Giorgio Di Genova
STORIA DELL'ARTE ITALIANA DEL '900
Generazione anni trenta
«Anche quando frequentavo l’Accademia provavo un senso di fastidio e di limitazione verso i materiali tradizionali; questi, in particolare il bronzo, non mi consentivano di "concludere" in prima persona gli oggetti. Le resine plastiche, sperimentate negli anni successivi. mi sembrava rispondessero meglio alle richieste della civiltà delle macchine e poco alle esigenze di
una donna del sud quale io sono e mi sento profondamente. Al contrario l’uso della cartapesta mi sembra più naturale perché permette di produrre l’opera nella sua interezza annullando quella sensazione di spropriazione che l’uso di altri materiali reca con sé. Un processo questo che sottintende, d’altra parte, un’analoga ricerca rispetto ai soggetti stessi delle mie opere, tutte riconducibili, almeno fino al ‘77, al mondo della natura».Dopo aver pestato tanta carta per realizzare dal 1980 al 1990
i simulacri del suo Olimpo al femminile (Eva, Lilith, Lilith Luna Nera,
Lilith Liana, Lilith Laura, Lilith Lalla, Lilith Partenope), anche Rosa
Panaro è giunta alla terracotta, nel cui ambito ha realizzato altre Lilith,
simbolo del suo impegno in seno ai gruppi femministi partenopei (39). Se nelle
opere in cartapesta, tecnica con cui; dando fondo al suo esuberante brio
napoletano, negli anni Novanta Rosa si è sbizzarrita a sfornare pizze napoletane
(40), a far volare farfalle (Volo per respirare) o uccelli (Colomba
con ulivo) ed a creare pesci, ma anche ulteriori personaggi del suo teatrino
grottesco-macabro (Uroboros, Le mogli dei preti, Presepi), in quelle di
terracotta non mancano personaggi che riecheggiano le sue mostruose Lilith (Mukula),
le quali tuttavia, assieme alle Eve, si trasformano in angeli e
maternità, che in fondo è un modo di fare autobiografia, dura, acida, ma col
sorriso sulle labbra, come rilevavo in una testimonianza, inviatale nel febbraio
1996 (41). In essa, infatti, dopo aver osservato: «La tua Lilith è
giustamente un angelo caduto dal cielo, un angelo scacciato, come lo sono spesso
le donne in questo mondo di artisti maschi e maschisti. Essa è un misto di
speranza e di incubo. Tutte cose che appartengono al tuo io, né più né meno
della salamandra, che riesce a camminare tra il fuoco senza bruciarsi. E che
altro hanno fatto le donne, dopo i roghi della Santa Inquisizione, per secoli,
costrette a vivere tra i fuochi delle oppressioni, delle critiche, dei soprusi e
delle emarginazioni?», proseguivo: «È chiaro che tu vai gettando le tue
briciole, briciole di "pane dell’arte", come sono le tue salamandre e i tuoi
gechi, per ritrovare nella foresta delle difficoltà esistenziali il sentiero per
uscirne e quindi poter infine volare liberamente, non con le ali della speranza
interdetta e coartata di Lilith, ma con quelle delle farfalle che hanno, sì,
vita effimera, ma costituiscono soffi di primavera e vanno di fiore in fiore a
suggere linfa, magari sporcandosi le ali di polline, come avviene con i colori
agli artisti.
«Il tuo è un discorso autobiografico. Almeno così io lo vedo. E siccome nessuno
di noi è tutto e solo buono, come non è tutto e solo cattivo, nella tua
confessione emerge di tanto in tanto il mostro, metafora del desiderio di
vendetta che cova in te. Non credere che non l’abbia capito. Quella Colomba
incinta che viene dall’Amazzonia è il tuo modo di concepire l’Arpia, cioè
l’oggettivazione del tuo segreto desiderio di turbare i sonni, e non solo i
sonni, a chi ti disprezza e ti fa soffrire» (42).
Note
(142) La citazione è ripresa da Parlando con Rosa di Laura Capobianco e
Aurora Spinosa, in E. Crispolti-LP. Finizio-F. Menna, Rosa Panaro.
Metamorfosi di Lilith, Galleria Colonna, Napoli, 5 marzo 1982.
(143) È un’ironia che in realtà è
più un’arma di difesa che di offesa, che affonda le sue radici nelle
demitizzazioni operate da Guido Biasi e dal metafisico ludismo geometrico di Del
Pezzo, come evidenziava Oreste Ferrari che nel ‘69 l’aveva invitata a
Prospettive 4, dove esponeva 2 cementi del ‘69, Sequenza n. 1, Quello che
in fondo siamo (cfr. O. Ferrari, Panaro Rosa, in AA.VV,
Prospettive 4, Galleria Due Mondi, Roma, 4-31 ottobre 1969, p. 68).
(144) Una Sequenza n. 1 aveva realizzato già nel ‘67, facendola seguire
da Sequenza n. 2, Sequenza n. 3: le prime due sviluppavano in verticale
ed in 3 battute incorniciate da rettangolo scandito da piani divisori due
visioni di donne, la prima dalla testa fino al corpo, la seconda dal corpo senza
testa al busto con testa; Sequenza n. 3, invece, dentro la cornice
inferiore raffigurava due ragazze in piedi a gambe divaricate, che nella cornice
venivano ripetute, ma accostate e dimidiate dalla vita in su.
(145) Cfr. E. Crispolti-LP. Finizio-F. Menna, Rosa Panaro. Metamorfosi di
Lilith, cat. cit.
(39) Dopo la partecipazione alla mostra La donna ha la
testa troppo piccola per Vintelletto, ma sufficiente per l’amore, inaugurata
assieme a Mathelda Balatresi, Antonella Casiello e Mirnma Sardella il 13 aprile
1977 nella Galleria Lucio Amelio di Napoli, nel ‘78 Rosa, come esponente, Gruppo
donne - Immagine - Creatività, ha esposto allo Spazio aperto della Biennale di
Venezia, firmando Il Vaso di Pandora - rovesciamento di un mito,
assieme ad altre tre napoletane, cioè Anna Trapani e le più giovani Bruna Samo e
Valeria Dioguardi, ed inoltre, nel 1980, col Gruppo Segno/Donna al Progetto
per un ambiente sulla Sibilla Cumana per il Castello di Baia, Bacoli (NA).
(40) Riprendendo anche idee di vent’anni prima, come attesta Naples New
Look!... del ‘95, d’après di Mitilomania e reliquie del ‘75.
Naples New Look!... è una delle poche opere datate, a differenza della
maggior parte delle precedenti, il che mi ha creato non pochi problemi, rimasti
irrisolti dopo i miei appelli all’artista, che anche in questo rivela la sua
napoletanità. Per tale ragione (e lo si sarà notato), contrariamente a quanto
faccio per le opere di altri artisti, tralascio di segnare la data accanto al
titolo dei lavori della Panaro. Ciò è dovuto all’impossibilità di stabilire con
esattezza l’anno di esecuzione, che la stessa Rosa negli ultimi due decenni ha
trascurato di indicare, determinando incertezze insolubili per il povero
storico, che spesso ha a che fare con materiali (cataloghi, compreso quello del
novembre ‘99, edito per la personale tenuta alla Casina Pompeiana della Villa
Comunale di Napoli, foto, ecc.), i quali, anziché aiutarlo, lo fuorviano.
(41) La Panaro fu inserita nell’ambito delle serate dedicate ad un artista
nella Saletta Rossa della Libreria Guida a Port’Alba. Alla serata del 6 marzo,
che appunto la riguardava, la Panaro mi chiese di essere presente per parlare
del suo lavoro. Non potendo abbandonare la mia scrivania, in quanto
impegnato a scrivere Generazione primo decennio, le inviai una testimonianza
scritta in forma di lettera, che fu letta in quell’occasione dalla figlia
Antonella, che è attrice. Ora tale testimonianza, in cui stigmatizzavo i
comportamenti degli artisti napoletani, sempre l’un contro l’altro armato,
mettendola in guardia. («Per questo sono preoccupato per te. Hai ottenuto una
serata da Guida. Ti faranno a pezzi. Ti diranno: "Ma come si permette? Questa
non è nessuno, pazzea con la terracotta e la cartapesta, nun sape pittà" e
peggio ancora. Anche i più napoletani non vorranno vedere la tua napoletanità,
non vorranno intendere che in quello che fai c’è Napoli, ma c’è anche la
creatività femminile, che si alimenta di mitologia, di fantasie, di paure e di
conseguenti aspirazioni liberatorie»), è pubblicata in Artisti a Napoli.
Progetto Arte, Alfredo Guida Editore, Napoli 1997 (jp. 32-33).
(42) Naturalmente, parlando delle salamandre e dei gechi, mi riferivo alle
opere in terracotta (ma anche in cemento e conchiglie, nonché in cartapesta,
com’è Grande salamandra) con cui la Panaro in quell’occasione aveva creato un
tragitto plastico, restituendo alla terra la terra, ma sagomata e cotta. Nel ‘99
la Panaro collateralmente alla cartapesta sagomata (Erma vesuviana, Mamma
partenope, Albero della Libertà) è approdata ad opere, sempre in carta, ma stesa
e giustapposta in una serie di ritratti a collage (Domenico Pacifico, Eleonora
Pimentel Fonseca, Luisa Sanfelice, Michele Natale, Maria Antonietta di Pololi).
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