Un
Poeta in Musica
STORIA
DELLE 200 CANZONI
DI SALVATORE DI GIACOMO
CORREDATA DA DUE DISCHI
perché LE CANZONI
Sulla scia del
poeta senz’altro sancito da
Croce nel 1903, i critici di tutta Italia e anche stranieri (pensiamo al
Vossler, alla Bacaloglu e ai francesi che lo hanno tradotto), scoprirono
Salvatore Di Giacomo; non soltanto la sua poesia, ma anche la sua
narrativa, il suo teatro, la sua vasta erudizione, le sue canzoni. Si,
persino le canzoni, oggi considerate componenti dell’effimero ma delle
quali, un tempo, s’interessavano anche i letterati.
Croce fu un caposcuola, i suoi saggi orientarono e condizionarono coloro
che si mossero dopo di lui nel campo della critica letteraria: da Luigi
Russo a Renato Serra, da Giuseppe De Robertis a Pietro Pancrazi, da
Tommaso Marinetti a Francesco Flora.
Con Flora s’interruppe la stagione crociana e da allora (1946) non c e
stato ricambio, non sono state più affrontate analisi che potessero
contribuire o perlomeno avviare la necessaria revisione critica del Di
Giacomo; qualche positivo accenno di Pier Paolo Pasolini, una episodica
sortita di Eugenio Montale e null’altro, soprattutto a causa della
mancanza di un punto di riferimento luminoso come quello spentosi, dell’impoverimento
della storiografia letteraria, della carenza di storiografi.
Alberto Asor Rosa ha osservato di recente che nel giro di qualche decennio
la critica letteraria, sfuggita alla sua iniziale vocazione che la rendeva
ancella della letteratura, dapprima s’è fatta scienza, disciplina
autonoma, sistema conoscitivo, poi ha sottomesso a sé l’antica padrona
e questa, a sua volta, s’è vendicata «inoculando nei lettori» la
persuasione che si possa e si debba fare a meno della critica per una
lettura e un uso corretto dei testi. Attualmente - sempre secondo Asor
Rosa i due universi si sono quasi completamente separati: la letteratura
non ha più bisogno della critica letteraria per essere letta; la critica
non serve più a far leggere, o leggere meglio, la letteratura.
Non è precisato, però, come la critica letteraria intenda comportarsi,
prima di occupare definitivamente la nuova spiaggia, nei confronti di
quelle zone letterarie nelle quali manca da tempo ogni tipo d’aggiornamento
e di revisione, zone occupate da Bracco, da Di Giacomo, dalla Serao, ma
anche da Ferdinando Russo, da Raffaele Viviani e da Rocco Galdieri, questi
ultimi ignorati da Croce (il quale, d’altronde, aveva taciuto anche su
Mastriani) e dai suoi seguaci, o imitatori che dir si voglia.
Sarebbe necessario che la critica, senza allontanarsi dall’ottica
moderna, che suggerisce il «divorzio» dalla letteratura, coprisse i
vuoti del passato, rivedesse le bucce a molti autori e correggesse,
ove necessario, i giudizi finora
espressi. Solo in questo caso la letteratura meridionale potrebbe uscire
dall’assurda e inconcepibile
emarginazione alla quale sembra
essere stata destinata negli ultimi quarant’anni almeno: ce ne
accorgiamo nell’addentrarci in Di Giacomo,ne fummo partecipi quando si
trattò di trovare un orientamento tra la gran produzione della Serao.
L’orizzonte disciplinare della critica letteraria è da tempo diverso?
Benissimo: non ci risulta però che su Di Giacomo (o su altri) si sia
lavorato di filologia, di linguistica, di psicologia, di semiologia, di
estetologia, di antropologia. In attesa che ciò avvenga (e non è detto
che a farlo debba necessariamente essere la critica ufficiale, quella dei
parrucconi in cattedra o degli inconcludenti accademici del post-moderno),
un Cinquantenario può contribuire all’avvio del discorso, può offrire
materiali per aprire squarci critici nell’opera complessiva che si ha di
fronte, nonostante nessuno abbia mai separato, in essa opera, il grano del
loglio.
La canzone digiacomiana fa parte delle opere e riteniamo di poter offrire,
con questo album, sufficienti «materiali canori» per l’approfondimento
di un fenomeno né secondario né transitorio negli anni in cui il Di
Giacomo fu maggiormente attivo sul fronte della letteratura.
Gianni Cesarini da musicologo appassionato, da ricercatore tenace e da
critico attento e severo, ha condotto uno studio che non ha precedenti,
né tra quello specifici sulle attività del Di Giacomo, né nel discusso
ma antico mondo della canzone napoletana.
Ditale studio dovrà tener conto chiunque, in futuro, si accosterà al Di
Giacomo con l’intenzione di studiarlo compiutamente, in tutti i suoi
aspetti e interessi.
Altri materiali, questo Cinquantenario di cui ci siamo fatti carico in una
città disseminata di triboli, può mettere a disposizione dei critici: da
quelli sul giornalismo a quelli sulla musica, da quelli sui rapporti con
Croce a quelli riguardanti l’attività di bibliotecario, tutti nella
sfera del poeta senz’altro, amato stimato e ben criticato dagli
appartenenti alla stagione crociana. Dopo di che la critica letteraria
avrà un compito meno difficile nella pur tardiva opera di aggiornamento e
di spoglio. Il Cinquantenario potrebbe consentire di cominciare dal Di
Giacomo, per poi muoversi nei suoi dintorni e per andare indietro nel
tempo. Un percorso, quest’ultimo, che per Napoli può, purtroppo, anche
scavalcare i secoli e arrivare ai Cortese, ai Basile e agli Sgruttendio.
Così lontani da noi, così vicini a questo tipo di discorso.
Gianni Infusino
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