LIBRI A CORTE
Testi ed immagini nella Napoli aragonese - Mostra bibliografica ed iconografica
Biblioteca Nazionale, Napoli - Palazzo Reale 23 settembre 1997 - 10 gennaio 1998

Considerata una delle più prestigiose raccolte librarie del Rinascimento, la biblioteca aragonese fu costruita per volere di Alfonso il Magnanimo e costantemente incrementata dai suoi successori.

Le vicende politiche che segnarono la fine del dominio aragonese nel Regno determinarono la sua dispersione nelle maggiori biblioteche europee, soprattutto a Valenza e a Parigi. Nella città d'origine, a memoria di un periodo rimasto leggendario, solo un frammento di quella splendida collezione testimonia un passato che rese Napoli una delle più importanti città d'arte e di cultura del secolo. Sebbene non molto consistente, questo nucleo librario si rivela di grande interesse per la qualità artistica di alcuni manoscritti che consentono di seguire le linee dello sviluppo della miniatura napoletana nella seconda meta del Quattrocento.

Ai codici della biblioteca palatina, notevoli per rilevanza artistica, la Biblioteca Nazionale di Napoli dedica una mostra bibliografica ed iconografica, nell'ambito delle iniziative promosse dal XVI Congresso della Corona d'Aragona.

Il percorso espositivo sottolinea, attraverso tali testimonianze, l'attività dei miniatori e delle botteghe che operarono in città; in questa prospettiva trovano una loro collocazione anche quei manoscritti che, pur non appartenendo alla biblioteca palatina, ad essa in qualche modo rimandano poiché prodotti, secondo identiche modalità iconografiche e testuali, dagli stessi copisti e miniatori che lavorarono per il re. Piani diversi e complementari, quello dei testi e quello delle immagini, evocano, nella loro specularità, l'ambiente della corte, nel quale un'élite di intellettuali - all'ombra del mecenatismo alfonsino - poneva le basi del "discorso" umanistico. Accanto a codici splendidamente miniati - spesso prodotti di esperienze artistiche composite - si ritrovano alcune fra le "voci" più significative di umanisti che svolsero la loro attività nella città partenopea. Fra le immagini che raccontano la raffinata cultura del libro introdotta a corte, appaiono cosi manoscritti che, attraverso le opere del Manetti, del Verduno, del Panormita, del Valla, del Pontano, del Maio, del Trapezunzio e del Musefilo, suggeriscono complesse realtà culturali.

L'analisi stilistica dei codici ha evidenziato il ruolo sempre più importante, per le commissioni affidategli dalla famiglia reale e dagli alti dignitari di corte, di Cola Rapicano. L'intensa attività di questo miniatore induce ad ipotizzare l'esistenza di una bottega che monopolizza la produzione dagli anni '60 in poi. In essa operarono altri miniatori, fra cui il figlio di Cola, Nardo Rapicano, il calligrafo tedesco Gioacchino de' Gigantibus, giunto da Roma intorno agli anni '70, Cristoforo Majorana, attivo soprattutto negli ultimi due decenni del secolo, che proprio nella bottega di Cola inizio la sua attività.

Ideale centro dell'itinerario espositivo e il Libro d'ore di Alfonso d'Aragona, il cui ricco apparato illustrativo e decorativo attesta una complessa cultura figurativa nella quale si individuano accenti espressivi di varia provenienza. Prodotto della collaborazione di più maestri, probabilmente ispirati dallo stesso re e dai suoi gusti pittorici, il codice esprime una sintesi di altissima qualità stilistica fra influenze valenzane e franco-fiango-borgognone. Ad ambiente squisitamente napoletano e riconducibile, invece, il Breviario di Ferrante. Opera di due maestri, Nardo Rapicano - autore delle illustrazioni - e Cristoforo Majorana - cui si deve l'impostazione architettonica delle scene - il codice rappresenta uno degli esempi più alti della miniatura napoletana dell'epoca. Agli stessi minatori è attribuibile il Libro d'ore eseguito per il catalogo Pascasio Diaz Garlon, illustre dignitario della corte aragonese, il cui splendido corredo d'immagini lo inserisce fra le produzioni di maggiore livello artistico. Al solo Nardo Rapicano può essere riferita, inoltre, l'illustrazione di un manoscritto contenente un testo di S. Tommaso - Super quarto libro sententiarum - esemplato per il cardinale Giovanni d'Aragona nel 1484. Questo codice assieme ad altri della biblioteca privata di Giovanni, confluì, dopo la morte di quest'ultimo in quella aragonese, che si andò nel corso del tempo arricchendo con le raccolte private di altri appartenenti alla famiglia reale. I codici esposti documentano inoltre l'attività dei copisti di corte come Gian Marco Cinico, Ippolito da Luni, Jacobo Laurenziano, Pietro di Bordeaux Giovan Rinaldo Mennio, figure di calligrafi e letterari insieme, destinati ad operare in un periodo nel quale si sarebbe attuata una profonda trasformazione verso forme librarie del tutto nuove. Gli incunabuli testimoniano questo radicale cambiamento: ma se il Missale romanum e il Libro d'ore stampati dal Moravo appaiono ancora legati al libro rnanoscritto di cui ripetono i moduli, anche decorativi, l'Esopo di Del Tuppo con l'adozione del corredo silografico, e proiettato verso forme librarie totalmente rinnovate. Legature coeve, d'ambiente aragonese, accompagnano il perorso espositivo, documentando un'evoluzione tecnica ed artistica, dall'originario stile mudéjar in uso negli anni '50-'60, alla tecnica della "foglia d'oro che connota fortemente l'evolversi del gusto nei decenni successivi. Completano l'excursus delle testimonianze aragonesi, conservate nella Nazionale, due documenti del periodo alfonsino.


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