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La personalità esuberante di
Rosa Panaro
di Giuliana Gargiulo
Traduce la sua personalità
esuberante con un racconto appassionato sul suo lavoro, chiarendo subito: «Mi
piace parlar chiaro». Comunicativa, ribelle e indisciplinata (gli aggettivi me
li ha suggeriti lei) Rosa Panaro, scultrice, ha un’attività frenetica, se è
vero, come è vero, che i presepi da lei realizzati sono esposti in via Duomo 290
e che da oggi prende il via "Maternage", alla Spazio Arte in via Costantinopoli,
una collettiva di donne artiste, tra cui lei. Dotata di una manualità forte,
decisa e fantasiosa, Rosa Panaro è incrollabile nella grande fiducia per le
donne e per il suo lavoro.
Dove è cominciata la tua
storia?
«A Casal di Principe dove sono nata, figlia di una casalinga e di un pittore
della domenica, bravo anche ad affrescare le chiese. Rimpiango moltissimo gli
anni e il luogo della mia infanzia, vissuti in una dimensione diversa da quella
cittadina. Si stava in casa si ricamava.., anche se scappavo sempre a giocare
con i maschi, pavoneggiandomi quando potevo».
Quando la scultura è entrata
nei tuoi pensieri?
«Abbastanza presto tant’è che già a
cinque/sei anni facevo impasti con la terra e altro. In casa, sia per mio padre
che per mio fratello, iscritto al Liceo artistico, mi sentivo capita... il
giorno che vidi un ritratto in gesso rimasi affascinata. Capii che mi piaceva la
scultura. Quando andavo alla Chiesa del Gesù mi incantavo a guardare le
reliquie, le forme... cosi come m’affascinavano i morti perché mi sembrava che
recuperassero dignità e nobiltà. Dopo due anni, passivamente passati al Liceo
Genovesi, mi iscrissi al liceo artistico e poi all’Accademia, frequentati con
Tony mio marito (Stefanucci, scenografo) con il quale ho percorso cinquant’anni
di vita e di lavoro».
Come individuasti la tua
vocazione per la scultura?
«Fu Domenico Spinosa, insegnante -
assistente all’Accademia che, nel vedere un mio disegno delle mani, mi disse che
avrei fatto la scultrice. Fu allora che iniziò la mia avventura con la
scultura».
Quali sono stati i tuoi
maestri?
«Antonio Venditti per la scultura
astratta e anche Augusto Perez, Mario Napoli per la Storia dell’Arte e anche
Ferdinando Bologna...».
Quali sono i ricordi della
tua formazione?
«L’Accademia è un mondo eccezionale. Gli
allievi possono dire ogni cosa. E come sentirsi al di sopra delle cose».
Hai avuto miti ai quali il tuo
lavoro si è ispirato?
«Michelangelo prima di tutti, poi Picasso ma anche
la scultura precolombiana».
Che cosa è stato prevalentemente
difficile nel tuo lavoro? Hai avuto ostacoli?
«Gli inizi sono stati difficili. Se ho avuto
ostacoli non li ho ancora superati. Come donna ho avvertito la discriminazione.
Mi sono dedicata all’insegnamento, prima alle Scuole Medie poi al Liceo, per non
fare la fame e sentirmi libera di dedicarmi al mio lavoro».
Quale è stata la tua prima
mostra? Quante ne hai fatte?
«Alla Galleria Chiaruzzi invia Calabritto nel 1961,
poi ne ho fatte tra personali e collettive una trentina».
Quali sono stati i materiali con
i quali ti sei confrontata?
«Fatte le prime esperienze, mi dava terribilmente
fastidio che una scultura dovesse affrontare la "formatura" e cioè i vari
passaggi necessari per rendere un’opera definitiva. Ho ovviato inventandomi una
mia materia, la cartapesta, che solidifico con il ferro, il cemento e altro e
plasmo in forme definitive. Dai primi anni ‘70 lavoro così. Credo di essere
l’unica artista a lavorare con la cartapesta in un certo modo».
Senti che il tuo lavoro è
abbastanza riconosciuto e apprezzato in città?
«In qualche modo sento il mio lavoro poco
riconosciuto e provo l’amarezza per alcune distrazioni. Perché Tony, io ed altri
artisti dobbiamo sentirci esclusi? Per la nuova Metropolitana sono stati
coinvolti cinquantacinque artisti e senza alcun concorso. Noi no. Qua! è stato
il criterio?».
Che cosa serve per essere un artista?
«Non lo so che cosa serve. Un artista è un artista
e basta».
Come nasce l’ispirazione per fare una cultura o
un’opera in generale?
«Da ogni cosa e in ogni momento. Lavoro sempre da
decenni anche se in maniera. discontinua. Non aspetto l’ispirazione».
Che cos’è per te la fantasia?
«E' tutto, è un’attività continua, anche quando
dormo, che alimenta il mio lavoro, e mi aiuta a vivere».
Hai paure particolari?
«Non me lo sono mai chiesta. Sono molto fatalista
perciò mi faccio una ragione di tutto».
Hai mai provato la solitudine dell’artista?
«Forse sì... ma quando lavoro ad una scultura non
mi sento mai sola».
Hai un desiderio che vorresti si realizzasse?
«Lasciare un mio segno nella mia città ma..., non
me lo fanno lasciare!».
ROMA
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