; ma l'affidamento dei lavori di restauro non viene assegnato in senso
esclusivo - cioè riservato - ai diplomati nelle scuole di Napoli o di Roma o di Firenze,
come invece giustamente da questi richiesto. In Italia esistono solo tre o quattro scuole
di specializzazione in restauro dei monumenti.
A tal riguardo potrebbe crearsi qualche problema con l'Ordine Professionale?
L'Ordine non sarebbe d'accordo, perché toglierebbe agli iscritti opportunità di
lavoro. E' comunque una specializzazione che andrebbe meglio valorizzata, altrimenti si
rischia di mettere sullo stesso piano un professionista specializzato con uno che non lo
è, come attualmente avviene.
Quali sono invece i criteri di scelta di una impresa cui affidare lavori di
restauro?
Noi abbiamo un elenco d'imprese cosiddette di fiducia, cioè imprese che
conosciamo perché hanno lavorato per noi da molti anni - ovviamente anche con altre
Soprintendenze - per cui siamo attenti ad esaminare i curricula di queste e le
selezioniamo in base all'esperienza diretta che facciamo sui cantieri. Abbiamo l'elenco di
circa 80 imprese che invitiamo alle gare con una turnazione normalmente di quindici ditte
per ciascuna gara, con il criterio di assegnare lotti successivi al primo alla stessa
impresa che ha fatto il primo lotto; mentre invece il primo lotto va sempre a gara. Questo
in attesa che venga una volta e per sempre approvato il regolamento della legge sui Lavori
Pubblici che riguarda anche il settore Beni Culturali, perché attualmente con la
cosiddetta legge Merloni, noi possiamo ancora applicare i nostri Regolamenti, soprattutto
il 509, che prevede il cottimo fiduciario, procedura semplificata di affidamento dei
lavori, che è stata prevista a suo tempo dal legislatore tenendo conto proprio dell'alto
livello di specializzazione che richiedono i lavori di restauro. Per cui diventa un fatto
discrezionale del Soprintendente scegliere le imprese ed ovviamente assumersene la
responsabilità.
Ultimamente Napoli sta vivendo un grande momento di sviluppo turistico, molti
edifici vengono restaurati, abbelliti; si può evitare che tutto questo non diventi un
fatto occasionale? Perché non si istituisce una manutenzione programmata per tutti gli
edifici restaurati?
Per motivi economici. Ovviamente più che restaurare, dovremmo esercitare la
manutenzione, perchè il restauro è comunque un intervento traumatico per il monumento.
La cosa migliore quindi sarebbe arrivare ad un punto tale di manutenzione per cui si eviti
il restauro. Purtroppo mentre in teoria sembra una cosa banalissima, in pratica non
riusciamo a farlo; abbiamo già un patrimonio ampiamente vulnerato e degradato. Degradato
dalla mancanza di manutenzione, possiamo dire secolare, e vulnerato dai vari eventi
sismici o da fatti più o meno analoghi, quali gli ultimi sinistri incendi ai vari
monumenti famosi in alcune città italiane. Purtroppo, il nostro è necessariamente un
intervento di restauro. La manutenzione, secondo me, può essere legata solo alla
destinazione d'uso. Per far vivere un monumento è fondamentale una volta restaurato che
ci sia una destinazione d'uso che può essere quella originaria o, se nuova, compatibile
con la tutela ed il decoro. La destinazione d'uso comporta necessariamente la
manutenzione. È chiaro che se uno vive il monumento, qualunque sia la funzione, deve
comunque esercitare sull'edificio una manutenzione. Questo è fondamentale, perché a
volte rischiamo di restaurare dei monumenti che vengono richiusi e quindi destinati
rapidamente a degradarsi.
L'altra cosa che invece stiamo cercando di fare è la stesura dei piani organici per
evitare gli interventi a pioggia che per molti anni siamo stati costretti ad adottare,
soprattutto a seguito del sisma del 1980. Ovviamente su di un patrimonio di centinaia e
centinaia di monumenti, vulnerati dal sisma, bisognava intervenire, almeno su quelli più
danneggiati per evitare ulteriori aggravi di degrado. Adesso stiamo cercando soprattutto
di chiudere questi cantieri ed è già un problema, perché in Napoli e Provincia abbiamo
circa 200 cantieri aperti e chiuderli non è facile. Indubbiamente si richiede uno sforzo
economico che riusciamo ad affrontare in percentuale purtroppo piccola. Comunque stiamo
cercando di impostare il discorso su un livello più organico; ad esempio abbiamo
impostato un progetto che è definito "itinerario rinascimentale". Sono
individuate le emergenze architettoniche più significative del periodo rinascimentale
della città di Napoli. Questo progetto presentato è stato finanziato, anche se
ufficialmente non è arrivata ancora la comunicazione, per circa 20 miliardi dal CIPE.
Interverremo su tutti gli edifici rinascimentali significativi della città, in modo che
alla fine avremo veramente un itinerario rinascimentale. Questo, da una parte ci
consentirà di recuperare le testimonianze architettoniche e dall'altra ci consentirà una
valorizzazione di questi edifici, visto anche il momento magico che sta attraversando la
città sotto l'aspetto turistico. La città è stata riscoperta a livello nazionale,
internazionale ed anche cittadino. I napoletani hanno finalmente riscoperto Napoli! Stiamo
quindi andando avanti sviluppando questi progetti organici.
Abbiamo poi un altro progetto per il cento storico in attesa di finanziamento, ma che
dovrebbe essere ormai sulla direttiva d'arrivo. Ovviamente non tutto il centro storico, ma
una parte di esso: un progetto finanziato con fondi comunitari inteso quale "progetto
pilota" che cointeressi il pubblico ed il privato. Nel centro storico abbiamo un
tessuto edilizio che al 99% è di proprietà privata e che costituisce però il centro
storico al di là delle grandi emergenze monumentali. Il vero problema è che su questo
tessuto edilizio noi non possiamo intervenire essendo di proprietà privata; dovremmo
intervenire con lavori in danno. Cosa assolutamente impensabile anche perché non abbiamo
la forza economica di poterlo fare. L'unica speranza è incentivare il privato affinché
intervenga su questi edifici. Tenendo presente anche che gran parte del centro storico è
in mano ad una classe sociale poco abbiente, l'unica speranza è di dare incentivi
economici che consentano a questa classe di intervenire. Tra l'altro, come presidente di
una apposita commissione del Consiglio Nazionale, insieme ai tecnici dell'Ufficio
Legislativo del nostro Ministero, abbiamo redatto una legge sui centri storici e che
adesso è all'esame dei vari Ministeri. Ci auguriamo che arrivi al Consiglio dei Ministri
entro questo mese e che poi inizi l'iter parlamentare. Sarebbe un fatto storico: la prima
legge di tutela da 60 anni a questa parte. Dal 1939 ad oggi, non c'è stato niente,
perché tutti i tentativi di varare nuove leggi di tutela, puntualmente sono stati
affossati. In questa legge abbiamo previsto una operatività da parte dell'Ente locale -
il Comune - notevole, affinchè diventi, ed è giusto che sia così, protagonista del
recupero del centro storico. L'abbiamo chiamata Città Storica, perché motivata anche
dalla Carta di Washington, che è una Carta di 10 anni fa e quindi abbiamo preferito
chiamare il centro storico delle città, "città storica". Sono previsti una
serie di incentivi per i privati, perché siamo convinti che senza l'intervento privato,
non c'è molta speranza di tutelare il nostro patrimonio culturale che è talmente ampio
(il più grande del mondo), che un intervento statale non riuscirebbe a coprire.
L'intervento privato deve essere bene indirizzato, ben sorvegliato, ben canalizzato,
altrimenti passiamo a risultati controproducenti. Penso che si possa proporre ciò,
perché ormai abbiamo raggiunto in questo campo una certa sensibilità e tranquillità; è
ora il momento di operare con i privati.
La Soprintendenza sta organizzando delle mostre di grande prestigio; cosa si
prevede per fine anno?
Queste mostre, come ad esempio Artinmosaico, Artinceramica ed altre che faremo sui
materiali dell'antichità classica e su quelli storici, sono finalizzate a quegli
obiettivi di cui palavamo prima: recupero di materiali storici, rivisitati da artisti e
designer moderni. Questo non solo per rilanciare i materiali, ma anche per recuperare
l'artigianato, che é una delle componenti socioeconomiche del centro storico. Se vogliamo
fare il discorso del recupero del centro storico, dobbiamo anche preoccuparci di
recuperare le componenti socioeconomiche, e tra queste c'è l'artigianato. L'invitare
l'artista o il design di fama e far conoscere poi queste produzioni ai cittadini, sono
tutti discorsi che hanno un legame tra di loro, al di là del singolo evento culturale.
L'arte moderna - in senso lato - in Italia meridionale fino ad oggi non ha avuto grandi
spazi. Quindi ci stiamo preoccupando di farla conoscere e di sensibilizzare l'opinione
pubblica nei riguardi dell'Arte moderna e contemporanea. Forse la nostra tradizione
classica ci ha impedito psicologicamente di costituire un'area per la conoscenza dell'Arte
moderna. Cioè siamo stati sempre troppo interessati all'Arte classica del nostro
patrimonio che all'Arte moderna. Questo ha costituito un grosso handicap perché in
effetti a Napoli e nel Meridione, non abbiamo un museo di Arte moderna, per cui adesso il
Comune sta proponendo Palazzo Roccella quale sede. Io per la verità ho proposto al Comune
una sede che sarebbe il più bel museo d'Arte moderna d'Europa: l'ex Ospedale militare. La
regione militare meridionale era la regione militare meno importante d'Italia; dopo la
caduta del muro di Berlino spostandosi gli interessi verso il mediterraneo, questa è
diventata la regione militare forse più importante d'Italia. Mentre prima una serie di
edifici erano dismessi e chiusi da anni, come l'ex Ospedale Militare, adesso tendono a
rioccuparli. A dir la verità, ho bloccato questo loro tentativo grazie anche al Comando
di Palazzo Salerno, dimostrando una grande disponibilità e sensibilità; siamo riusciti
dopo un anno e mezzo di lavoro a fare questa operazione. Il Comune ha stipulato un
protocollo d'intesa sottoscritto a Roma in pompa magna da tutto il comando di Stato
Maggiore, dal Ministro Andreatta, da Bassolino e dal sottosegretario al Ministero delle
Finanze, in cui è previsto lo spostamento della Nato da Bagnoli al Centro Direzionale. In
questo protocollo d'intesa sono riuscito, grazie anche alla disponibilità dei militari e
del Comune, a far entrare come piccola clausola lo scambio tra un padiglione dell'ex
Ospedale Bianchi con l'ex Ospedale Militare. Attualmente l'ex Ospedale militare, che poi
è il convento della Trinità delle monache, è passato al Comune. Questo ci consentirà
di recuperarlo alla città.
Chi conosce il complesso? Solo coloro che sono andati a passare i tre giorni di visita
militare e nessun altro. E' un complesso enorme, con una valenza storica ed
architettonica; posto strategico, prima riqualificazione dell'area, con spazi enormi e
valenza paesaggistica formidabile. Attraverso una scala mobile di due rampe o con un
ascensore, sarebbe collegato alla funicolare, alla metropolitana ed alla cumana di
Montesanto. È un posto formidabile. Abbiamo lavorato molto per raggiungere questo
risultato, perché se lo rioccupavano i militari, era finito!
Può essere considerato il suo sogno nel cassetto la realizzazione di questo
museo?
Si, ma non sarebbe più competenza mia, bensì dell'altra Soprintendenza.
Attualmente ci stiamo interessando del contenitore, poi dobbiamo pensare al contenuto. Ci
sono varie strade da intraprendere: possiamo recuperare prima di tutto la collezione
Taerremotus di Lucio Amelio, poi la collezione di un noto gallerista che ha donato la sua
collezione di Arte contemporanea composta di 600 pezzi, alla Galleria Nazionale di Arte
Moderna di Roma. Questa collezione, di buona qualità ma non eccelsa, non aggiunge molto
alle collezioni della Galleria di Arte Moderna di Roma, mentre potrebbe essere invece un
punto di partenza per Napoli che non possiede nulla. Bassolino ha recepito questo mio
discorso e lo ha proposto subito a Veltroni; forse si raggiungerà un compromesso. Una
parte di questa collezione potrebbe essere dirottata a Napoli e costituire l'inizio di
questo museo di Arte Moderna.
L'altra cosa da fare è invitare i collezionisti privati a non donare, bensì - come
avviene negli altri musei europei ed americani - a mettere le loro opere "a
deposito" presso il museo, in esposizione, in modo tale da valorizzarle e consentire
al museo di esporle senza pagare e di proporre un avvicendarsi, un ricambio di queste. Con
queste mostre come quella sul Futurismo, vogliamo evidenziare che pure l'Italia
meridionale ha avuto un'importanza notevole nel movimento nazionale futurista. Ci sono
stati una serie di artisti che non hanno trovato fortuna e sono caduti nell'oblio. D'altra
parte il movimento nazionale aveva guardato con grande interesse all'Italia meridionale.
Non ci dimentichiamo che il famoso manifesto di Boccioni era stato fatto a Napoli.
Attualmente, nel settore architettura, sto vincolando tutta la produzione significativa di
questo secolo, a Napoli: dal liberty all'architettura tra le due guerre. Nell'organizzare
questo tipo di mostre vogliamo far conoscere l'importanza di questi architetti e di questa
architettura moderna e contemporanea, attraverso le sue espressioni più significative.
Credo che fino a qualche anno fa non è che si facesse molto. Adesso siamo in crescendo, e
credo di aver contribuito a questo livello qualitativo. Siamo entrati tutti in una specie
di competizione in senso positivo, il Comune organizza mostre Arte moderna, idem i
colleghi di Capodimonte. Insomma si è innescato un procedimento per cui è tutto un
rifiorire di iniziative culturali, e questo è certamente un fatto molto positivo per la
città.
Con il Comune esiste quindi una buona collaborazione?
Si, il Comune è il Comune. L'Ente locale deve avere una parte preponderante in
queste iniziative perché lo Stato non può soccorrere tutte le migliaia di Comuni
d'Italia. È chiaro che gli Enti locali devono essere i primi a muoversi sul territorio.
Lo Stato può intervenire ma non è che può sopperire a tutte le carenze possibili.
Con il Comune si è stabilito un buon rapporto. Faremo a dicembre in occasione
della sessione dell'Unesco nel Palazzo Reale una sezione di architettura sulla civiltà
dell'800 ed il Comune ha accettato questo nostro progetto di riproporre la ricostruzione
di una macchina da festa settecentesca. Ricostruiremo questa macchina e faremo una mostra
iconografica che documenti tutto il materiale disponibile: quadri, stampe, libri che sono
tantissimi. Tutto sulle feste che si facevano a Napoli nel corso di un paio di secoli,
dalle quali sono poi derivate tante cose, come le guglie. Queste macchine da festa, sono
dei prodotti architettonici, stabili, permanenti e definitivi, che vivono ancora nella
tradizione dei gigli di Nola. Quando andremo a rifare questa macchina da festa, quasi
certamente ci faremo realizzare la pelle esterna in cartapesta, dai costruttori dei gigli
di Nola. È un modo anche questo di valorizzare l'attività artigianale e riproporla con
una ricostruzione storica. Attualmente, a Palazzo Venezia c'è una analoga mostra sulle
feste che si tenevano a Roma. Ovviamente sono operazioni di valenza turistica non
indifferente.
Il controllo del territorio è passato ultimamente dalla Regione alle
Soprintendenze?
Noi abbiamo esercitato il potere sostitutivo perché la Regione Campania non ha
mai redatto i Piani Paesistici come doveva fare un anno dopo l'entrata in vigore della
famosa Legge Galasso. Con quest'ultima il legislatore si era illuso che ponendo
l'inedificabilità assoluta, si potesse costringere la Regione a redigere i Piani, ma ciò
non è avvenuto. La conseguenza è stata triste, perché da una parte sono state bloccate
tutte le opere pubbliche e per 10 anni non si è più costruito nelle zone che ricadevano
nella tutela. Dall'altra parte si è sviluppato l'abusivismo totale e quindi praticamente
gli effetti sono stati controproducenti.
17.05.1997 - Gian Carlo Garzoni