AUGUSTO
PEREZ
Il Mito della Scultura
Alle ore 19 di
venerdì 15 dicembre 2000, nel Castel dell’Ovo di Napoli è stata
inaugurata la mostra: AUGUSTO PEREZ - Il Mito della Scultura.
Organizzata dal
Comune di Napoli e dalla Fondazione Morra, con il patrocinio della
Regione Campania; Soprintendenza per i Beni Artistici e Storici di
Napoli e Provincia; Soprintendenza per i Beni Ambientali ed
Architettonici. Per l’occasione è stato pubblicato anche un
voluminoso catalogo della mostra, edito dalla edizioni Morra. I curatori
di detto catalogo e della mostra sono il critico d’arte Vitaliano
Corbi e il gallerista Giuseppe Morra.
Sono esposte
oltre sessanta sculture bronzee di questo compianto e
"leggendario" artista, posizionate sin dall’ingresso del
Castello, accompagnando il visitatore a "scrutare" le
magnifiche e interessanti opere lungo il camminamento e il terrazzamento
di questo storico ed antico edificio. Per poi confluire negli ampi
locali di due interi piani, dove assieme ai maestosi bronzi sono esposti
anche diecine di disegni di preliminari lavori scultorei.
La mostra è
visitabile sino al 30 Gennaio del 2001. Alla cerimonia d’apertura il
Sindaco di Napoli, Riccardo Marone; l’Assessore Rachele Furfaro;
Giuseppe Morra; Vitaliano Corbi; Peter Weiermair e Giuseppe Di Costanzo,
hanno biografato la personalità artistica di questo "Grande"
Siculo-Napoletano, morto poco più di un mese addietro a questa sua
retrospettiva.
E’ mancato a
questo appuntamento programmato, quando ormai già era minato nella
salute, è andato "via"conoscendo le modalità ed il
calendario di questo straordinario evento, sapendo che gli artefici
organizzatori stavano raccogliendo e catalogando le sue opere, sparse
nel suo laboratorio-studio-casa e, tra i suoi collezionisti.
Il "modus
vivendi" di Augusto Perez era concepito solo con la sua
instancabile e sofferente creatività. Era sempre alla ricerca di
scoprire quel qualcosa che angustiava la sua esistenza, ed è per tutto
ciò che tollerava solo la creta e il bronzo. Sicuramente le sue
"creazioni" saranno oggetto di studio per i posteri, dove la
sua "fama" artistica sarà eternamente viva. A dispetto della
morte fisica.
A questa
presentazione sono convenute personalità del mondo dell’arte e non.
Tra questi il Presidente della Regione Campania Antonio Bassolino;
Achille Bonito Oliva; Gianni Pisani; Renato Barisani; Sergio
Fermariello; Nino Longobardi; Carmine De Ruggiero e tanti altri. Oltre
ai tanti estimatori d’arte, tra allievi, critici, ed artisti di varie
tendenze. Come ad esempio la presenza del brillante attore dello
spettacolo Tonino Taiuti e del "ritorno" alle origini dello
sculto-pittore Renato Iacente.
Presente ed
emozionato il figlio di Perez, Massimo, fiero di essere stato ricordato
dal padre in una delle sue ultime sculture grottesche del 1997, dove il
"maestro" ha evidenziato la passione del proprio figlio verso
lo studio della commedia dell’arte.
Grottesca
appartiene al trittico degli ultimi suoi lavori, difatti gli altri due
sono Astrologo e, Tebe (Edipo e la Sfinge) chiamato in un primo momento
"il leone morente", da collocare nella stazione metropolitana
di Napoli, in Via Salvator Rosa.
A conclusione
di questa serata d’arte, è seguita una gustosa ed appetitosa cena con
alimenti di prodotti agricoli biologici: insalata di rinforzo, pane di
montagna, pasta e fagioli, insalatina mista, mozzarella di bufala
campana al tricolore, tris di verdurine al vapore, frutta : arance,
mandarini e clementine . Il tutto innaffiato con il famoso vino
napoletano delle vigne della collina di San Martino:
Bruno Carrano
Non conoscevo
personalmente Augusto Perez. Quando l’ho incontrato nell’aprile di
quest’ anno, nella sua bellissima casa del Palazzo dello Spagnuolo,
sono rimasto profondamente impressionato nell’incontrare un uomo
tormentato, timido, in grande solitudine, ma contemporaneamente un uomo
di grande carisma e fascino intellettuale. Avevo davanti a me uno dei
più grandi scultori del ‘900 italiano.
Ero andato a casa sua
per proporgli una grande retrospettiva delle sue opere. Come tutti i
grandi uomini fu preso da mille dubbi, se condividere questa scelta dell’Amministrazione
comunale o meno. Dopo una pausa di riflessione Perez non solo accettò,
ma fu profondamente entusiasta del progetto.
In quel momento non
avrei mai immaginato che non avremmo inaugurato insieme un’antologica,
ma purtroppo una grande retrospettiva.
Perez è morto in questi
giorni e so che ha trascorso gli ultimi mesi della sua vita nella
speranza di poter vedere l’omaggio della sua città, cosa che
purtroppo non gli è riuscita.
Ciò ha reso, per noi e
per i curatori della mostra, quest’appuntamento da un lato ancor più
impegnativo, dall’ altro profondamente stimolante.
La collocazione di
straordinarie sculture nel Castello della Città, con il suo fascino e
con la sua storia così permeata di passato, rende la mostra di Perez un
evento irripetibile per la città e rende l’Amministrazione comunale
che l’ha pensata e i curatori che con passione l’hanno organizzata
particolarmente orgogliosi e soddisfatti di aver realizzato un evento
culturale di straordinario interesse non solo per la città ma per
chiunque da tutta Italia verrà ad ammirare opere che hanno segnato il
cammino della scultura italiana del ‘900.
Il Sindaco
Riccardo Marone
Per la prima
volta a Napoli, intorno alla figura del Maestro Augusto Perez, giunge a
compimento un progetto che è qualcosa di più di una semplice mostra.
"Il mito
della scultura" è, infatti, un grande evento per la cultura
cittadina: perché ci parla dell’opera di Augusto Perez, uno dei
maggiori artisti dell’arte contemporanea a Napoli; perché si guarda
alla sua opera con ampiezza di sguardo prospettico e storico, perché
questo allestimento pone di fronte alla potenza di una scultura
eloquente ed enigmatica insieme, comunicativa e criptica.
E per l’Amministrazione
Comunale, che ha voluto affrontare un progetto così vasto, è stato
indispensabile raccogliere molte energie: quelle dei curatori, Vitaliano
Corbi e Giuseppe Morra innanzitutto, ma anche quelle di studiosi come
Peter Weiermair e Giuseppe Di Costanzo che, con passione competente,
hanno dedicato il loro contributo alla riflessione critica sulla mostra.
Ma soprattutto
per noi è stato necessario e affascinante incontrare il desiderio dell’uomo
e dell’artista Perez, personalità schiva e resistente al rumore del
mercato dell’arte, che tuttavia ha creduto in questo progetto, come in
un bilancio di decenni di lavoro artistico, e quasi ha voluto donarcela
come un testamento poetico.
Le sue 61
sculture, giunte a Napoli da tante collezioni sparse su tutto il
territorio nazionale - segno tangibile del successo artistico di Augusto
Perez - è come se si fossero intenzionalmente riincontrate, nel
sorprendente contesto espositivo di Castel dell’Ovo, nella sua città,
per un affettuoso ultimo saluto al maestro, al gesto paternamente
creativo dell’uomo che le ha generate.
Assessore all'Identità
Rachele Furfaro
Quando sul
finire dello scorso aprile mi fu chiesto di preparare il progetto di
questa mostra, già da parecchi giorni Augusto mi aveva parlato dell’invito
rivoltogli dal Sindaco a tenere una mostra negli spazi di Castel dell’Qvo.
Superati i primi dubbi e convintosi che fosse giusto accettare l’invito,
egli aveva cominciato, sia pure con qualche residua e intermittente
resistenza, a discutere con me dell’idea di una mostra che
raccogliesse i momenti più significativi della sua esperienza d’artista.
Ci accorgemmo allora che, in realtà, dopo l’esordio nel ‘51 e la
prima personale nel ‘54 al Blu di Prussia, dovevano essere stati ben
pochi i napoletani che, non essendo tra gli abituali frequentatori dello
studio dell’artista, avevano potuto conoscere le sue opere,
inseguendole, da un appuntamento espositivo all’altro, in Italia e all’estero.
La personale del ‘76 all’Apogeo e quella del ‘92 negli ambulacri
di Palazzo Reale non avevano registrato, infatti, che due brevi segmenti
di un percorso che aveva attraversato tutta la seconda metà del
Novecento.
Fu questa
constatazione a convincerci, quando fu il momento di stendere il
progetto, che era innanzitutto da evitare il rischio di un’esposizione
eccessivamente affollata e che conveniva puntare sul giusto equilibrio
tra la forte carica di suggestione dell’ambiente monumentale e l’esigenza
di creare le condizioni più favorevoli alla "lettura" delle
sculture. Se ne parlò con l’amico Peppe Morra e si arrivò alla
conclusione che l’allestimento della mostra dovesse svilupparsi su due
linee in qualche modo indipendenti, offrendo al visitatore il piacere di
un incontro con la scultura più libero e apparentemente persino
casuale, inatteso, su per i tornanti, gli spiazzi e le logge dell’antico
Castello, e riservandogli poi nelle numerose sale interne, rimesse
ordinatamente a nuovo, la possibilità di seguire situazioni espositive
più serrate e rispettose delle ragioni della cronologia. Decidemmo di
lasciar fuori i ritratti e le sculture di piccolo formato, con la sola
eccezione di alcuni Specchi, che avrebbero documentato l’avvio
di un passaggio cruciale nell’esperienza dell’artista, e dei sei
bronzetti del Circo, strettamente legati alla grande scultura dell’Equilibrista.
Ci sembrò opportuno, infine, che il percorso della mostra partisse
dal ‘60, con il bronzo dell’ Uomo con maschera del Museo
Revoltella di Trieste, poiché una parte considerevole delle
opere del decennio precedente, quasi tutte in gesso, era andata
distrutta, mentre di altre, pure importanti, come ad esempio il Re del
‘59, non si conosceva l’ubicazione. Nel complesso furono individuate
circa sessanta sculture, prevalentemente di grandi dimensioni, cui
sarebbe stata aggiunta una selezione di una trentina di disegni inediti.
I visitatori
della mostra potranno valutare quanto di quei criteri su cui Augusto ed
io avevamo convenuto fin dal primo momento sia stato effettivamente
rispettato. Agli incontri di aprile molti altri seguirono, anche negli
ultimi giorni della malattia, fino al mattino dell’ 8 novembre.
Augusto vi partecipò discutendo delle opere da esporre, del catalogo e
della scelta delle fotografie da pubblicare con un interesse via via
crescente. Tanto che ora il pensiero di una mostra che rechi, al di là
delle stesse opere che vi saranno esposte, qualche altro segno della
volontà dell’artista contribuisce a rendercela particolarmente cara.
Non tocca a me,
in quest’occasione, ricostruire per intero il cammino dello scultore o
commentare gli straordinari esiti degli ultimi suoi lavori. Credo,
però, di dover brevemente tornare su un momento centrale dell’arte di
Perez che non sempre è stato considerato con sufficiente attenzione
dalla critica. Bisognerà risalire alla prima metà degli anni Sessanta,
quando, chiusa l’esperienza dei Trofei, Perez si dedicò,
esattamente nel ‘63, ad una serie di esperimenti, realizzati con
oggetti posti davanti a superfici metalliche incurvate e spazzolate a
specchio. Da qui derivarono, l’anno dopo, i primi Specchi e poi
quelli di dimensioni maggiori, compresi il Narciso, il Grande
specchio del Museo di Helsinki e le numerose varianti sul tema del
Luigi XIV, tutte opere in cui il sentimento della bellezza plastica e
insieme del suo irrimediabile sfascio si confronta con l’esigenza,
quasi ossessiva, di mettere la scultura di fronte a se stessa: un
proposito formulato con incredibile chiarezza eppure incredibilmente
sfuggito alla critica, non ancora sensibile, in quel momento, alla
tematica dell’autoriflessività dell’arte (che sarebbe venuta in
primo piano di lì a poco con la diffusione dell’arte concettuale) e
fuorviata forse dall’intensa e stravolta espressività delle immagini
di Perez.
Con gli Specchi
ci troviamo di fronte all’esempio di una scultura di stretta
accezione figurativa, che tuttavia mette da parte qualsiasi concezione
ingenuamente realistica. La "scultura allo specchio" segnala
una linea d’ispirazione che affonda nella coscienza critica del fare
scultura e s’interroga sul senso di questa nel passato e sulla sua
possibilità di sopravvivenza nel presente. In Perez, dall’inizio
degli anni Sessanta e fino all’ultimo eccezionale bronzo intitolato Tebe,
s’è venuta manifestando un’acutissima tensione tra il polo dell’aderenza
al mondo della vita e quello della riflessione sull’arte. Ma questa
tensione non ha imboccato la comoda scorciatoia degli enunciati
programmatici che di solito accompagnano ed enfatizzano i passi delle
cosiddette avanguardie né l’artista s’è preoccupato di attaccare
alle proprie opere quelle didascalie di cui la critica sembra oggi non
poter fare proprio a meno.
Questa mostra,
che ricorda uno dei più grandi scultori figurativi del Novecento, non
è destinata a chi, con animo nostalgico, insegue il miraggio d’una
consolante verità "naturale". È questo un punto di
fondamentale importanza, che tocca le ragioni della grandezza di Perez e
dell’eccezionalità della sua posizione nel panorama dell’arte
contemporanea: strettamente e direi persino visceralmente legato alla
tradizione plastica della scultura occidentale, Perez è stato insieme
consapevole con lucida e implacabile intelligenza della radicalità
della crisi di questa tradizione. Rispetto alla quale egli ha espresso
più d’una volta la convinzione che non ci possa essere peggior
tradimento che i tentativi di prolungarla con l’esercizio di una
ottusa manualità artigianale o di conservarne l’immagine, di
rinfrescarne il look con ridicoli interventi di chirurgia
estetica. Ad intendere la sostanza figurativa dell’arte di Perez giova
piuttosto ripensare a quella che Italo Calvino, nelle sue Lezioni
americane, ha chiamato la "visione indiretta" e ha
spiegato con il mito di Perseo, che non rivolge lo sguardo sul volto
della Gorgone, ma sulla sua immagine riflessa nello scudo di bronzo. In
fondo, la visione indiretta è quella dell’arte, che guarda il mondo
attraverso il proprio specchio. Essa non cancella la realtà dall’orizzonte
dell’arte, ma sa che questa non può parlare della vita se non
attraverso un continuo rimando a se stessa.
Il curatore della
mostra
Vitaliano Corbi
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