ARTEPOESIA
"MATERIALI CREATIVI"
15 - 30 settembre 1995

Parlando con Rosa

Che il tema centrale della mostra sia Lilith appare abbastanza evidente in una sorta di incontro-scontro con la figura di Eva. Ma qual è il filo che lega questi personaggi biblici e comunque femminili con 1'Uroboros?
La trilogia ritrova il suo motivo d'essere proprio nel complesso significato che l'Urobos assume nel mito. Rappresentato come un serpente che si morde la coda, quasi un anel lo senza soluzione di continuità, 1'Uroboros è lo scorrere del Tempo, il fluire degli eventi che giunti al limite prestabilito si ripetono identicamente in una scansione ciclica infinita.
L'Urobos rappresenterebbe in altri termini l'Unità del tutto, ciò che contiene al suo interno, ancora inseparati, la vita e la morte, l'amore e l'odio, l'esse re e il divenire; questa figura mitologica esprimerebbe ciò che si nasconde dietro l'apparenza, la vera radice dell'Essere.
Mi pare di poter condividere ciò che dite, a patto di non far diventare questa ricerca un atto di riduzione, di scarnificazione della ricchezza della realtà (che è un procedimento tipicamente maschile); il mio procedere avviene infatti per aggi unzione, attraverso la sovrabbondanza e il riutilizzo.
È dunque il soddisfacimento di queste esigenze che ti conduce all'uso reiterato della cartapesta; perché più di ogni altro materiale è suscettibile di continue variazioni?
La produzione artistica è per me una specie di rito che si rinnova, durante il quale dalle stesse pieghe di questo materiale antico, quasi contenesse al suo interno in qualche mo do la storia dell'umanità, sembra riaffiorare il mio vissuto, la mia storia particolare. La manipolazione della materia, l'affondare fino infondo le mani negli oggetti, diviene il momento centrale di questo rito, quasi un momento magico di trasposizione.
Quando è nata in te le necessità di utilizzare per la tua scultura un materiale come la cartapesta?
Anche quando frequentavo l'Accademia provavo un senso di fastidio e di limitazione verso i materiali tradizionali; questi, in particolare il bronzo, non mi consentivano di "concludere" in prima persona gli oggetti. Le resine plastiche, sperimentate negli anni successivi, mi sembrava rispondessero meglio alle richieste della civiltà delle macchine e poco alle esigenze di una donna del sud quale io sono e mi sento profondamente. Al contrario l'uso della cartapesta mi sembra più naturale perché permette di produrre l'opera nella sua interezza annullando quella sensazione di espropriazione che l'uso degli altri materiali reca con sé. Un processo questo che sottintende, d'altra pane, un'analoga ricerca rispetto ai soggetti stessi delle mie opere, tutte riconducibili, almeno fino al '77, al mondo della natura.
Per quest'ultimo punto, nel dirigere la tua attenzione più in particolare al mondo delle donne, è stata evidentemente determinante la tua partecipazione ai collettivi femministi che, sulla scia e suggestione del più generale movimento andavano sperimentando forme diverse di "creatività".
Più che di "creatività" parlerei semplicemente di una ricerca di nuove forme di espressione, non penso infatti di poter attribuire esclusivamente alle donne la "creatività". Si è trattato di una ricerca complessa, non senza lacerazioni, fondata com'era sul nostro vissuto per una diversa affermazione della nostra identità di donne.
Il ritorno al lavoro individuale, di cui è frutto questa mostra, esprime anche in te la crisi del femminismo?
Assolutamente no, parlerei piuttosto di una fase diversa: il rapporto con le altre donne e la fase di riflessione che ne è scaturita, è stato per me molto importante e il lavoro individuale in questi ultimi due anni è stato sicuramente profondamente influenzato da ciò che abbiamo pensato insieme.
Ritorniamo un attimo su Lilith. È evidente che rispetto ad Eva rappresentata come albero svuotato, quasi succhiato dall'interno, ricorrendo ad una simbologia fin troppo chiara, questa figura biblica, che ha sempre contenuto in sé un significato ambiguo se non perverso, ha suscitato molto più il tuo interesse. Ne potresti spiegare le motivazioni?
Mi capitò di leggere, a proposito del mito di Lilith sulle versioni bibliche, un brano in cui Lilith chiede ad Adamo «...perché essere soverchiate da te? Eppure anch'io sono fat ta di polvere e quindi sono tua uguale?» Adamo non risponde: la legge divina non ammette mutamenti. E Lilith vola via lontano, verso le sponde del mar Rosso.
E stato forse quest'atto di ribellione, quest'ansia di libertà che mi ha affascinato.

Allora il tuo insistere su questa figura che hai cercato di cogliere e di bloccare in vari momenti del suo essere fino al totale abbandono degli attributi di cui l'ha caricata il passato, assume per te quasi un valore di atto di esorcismo?
In un certo senso sì. Anche nel mito, a mio parere, Lilith è la donna che vuole essere se stessa pur essendo costretta a nascondersi dietro molte facce. Ecco perché la luna nera o l'altra faccia della luna. Da qui le maschere quando non vuole essere riconosciuta. Ma il mito appartiene al passato; Lilith si spoglia oggi della vecchia pelle per raggiungere la pienezza dell'essere. Certo questo discorso corre il rischio di essere tacciato di rivendicazionismo, ma tale interpretazione sarebbe riduttiva e astorica. Il mio vuole essere un atto di affermazione e non di contrapposizione, dell'avvenuta consapevolezza del «non poter più non essere quel che si fa».

L. CAPOBIANCO - A. SPINOSA


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