A
PALAZZO REALE
MOSTRA DI QUADRETTI CINESI
Alle ore 18 di Venerdì 7 dicembre 2001, nel Salone
d’Ercole di palazzo Reale di Napoli, sono stati esposti 66 "quadretti"
Cinesi risalenti alla metà del XVIII secolo, della collezione Borbonica,
provenienti dalla Villa Favorita di Resina-Napoli.
L’esposizione è stata preceduta da una interessante presentazione
nell’attiguo Teatrino di Corte, dalle curatrici della mostra Lucia
Caterina e Annalisa Porzio, e dall’architetto Enrico Guglielmo, e dal
Sindaco di Ercolano Luisa Bossa. Durante la spiegazione sui contenuti
della mostra sono state proiettate alcune diapositive con la visione
sullo stato dei "lavori in corso" per la ristrutturazione della Villa
Favorita di Resina, per riportarla agli antichi ed originari splendori,
dopo il lungo abbandono.
I 66 "quadretti"Cinesi sono eseguiti in acquerello su carta, con cornici
in puro ciliegio, raffiguranti scene paesaggistiche con la coltivazione
e lavorazione del riso e del tè, e della fabbricazione tipica della seta
e della porcellana. Fanno parte della mostra anche due ritratti di Dama
e Mandarino Cinese in grandezza naturale, ed un cartonato album cinese,
risalente allo stesso periodo dei "quadretti", con 23 tavole
illustrative sulla tessitura, opera del pittore Jiao Bingzhen.
La mostra è stata organizzata dalla Soprintendenza per i Beni
Architettonici e per il Paesaggio di Napoli, e dal Comune di Ercolano.
E’ visitabile sino al 5 marzo 2002.
Bruno Carrano
I soggetti dei "Quadretti cinesi" ci richiamano
subito alla mente quello straordinario fascino che la civiltà
dell'antica Cina ha esercitato sugli Europei fin dall'epoca della
diffusione dei racconti di Marco Polo, il viaggiatore veneziano che tra
il 1271 e il 1295 si avventurò nell'Asia, restando al
servizio del mitico imperatore Kublai Khan. Dopo la caduta dell'impero
mongolo e l'affermarsi della dinastia nazionalista e xenofoba dei Ming
s'interruppero i viaggi e gli scambi commerciali e calò il sipario sulla
Cina fino ai primi anni del XVI secolo, quando i viaggiatori poterono
ritornarvi e riportare in Europa resoconti, prodotti ed oggetti.
La storia ci ha insegnato quanto spesso, in seguito alle invasioni ed
all'affermarsi di nuove dominazioni, i gusti di civiltà diverse abbiano
influenzato le forme architettoniche e le arti decorative, fino al
disegno di arredi ed oggetti. Differente, invece, l'affermarsi della
moda cinese, la cosiddetta chinoiserie, caso in cui l'elemento
propulsore in tutta l'Europa fu esclusivamente l'importazione dei
prodotti per normali scambi commerciali. In realtà, già nel '500
e nel '600 vi erano stati intensi traffici con l'Estremo Oriente
documentati dalla circolazione di sete, tè, porcellane, mobiletti in
lacca, disegni su carta e oggetti vari; ma una più capillare diffusione
del gusto - dovuta anche all'opera delle missioni religiose dei padri
gesuiti che con ogni impegno propagandavano la fede cristiana - si
affermò in Europa, ed in Francia ed in Italia in particolare,
soprattutto nel '700, allorché cominciarono ad essere riprodotti
decorazioni, arredi ed oggetti ispirati a forme, disegni, tecniche e
materiali tipici della civiltà cinese.
L'interesse per l'arte cinese fu determinato principalmente da quel
carattere di grande novità, da quel fascino di esotico, dagli aspetti
sorprendenti di una civiltà così diversa da quella occidentale per
costumi e abitudini che finivano per destare meraviglia e curiosità.
Da Venezia, che più di ogni altra città manteneva i rapporti commerciali
con l'Oriente, il gusto della "chinoiserie" andò diffondendosi
nelle principali corti europee con la decorazione di stanze di ville e
palazzi eseguite con affreschi e stucchi, con la costruzione di
padiglioni da giardino in forma di pagode, con la realizzazione di
mobili dipinti "alla cinese" impreziositi da motivi d'oro sul fondo nero
di lacca, di specchiere e cassettoni in lacca verde bottiglia, vassoi,
ventagli ed ogni tipo di oggetti, rigorosamente ispirati a disegni e
manifatture cinesi. Nel 1754 il grande architetto Filippo Juvarra
fece arredare con pannelli laccati cinesi una sala degli appartamenti
del Palazzo Reale di Torino, e negli stessi anni furono realizzate
numerose esecuzioni di affreschi e stucchi di intere stanze di ville
venete, tra cui ricordiamo la serie dei raffinati affreschi dipinti da
Gian Domenico Tiepolo nel 1757 nella Villa Valmarana a Vicenza.
La moda cinese non si limitò a caratterizzare gli arredi e le
decorazioni delle residenze nobili e reali, ma ispirò anche eventi
spettacolari, cortei di carnevale, festeggiamenti, fiere di piazza,
rappresentazioni teatrali e composizioni operistiche, con l'uso di
strumenti, costumi, maschere e scenografie cinesi; basti citare la
famosa opera Turandot di Carlo Gozzi data per la prima volta a
Venezia nel 1761 e il cui sipario si apriva su una delle porte di
Pechino.
Il Regno dei Borbone non poteva restare estraneo a tale ondata di
cineseria, considerato il programma di apertura alla cultura
internazionale riscontrabile nei manufatti e nelle fabbriche reali ed
infatti in quel periodo (1757) nella Reggia di Portici fu
realizzato per la regina Maria Amalia di Sassonia un salottino decorato
in porcellana cinese che rappresentò una delle più sofisticate creazioni
di quel gusto, al punto che la sua fama si diffuse in tutta Europa
distraendo l'attenzione perfino dalle notizie dei ritrovamenti
archeologici degli scavi di Ercolano. Erano circa tremila i pezzi di
porcellana, eseguiti per il salottino cinese di Portici nella fabbrica
di Capodimonte, pezzi montati ad incastro con le giunture tra i pannelli
di porcellana bianca occultate da festoni di fiori, nastri annodati e
strumenti musicali, tra volute, figure cinesi a rilievo, uccelli
fantastici e farfalle. In seguito, poi, nel 1866, come noto, le
decorazioni in porcellana furono smontate e trasferite nel Palazzo Reale
di Capodimonte.
Il grande successo del salottino di porcellana della Reggia di Portici
indusse Carlo III, salito al trono di Spagna, a far decorare negli anni
1764-65 un analogo ambiente nella residenza reale di Aranjuex,
ricorrendo all'opera degli artisti della Fabbrica di Capodimonte che
ripeterono quasi gli stessi motivi ornamentali, con una raffinatezza ed
un'abilità ancora più matura.
Nella Reggia di Portici vi è anche una grande sala con le pareti
decorate realizzate negli anni 1775-1780 "alla cinese" con la
rappresentazione di giardini fantastici, scene di vita popolare, feste
campagnole con fanciulli danzanti e disegni floreali. Episodi di
chinoiscries non mancano, inoltre, in alcuni ambienti del Palazzo
Reale di Napoli, ove furono eseguite, nell'ultimo decennio del 1700,
decorazioni parietali di gusto orientale in parte andate perdute.
Infine, gli ultimi importanti esempi sono presenti in altre residenze
borboniche: la Real Villa La Favorita di Resina, già dimora del
principe di Aci e poi acquisita ai beni della corona, e la Real
Villa La Favorita di Palermo, fatta costruire alla maniera cinese da
Ferdinando IV nel 1799 quando lasciò Napoli allo scoppiare dei
moti rivoluzionari per rifugiarsi nel capoluogo siciliano.
Dei sessantuno acquerelli cinesi esposti nella mostra, curata con grande
impegno e competenza da Lucia Caterina e Annalisa Porzio, trentacinque
erano destinati appunto ad essere esposti nella villa di Resina, ma per
quanto noto non furono mai sospesi alle pareti. Custoditi fino ad oggi
in deposito a Palazzo Reale vengono presentati per la prima volta al
pubblico insieme con altri ventisei provenienti, invece, dalla residenza
siciliana e conservati nel Museo Pitrè di Palermo, che li ha gentilmente
concessi in prestito per l'occasione della mostra napoletana.
L'esposizione al Palazzo Reale di Napoli di "Quadretti cinesi" è
l'occasione più adatta per richiamare l'attenzione del pubblico sulla
villa Favorita di Resina, per la quale furono in orgine commissionati
gli acquerelli.
La villa Favorita di Resina, già ricca di decorazioni affrescate alla
cinese prima che fosse ristrutturata a partire dal 1796 per diventare
residenza di Ferdinando IV e di Maria Carolina, ha subito, nel corso del
tempo, numerose vicissitudini - attentamente ripercorse nel saggio di
Annalisa Porzio - a seguito dell'abbandono da parte del re prima nel
1799 e, poi, nel 1806 in conseguenza dell'occupazione francese di
Giuseppe Bonaparte. Nel 1877-79 la villa fu incamerata nel demanio dello
stato Sabaudo ed il suo ricco contenuto di arredi ed opere fu smembrato
tra i palazzi reali di Capodimente, Napoli e Caserta. Nel 1936 il
compendio immobiliare di cui la villa fa parte fu destinato a sede della
Scuola di Polizia Penitenziaria, ma finalmente ora è in corso la pratica
di dismissione e contestualmente ha preso avvio un programma di
valorizzazione dell'immobile.
Le strutture murarie del monumento, infatti, versano oggi in uno stato
di grave abbandono e di degrado, mentre i preziosi apparati decorativi
rimasti ancora in situ corrono seri rischi di un irrimediabile
danneggiamento. La Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il
Paesaggio di Napoli e Provincia ha disposto immediate opere di
salvaguardia per evitare il crollo di alcuni controsoffitti dipinti a
tempera su carta; inoltre inizierà tra breve un intervento di restauro
che consentirà di sottrarre l'immobile alla perdita cui sembrava
inesorabilmente condannato: un primo significativo passo verso il
recupero e la pubblica fruizione della sfortunata Villa borbonica.
ENRICO GUGLIELMO
Soprintendenza per i Beni Architettonici e per il
Paesaggio di Napoli e Provincia |
|
|