DONNE DAL DOPPIO VOLTO

Rosa Panaro è una mia collega del Liceo Artistico di Napoli, attualmente in pensione. La parola pensione, tuttavia, non deve trarci in inganno facendoci immaginare una donna anziana. Rosa è più giovane di una ventenne, con i suoi capelli nerissimi e l’entusiasmo ancora intatto. È senza tempo, proprio come i suoi eroi di cartapesta. Nel suo ex Liceo, più rigogliosa che mai, troneggia la magnolia di cartapesta e cemento da lei e dai suoi allievi creata, magnolia che, ad ogni fine di anno scolastico, veniva arricchita di un ramo, segnando così il fluire del tempo. lo, collega "non artista" mai dimentico di mostrarla ai nuovi allievi e ai visitatori che, puntualmente, restano a guardare stupiti il groviglio di oggetti simbolici in terracotta che pende dai tanti rami. C’è Rosa in quell’albero ricco e fantasioso, Rosa che al solo vederla evoca scenari gioiosi: il Sessantotto, i girotondi di donne, la solidarietà, le grandi utopie da vivere nel privato e nell’arte, proprio come Eleonora, il cui volto sbiadito si confonde con quello nitido della nostra scultrice, bella figura di donna prima ancora che artista inimitabile. Un giorno che mi scoprì afflitta, con quel suo piglio discreto mi regalò una sua salamandra e mi assicurò con fare dolcemente ieratico, che mi avrebbe portato bene. La conservo tra le mie cose preziose, preziose come è ogni manufatto di Rosa che in lunghi anni di carriera artistica è sempre rimasta fedele alle sue idee e al suo stile, legando i vari momenti in un percorso unico e coerente. Sicuramente, questa mostra sul 1799 segna una tappa significativa del suo cammino, poiché in essa c’è un recupero dei grandi temi di sempre mescolati ai nomi e ai volti della rivoluzione in una prospettiva senza tempo. Viene subito da osservare che nonostante in molti abbiamo lavorato a questi temi in questo scorcio di fine millennio, l’ardire e la concretezza di Rosa nel rivisitare il passato collegandolo al presente è a dir poco raro. Basta guardare la splendida serie di collages che uno ad uno fanno sfilare sotto i nostri occhi i personaggi della singolare repubblica, colti nei loro tratti caratteristici ma, al tempo stesso, originali nella loro "attualizzazione".
E così Luisa Sanfelice, che Antonietta Maciocchi ha sapientemente definito "l’amante della rivoluzione", assume il volto ammiccante di Sabrina Ferilli, diva dei nostri giorni, indubbiamente ricca di quel sex-appeal che nel lontano Settecento caratterizzò la sfortunata amica dei Baccher. Come sappiamo, nulla valse a salvare Luisa, neppure la finta gravidanza che, purtroppo, servì solo a prolungare la prigionia e la terribile attesa di un impietoso giudizio. Rivive, questa donna, nell’inconsueto "ritratto" e sembra voler rappresentare alle donne di tutti i tempi il prezzo che si paga per essere amate e desiderate. Altro volto incisivo tra i collages di Rosa è senza dubbio quello di Giuliano Colonna, i cui tratti ci riportano ad un altra rivoluzione che ha i tratti e lo sguardo di quel "Che" entrato nell’aura del mito, mai dimenticato, mai conosciuto abbastanza. Mirabile anche un altro ritratto, quello di don Nicola Pacifico, sacerdote rivoluzionario con il viso di Paolo Conte, cantautore poeta dei nostri giorni, autore, peraltro, di una splendida canzone che s’intitola Una faccia in prestito che, manco a farlo apposta, recita "perché la faccia che avevi una volta è rimasta stampata qui... nella vecchia passione, nella tentazione di essere": e la tentazione di essere giacobino fu fatale al povero don Nicola che perse la vita sul patibolo in quel terribile 20 agosto 1799, la cui memoria ancora offende tutti noi. Tutti noi Napoletani, divisi eternamente in realtà contraddittorie, dicotomiche: è la Napoli bifronte delle magnifiche statuine di cartapesta che Rosa ci propone mostrando ancora una volta il suo acume. Una serie di donne dal doppio volto che diventano emblemi dell’eterno dualismo della nostra città, da un lato illuminata, giacobina, avanguardista, moderna, dall’altro lazzara, ignorante, bigotta e superstiziosa, ieri come oggi. E se queste statuine potessero parlare sicuramente userebbero un impasto di suoni e di voci che dal lontano Settecento giungerebbe a noi invariato, irrisolto, confuso, perché, forse, il ricordare non ci ha giovato abbastanza e il tutto non è ancora completamente chiaro. Sembra affermano l’Albero della Libertà che gigantesco sovrasta la mostra: una creatura ricca di simboli e di colori festosi che s’intreccia, orribilmente, con il volto dolente e insanguinato di Eleonora che nello strazio finale sembra gridare al vento le sue ultima parole, mentre la tazzina di caffè, ormai vuota, giace ai suoi piedi quasi a simboleggiare una Napoli che, follemente amata, non ha saputo riamare. E se per noi, oggi, Eleonora ha un volto potrebbe essere quello di Rosa Panaro, che ai fogli del Monitore ha sostituito quelli della sua cartapesta nel tentativo di comunicare a tutti noi il suo codice di donna e di artista, che dal Duemila si volge a contemplare storie e personaggi "senza tempo" reinterpretandoli e consegnandoli a noi in una veste medita ed affascinante.

Clorinda Irace
Tratto da: Cd'A - Altrastampa Edizioni, 1999


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