TERRAE MOTUS

«Il 23 novembre 1980 ero all’isola di Vivara. Dopo la prima scossa mi sono precipitato a Laviano, nell’epicentro del terremoto, a scavare tra le macerie per soccorrere le vittime. E stata un’esperienza segnante per la mia sensibilità. Il lavoro di Terrae Motus ha due tempi: visto da lontano, dà la sensazione della solidità della crosta, della montagna che riposa; da vicino, la moltitudine del segno ripetuto ossessivamente dà la vertigine della caduta, dell’inghiottimento nella madre terra. Il rischio è l’annientamento della coscienza, la ricaduta nella natura indistinta. L’uomo si oppone a questo rischio di regressione con l’astuzia dell’artificio, che lo pone su di un piano privilegiato, in cui egli è l’unico garante di questo fragile cerimoniale, dalla caduta al riscatto. Per questo l’uomo si è dotato di un arco e di una freccia».

S.E.

Senza titolo, 1990
acrilico su legno cm 180 x 200

Senza titolo (particolare)