Ministero per I Beni
Culturali e Ambientali
Soprintendenza per I Beni Ambientali e Architettonici dl Napoli e
Provincia
Facoltà di Architettura dell'Università di Napoli Federico II
Fabbrica del Lunedì
Mostra
Emozioni di pietra
- 30 giugno/28
settembre -
Un percorso fra le architetture pubbliche di Mario Botta
Fotografie di Pino Musi
Disegni e modelli di Mario
Botta
Palazzo Reale, Sala Dorica Napoli,
Conferenza stampa 10 giugno 1997 ore 11,00 in tale occasione Mario Botta disegnerà sui pannelli delle strutture espositive, Pino Musi realizzerà una interpretazione fotografica dell'evento artistico che integrerà le immagini del catalogo. Saranno presenti le autorità cittadine.
30 giugno 1997 ore 16.30 Teatro di Corte, Palazzo Reale
TAVOLA ROTONDA: Coordinatore Benedetto
Gravagnuolo
Interventi: Cesare De Seta, Aldo Masullo, Pino
Musi, Werner Qechsiln, Angelo Trimarco, Giuseppe Zampino
Relazione di Mario Botta alle ore 18.00
-Teatro di Corte, Palazzo Reale
INAUGURAZIONE MOSTRA - 30 giugno1997 ore 19,00 - Sala
Dorica, Palazzo Reale
La mostra allestita a Palazzo Reale presenterà i
progetti (di cui 10 realizzati) documentati con 80 fotografie di
Pino Musi, grandi disegni e schizzi realizzati da Mario Botta e
modelli di architettura.
I progetti esposti in mostra sono:
Musei:
Galleria d'arte Watari-um a Tokio, Giappone 1985-1990
Museo d'arte moderna a San Francisco, Stati Uniti
1989-1995
Tenda per il 700° della Confederazione Elvetica a Bellinzona,
Ticino 1989-1991
Museo Jean Tinguely a Basilea, Svizzera I 993-1996
Monumento a Santa Cruz de la Sierra, Bolivia
1996
Chiese:
Chiesa a Mogno, Valle Maggia, Ticino 1998-1996
Chiesa a Pordenone, Italia 1987-1992
Chiesa a Sartirana di Merate, Italia 1987-1992
Cattedrale di Evry, Francia 1988-1995
Cappella del Monte Tamaro, Ticino 1990-1996
Sinagoga e centro culturale a TeI Aviv, Israele (progetto) 1996
Una Mostra di
Architettura
di Mario Botta
Una mostra di architettura porta
inevitabilmente con sé una contraddizione di fondo: l'oggetto
che si vuole esporre non può essere presente. Inoltre l'opera di
architettura non è riconducibile ad un oggetto autonomo poiché
essa è una condizione di spazio che trova la sua ragione
d'essere essenzialmente nelle relazioni che stabilisce con il
proprio contesto.
Queste semplici osservazioni mostrano quanto sia ambiguo e a
volte velleitario parlare di mostre a proposito di architettura.
In effetti si espongono disegni, grafici, fotografie e plastici
che necessariamente portano il visitatore ad una interpretazione
- immaginazione che offre una approssimazione a volte precaria
dell'opera che si intende presentare.
Contrariamente alle esposizioni di opere d'arte dove l'opera può
comunicare direttamente la sua carica espressiva, la mostra di
architettura si presenta come un filtro che può, nel migliore
dei casi, invitare il visitatore ad una ulteriore visita-scoperta
dell'opera da effettuarsi successivamente sul territorio.
Per queste ragioni credo che
una esposizione di architettura debba piuttosto mirare a
sottolineare le ragioni e le poetiche che sorreggono il
"fare" dell'architetto senza la pretesa di comunicare
quelle emozioni che restano esclusivo privilegio di una fruizione
diretta.
Malgrado questo ho accettato volentieri di essere presente a
Palazzo Reale a Napoli con alcune architetture recenti che
raggruppano quelle opere che si possono identificare come opere
pubbliche e musei) e che come tali (prevalentemente chiese
offrono, al di la degli aspetti funzionali una forte componente
simbolica in quanto parlano di particolari istituzioni umane.
Si tratta di opere che solo apparentemente sono confrontabili fra
loro poiché appartenenti aglistessi modelli tipologici. In
effetti sono architetture disegnate in tempi diversi e
soprattutto realizzate in contesti culturali e territoriali
lontani fra di loro (Europa, Giappone. America, America Latina).
Eppure io credo che esistano ragioni perché siano raccolte
nell'unità che conferisce loro la mostra; e non solo poiché
opere uscite dalla stessa matita.
Vi è in queste opere "pubbliche" uno spirito che
aleggia sopra i differenti temi, un atteggiamento che è
possibile riconoscere come testimone del nostro tempo che dona
loro unità come parti di un laboratorio dove l'architetto cerca
di interpretare le tensioni e le aspirazioni che motivano i
diversi mandati.
Vi si trovano le ragioni di una "ricerca" che è
propria del nostro tempo.
Le architetture rivisitate dopo qualche anno diventano testimoni
"costruiti", specchi impietosi - superato il rodaggio
"funzionale" della motivazione iniziale - si propongono
come fedeli interpreti delle nostre speranze e delle nostre
contraddizioni.
Per l'architetto la mostra attorno ad un tema è allora occasione
di pausa e di ripensamento lontano dai ritmi e dai tempi imposti
dai processi di produzione.
E' allora forse possibile rileggere il significato del proprio
mestiere e valutare più attentamente il senso del proprio
operare.
Nello sguardo retrospettivo l'architettura si evidenzia come
strumento di parte, attivo all'interno dei propri limiti ma mai
neutro, capace di evidenziare sottolineare e a volte anche
correggere le degenerazioni di uno sviluppo frenetico che ci ha
portato oggi a trasformazioni difficilmente comprensibili.
L'architettura è disciplina con una forte inerzia, non
riducibile a oggetto di consumo entro tempi brevi: il più delle
volte è testimone ben al di là della vita dell'architetto che
l'ha generato.
Questa particolare connotazione pone per l'architettura la
"resa dei conti" entro tempi relativamente lunghi,
lontana dalle mode e dai relativi consumi per cui a distanza nel
tempo si evidenziano valori e limiti.
Nella rilettura, il ridimensionamento
dell'impatto "formale" ripropone l'aspetto etico come
componente portante la disciplina.
I valori di spazio che l'architettura persegue devono essere
letti come valori abitativi da offrire all'uomo e gli aspetti
enigmatici delle immagini costruite sono gli indispensabili segni
che ci coinvolgono e ci interrogano sul senso del nostro impegno.
Nella babele dei linguaggi e nel quadro di appiattimento che ci
offre la cultura del moderno le architetture delle istituzioni
pubbliche sono straordinarie occasioni per testimoniare del
valore "collettivo"; possono essere segni che ci
riconciliano con il grande passato riattualizzando messaggi e
riproponendo valori di cui l'uomo ha bisogno.
L'edificio pubblico, come un nuovo "totem1' può risvegliare
la memoria di forme e immagini assopite ma che ci appartengono.
Attraverso la sensibilità e il linguaggio di oggi, possiamo far
nostre presenze ancestrali e modelli archetipici che ci indicano
il territorio della memoria come spazio privilegiato entro il
quale l'architettura tenta di resistere alle debolezze e alle
fragilità della cultura contemporanea.
Fotografare
l'architettura
di Pino Musi
L'occasione di questa mostra a
Napoli mi permette di riflettere retrospettivamente sui perchè
di una scelta, ormai decennale, di confrontare il mio
immaginario, attraverso la fotografia, con l'immaginario di un
genio dell'architettura contemporanea.
"L'architettura è la trasformazione di una condizione di
natura in una condizione di cultura", afferma Botta, e ciò
detto diventa estetica ed etica portante del suo lavoro.
Anche la fotografia è un atto dì trasformazione soggettiva del
reale con buona pace di quelli che sostengono la pura valenza di
documento. Ma c'è un fascino in questo linguaggio ed è quello
di provare a stare, acrobaticamente, su un filo di confine,
quella linea ideale che mi permette di rinchiudere in una cornice
un frammento selezionato dalla realtà e. nel contempo, narrare
me stesso, in un sottile gioco di rimandi.
"Senza luce nessuno spazio", altro concetto del mio
compagno di viaggi, che mi ritorna in mente frenando a volte
l'istinto, nel gesto di far scattare l'otturatore della macchina
fotografica.
Bisogna dire che pochi altri architetti al mondo maneggiano
materia, luce/ombra, spazio come Mario Botta.
Quando sono in una sua architettura esiste
un rituale prima di fotografare: piazzare il cavalletto in un
punto, il mio punto di vista privilegiato, sedersi e aspettare
nel piacere dell'attesa che succeda, come in una pièce teatrale,
quella magica invasione di luce vibrante e che lo spazio si
popoli dei suoi fantasmi. Dopo di che posso incominciare ad
inseguire gli accorgimenti che si succedono sulla scena, tutto
senza cercare l'illusione del "racconto" ma tentando di
comunicare il piacere di una meraviglia a cui mi è dato di
partecipare.
Orari di apertura:
da giovedì a sabato 9,00-18,30
Domenica, lunedì e martedì 9,00-13,30
mercoledì chiuso - l'ingresso alla mostra è gratuito
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