Viviani: immagini di scena

 

BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI
- SALA LEOPARDI -
29 MAGGIO -12 OTTOBRE 2001

Progetto scientifico
Rosaria Borrelli, Giuliano Longone
Progetto espositivo e multimediale
Giuliano Longone (ideazione), Maria Elisabetta Longone (architetto consulente)
Catalogo a cura di
Maria Antonietta D’Angelo, Giuliana Guarino, Patrizia Mottolese, Rosaria Savio, Marisa Spiniello
Allestimento
Arcangela Di Lorenzo

«Facciamo cantare ‘o figlio ‘e Rafele»: gli esordì

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Raffaele Viviano nasce a Castellammare di Stabia la notte tra il 9 e il 10 gennaio 1888. Come risulta dall’estratto dell’atto di nascita datato 18 febbraio 1955, lo stesso don Raffaele, ormai affermato autore e artista drammatico, richiederà il mutamento dell’originario cognome Viviano, ritenuto poco teatrale, in Viviani.
Il debutto di Raffaele Viviani sulle scene teatrali avviene nel 1892, all’età di quattro anni e mezzo, in un teatrino di marionette a Porta San Gennaro dove, a conclusione dello spettacolo, si esibisce il tenore e comico Gennaro Trenci. Una sera che questi è ammalato, Viviani viene frettolosamente vestito con il frac di una marionetta e mandato in scena. Compare spesso in coppia, in duettini e canzoni spassose, con Vincenzina Di Capua e, successivamente, con la sorella Luisella che ha dato inizio alla sua carriera già nel 1895 al Teatro Masaniello di cui era proprietario il padre.
Cresciuto dopo la morte del padre senza alcun controllo, per la strada, così come ancor oggi crescono migliaia di ragazzi napoletani, Viviani prende gradualmente coscienza della vanità di questo tipo di esistenza che lo manterrebbe nell’ignoranza e con ogni probabilità lo spingerebbe su una strada pericolosa, forse anche alla criminalità. Con grande forza di volontà, sostenuto dalla sua intelligenza e da un indomito orgoglio, decide di intraprendere la via degli studi e, come egli stesso dice nei bei versi di Guaglione, comincia a sillabare A E I O U.
Nel 1906 Viviani ottiene un contratto a Milano, della durata di un mese, presso la Gelateria Siciliana situata nell’Esposizione in Piazza d’Armi. Qui ha l’opportunità di recitare alla presenza del re Vittorio Emanuele III, accompagnato dalla nipote Maria Letizia, presentando la sua macchietta più apprezzata, Lo scugnizzo. Dopo la chiusura dell’Esposizione viene scritturato al Teatro Morisetti a Milano e, in seguito, al Concerto Emilia di Torino; di qui passa all’Alcazar di Genova e al Concerto Roma di Alessandria, dove recita insieme alla sorella.
Viviani continua la sua attività nell’Italia settentrionale per alcuni anni, fino ad approdare al Teatro Eden di Bologna, luogo prestigioso dove passano gli artisti più celebri e dove solo a fatica si ottiene la consacrazione del successo. Dopo una prima accoglienza piuttosto fredda da parte di un pubblico di studenti distratti e vocianti, alla fine di una lunga serie di rappresentazioni, lo scugnizzo riesce a fare breccia nell’animo dei più attenti, tanto che all’ultimo spettacolo ottiene finalmente un’ ovazione.
Dopo un breve rientro a Napoli, nel 1907, guadagna un contratto estivo a Malta. Di nuovo a Napoli, debutta al Teatro Eden, dove presenta sei nuove composizioni che consacrano il suo genere e che nascono da un impegno e da uno studio della grammatica e della musica estremamente faticoso per un uomo che resta comunque un illetterato.
Nel 1908, al Teatro Nuovo di Napoli, Viviani conosce la sua futura moglie, Maria Di Maio, che è solita assistere alle rappresentazioni da un palco di sua proprietà, in compagnia di una zia. L’artista rimane conquistato dalla giovane, che all’epoca ha appena quattordici anni, e riesce a farsela presentare. La sua richiesta di matrimonio viene inizialmente respinta dalla famiglia Di Maio, sia per la giovane età della ragazza sia per la condizione economica e la professione del pretendente. La popolarità di Viviani, intanto, si consolida e si estende anche all’estero. Nel febbraio del 1911, infatti, è scritturato dal Fòwarosi Orpheum di Budapest, con l’impegno di rappresentarvi per un mese alcune delle sue più celebri macchiette. Artista ormai affermato, Viviani ottiene finalmente il consenso al matrimonio che verrà organizzato in appena due giorni e celebrato il 9 settembre 1912. Dal matrimonio nasceranno Vittorio, Yvonne, Luciana e infine Gaetano.

« ... domatore per domare la belva»: gli anni del Varietà

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Il Varietà rientra nelle forme cosiddette minori del teatro fine Ottocento e primo Novecento. Nei café-restaurants, nei piccoli teatri, persino negli stabilimenti balneari in cui viene allestito e proposto, lo spettacolo di varietà addensa, entro una durata volutamente contenuta (circa un’ora e mezzo, con notevoli possibilità di repliche, tra matinées, cioè spettacoli diurni, e serali), una rassegna il più possibile varia di piccole forme sceniche, ognuna delle quali è affidata a uno specialista: canzonettista, macchiettista, comico, prestidigitatore, fantasista, imitatore, illusionista, acrobata. Ciascuno di questi numeri obbedisce, al suo interno, a precise convenzioni e all’inderogabile brevità d’ogni prestazione; il numero che maggiormente attira il pubblico è la cosiddetta macchietta (piccolo componimento comico, in cui si delineano i tratti salienti di un personaggio).
Per Raffaele Viviani il numero è quello del tipo: la caratterizzazione in prosa e verso di una figura colta dal vivo e scenicamente ricreata nello spazio di cinque sei minuti dì esibizione.
La prima grande novità di Viviani rispetto agli altri macchiettisti, è quella di affidare alla canzone il compito di caratterizzare il personaggio, scrivendo i versi e le musiche dei propri pezzi avvalendosi dell’aiuto di pochi collaboratori fidati (i musicisti Enrico Cannio e Eduardo Lanzetta).
Un’altra caratteristica saliente di Viviani è il rapido passaggio dalla macchietta a un solo personaggio (come ‘O Scugnizzo, ‘O Sapunariello, ‘O Pisciavinolo, ‘O Scupatore) a quella a più personaggi o polifonica. E il caso di Piedigrotta, che vede la luce al Teatro Nuovo nel 1908, in cui riesce a restituire in poco più di una trentina di battute «una vivacissima immagine del gran baccanale partenopeo», come si espresse l’autorevole grecista Ettore Romagnoli. I personaggi a cui l’attore presta voce sono oltre una dozzina: il capofamiglia, la vecchia, l’imbonitore da baraccone, il pizzaiolo, il posteggiatore, due innamorati, il monello, e persino un piccirillo ... sperduto mmiez’ ‘a folla.
Viviani ebbe la sua consacrazione nel 1904 al Petrella, il teatro a Basso Porto, nelle vesti di ‘O Scugnizzo, la macchietta di Capurro e Buongiovanni:
Lo Scugnizzo fu interpretato per la prima volta da Peppino Villani, al Teatro Umberto I, con grande successo.
Un successo accordatogli non soltanto dal pubblico, ma anche dalla critica, secondo il giudizio di Gigi Michelotti, famoso giornalista e autorevole critico teatrale:
«Viviani è... lo scugnizzo (....) Innegabilmente dei caratteri dello scugnizzo c’è molto nell’arte di questo nostro magnifico attore. L’intelligenza, la sincerità, la facoltà di vedere la vita con occhi nuovi, la possibilità di fare di un nulla un motivo di gioia, la mania dell’indipendenza, la possibilità di essere ragazzo e di sentirsi uomo».
Anche il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta, grande ammiratore di Raffaele Viviani ,esprime il suo giudizio a favore della famosa macchietta ‘O Scugnizzo: «Si ride anche qui. ma fra il riso spunta, ad un tratto, cocente una lagrima; e il dramma infine prorompe con un crescendo ed una chiusa efficacissima».
Nel 1905 segue Totonno ‘e Quagliarella, scritta dal poeta Giovanni Capurro e musicata da Francesco Buongiovanni che aveva avuto come primo interprete Peppino Villani.
Sarà proprio questa macchietta che il famoso poeta e musicista E.A. Mario gli chiederà di riproporre nel 1947, in occasione della rievocazione del glorioso Teatro Eden, che aveva visto la luce neI 1894 ad opera dei fratelli Resi e che nei 1931 fu trasformato definitivamente in una sala cinematogratica.
NeI 1910 Viviani ha 22 anni ed è ormai un notissimo artista di Varietà. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 1904 in cui si andava affermando al Teatro Petrella nelle vesti di ‘O Scugnizzo e dalle peregrinazioni per i vari teatri italiani. Viviani è ormai una vedette popolarissima, apprezzata dal pubblico per il suo singolarissimo temperamento artistico. Non sorprende, quindi, che illustri suoi contemporanei esprimano, proprio allora, delle opinioni sulla sua arte: giudizi lusinghieri come quelli di Ferdinando Russo, Ernesto Murolo, Libero Bovio, Ugo Ricci, Rocco Galdieri, Gaspare Di Martino, Eduardo Pignalosa, o severi come quello di Salvatore Di Giacomo: «Nelle cosi dette "macchiette spiritose" composte di volgarità, di sudicerie, di doppi sensi, scritte nella ibrida lingua degli scarafaggi letterarii da’ quali questa nostra povera Napoli è ammorbata, mi dispiace dirlo, Viviani è uno che somiglia a tutti gli altri e m’è insopportabile».
Quindici anni dopo Viviani non è più solo un artista di varietà, ma un affermato autore di opere teatrali. I giudizi sul suo lavoro diventano, quindi, più articolati e scatenano vere e proprie discussioni sul reale valore della sua arte. Ne è un esempio un articolo di Ferdinando Russo pubblicato sul «Corriere d’Italia» nell’aprile del 1925 che innesca una vera e propria battaglia a mezzo stampa con il critico Lucio D’Ambra.
Nel 1911 Raffaele Viviani si qualifica al concorso bandito dal giornale «La Tavola Rotonda» con due canzoni: Nce vevo ‘a coppa!, di cui egli è l’autore dei versi sulla musica di G. Sales, e L’abitué dei concerti, di cui ha composto sia i versi che la musica. Quest’ultima sarà poi inserita in Eden Teatro.
Viviani porta nel suo varietà tipi presi dalla strada, appartenenti talvolta alla più squallida realtà napoletana, gente alla deriva che vive di espedienti; ne costituisce un esempio la macchietta ‘O delinquente (conosciuta anche come ‘O malandrino, il cui protagonista sarà introdotto in seguito nella commedia Via Toledo di notte col nome di Filiberto Esposito).
Alcuni personaggi creati da Viviani commettono atti criminosi, pur non essendo delinquenti, perché spinti dalla gelosia: ad esempio, nella macchietta Ar tribbunale, scritta in romanesco in collaborazione con Luigi Carini e musicata da Enrico Cannio, il marito accoltella l’amante della moglie dopo aver sorpreso i due fedifraghi; Viviani la rappresenta per la prima volta al Teatro Eden di Napoli nel 1909.
In vernacolo romanesco l’artista scrive anche Fiamme der core, in cui un marito tradito si vendica incendiando il pagliaio dove giacciono la moglie e il suo amante. Fra il 1908 e il 1909 da questo brano verrà tratto un film dal titolo L’accusato.
Raffaele Viviani ama esibirsi in dialetti diversi da quello napoletano: interpreta in romanesco La serenata di Cesare Pascarella e in siciliano Turiddu Spitu di Nino Martoglio; in quest’ultima macchietta l’artista ritrae la figura di un mafioso con una caratterizzazione esemplare che ha assimilato da Giovanni Grasso, suo antagonista nel film, andato perduto, Amore selvaggio (1909).

TECA 3
Nel 1915 Viviani si fa promotore della pubblicazione di una Piedigtotta Viviani presso il tipografo Gennaro Tavassi, che è anche autore dei versi di alcune canzoni in essa contenute. Viviani aveva già inserito molti dei pezzi della Piedigrotta nel suo già vasto repertorio, portandoli in giro nei suoi spettacoli.
Nel 1915 Mayol* assiste a uno spettacolo di Viviani e colpito dalla sua verve gli procura una scrittura al Teatro Olympia per una a serie di spettacoli.
Viviani tocca il cielo con un dito: il grande Olympia lo ospiterà? Non gli sembra vero. Il 15 novembre 1916 si reca a Parigi con la moglie per esibirsi la sera del 17.
Ma il debutto è un fiasco completo, al punto che nelle sere seguenti Viviani non occupa più il posto riservato alla vedette e i numeri gli vengono ridotti. Qualche sera dopo Mayol va a fargli visita nel camerino e si abbracciano «Ma perché io non piaccio?» - gli chiede Viviani. Mayol si piega nelle spalle e non sa rispondere.
Nel 1916 una circolare del ministro Luigi Luzzatti invitava a combattere la pornografia dilagante negli spettacoli di Varietà e nel cinema. Viviani - secondo il quale è impossibile combattere la pornografia perché «L’essere umano è pornografico per natura» - risponde alla sua maniera, con una delle sue sortite (un genere da lui inventato e che anticipa le conversazioni degli attuali comici).
La sortita diretta proprio alla circolare ministeriale è Combattiamo la pornogrqfia del 1916; sarà inserita in seguito come numero di varietà in Eden Teatro e modulata sull’ironico tema di un minuetto.
D’altra parte il convincimento che la pornografia sia un male ineluttabile è presente anche in altre sortite come Lingue sorelle, in cui Viviani prende in esame l’uso ricorrente di alcune espressioni francesi, il cui suono nella nostra lingua genera imbarazzanti equivoci: per Viviani il calembour diventa un pretesto per cimentarsi in una serie di doppi sensi il cui uso è molto in voga nel varietà di quel tempo. Anche questa sortita comparirà nella commedia Eden Teatro.
Ancora in linea con questo argomento è Frasi celebri del 1924, in cui Viviani vuoi dimostrare che la pornografia non è presente solo nei testi del Varietà; ma anche nelle opere liriche (ad esempio Rigoletto, Pagliacci, ecc.) e letterarie (l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia, ecc.).
Verso il 1916 Viviani è ingaggiato dall’Eldorado Lucia per una serata di beneficenza a favore del Cimitero monumentale del Grappa e interpreta alcune sue macchiette. Nella stessa serata Eduardo Scarpetta con la sua compagnia rappresenta la sua Miseria e nobiltà.
Nel 1917 l’editore Emilio Gennarelli di Napoli, organizzatore fra l’altro della rinomata Piedigrotta Gennarelli, pubblica le più famose canzoni e macchiette di Raffaele Viviani, quelle che ancora oggi riscuotono un notevole successo: Bammenella, ‘O guappo ‘nnammurato, ‘O Don Nicola, ecc.
Non poche fra queste saranno in seguito introdotte nelle opere teatrali: Bammenella sarà Ines la prostituta in Via Toledo di notte, ‘O guappo ‘nnammurato (Totore) e Prezzetella ‘a capera diventeranno personaggi de Il Vicolo; ‘O Don Nicola sarà il ciarlatano girovago di Osteria di campagna; ‘O muorto ‘e famma il Mendicante in Santa Lucia Nona; Carlino il calzolaio canterà A scala d’ammore in Putiferio.
Nelle canzoni, così come nelle macchiette del Varietà; Viviani trae spunto dalla realtà e non c’è niente di così drammatico in essa che gli impedisca di vederne l’aspetto comico: le delusioni d’amore, la grande guerra, la figura squallida di un gagà, tutto diventa materiale per le sue composizioni. Le sofferenze causate dall’amore deluso sono materia di Quanno jarraie a spusà!...: straziante dichiarazione di un innamorato che la sua bella ha lasciato per un altro uomo, sarà poi inserita nella commedia Lo Sposalizio rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1920.
In Strofette della guerra Viviani mette alla berlina il Kaiser di Germania Guglielmo e la smania egemonica dei tedeschi, sottolineando la scarsa mascolinità del popolo germanico; una simile allusione era già nella macchietta Guglielmissimo, in cui si presentava sulla scena con un finocchio sul petto.
L’Amico delle donne è, invece, un damerino di «grande esperienza» che passa puntualmente in rassegna i tipi di donne che ha incontrato nella sua lunga carriera di tombeur de femmes la signora, la signorina, la sciantosa, ecc., fingendo talora irritazione, talora compiacimento di fronte ad alcuni loro atteggiamenti.
Ne L’imboscato parla in prima persona un gagà, che preferisce la bella vita ai disagi del conflitto bellico: ritratto caratteristico non tanto di una jeunesse dorée napoletana del primo dopoguerra, quanto di una fauna sociale che potremmo dire europea.
La famosa giornalista e scrittrice Matilde Serao invita, in data 13 febbraio 1919, Raffaele Viviani al Teatro Politeama per una matinée e promette di fargli ottenere nel programma un posto conforme al suo desiderio e al suo valore.
Nel 1920 lo scrittore Nino Aversa dedica a Raffaele Viviani, artista teatrale ormai affermato, una breve biografia nell’ambito de i nostri contemporanei, collezione riguardante illustri esponenti delle più svariate branche: uomini di lettere, scienziati, parlamentari, pionieri della democrazia, eroi, architetti e artisti, come appunto Viviani.

« ... folla varia, spicciola, proteiforme, multanime, pittoresca»: dal Varietà ai Teatro

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Dopo la lunga e formativa esperienza artistica nel Varietà, Viviani sente l’esigenza di organizzare in una forma compiuta i numerosi tipi del repertorio macchiettistico.
Scritto e rappresentato negli ultimi mesi del 1917, il Vicolo è il primo atto unico di Raffaele Viviani, in cui per la prima volta egli assembla i personaggi delle macchiette, i tipi del varietà e le canzoni in un’opera finita e organica. Partendo anche da un’esigenza pratica - la chiusura dei teatri di Varietà dopo la sconfitta di Caporetto e l’esigenza di offrire al pubblico dei reduci uno spettacolo più edificante - Viviani fa rivivere attraverso la sua sofferenza di uomo e la straordinaria versatilità di attore, i comici, le macchiette, gli acrobati e i tipi del mondo dello spettacolo d’arte varia.
È l’autore stesso a spiegare, nelle pagine della sua autobiografia, il passaggio dal Varietà al teatro drammatico: «Pensai di creare all’artista quella rispettabilità che avevo saputo dare all’uomo [...] e debuttai al Teatro Umberto di Napoli, con un atto "O Vico" (il vicolo) scritto da me, improvvisato tra i tipi del mio repertorio, legati con un certo filo logico...
In queste scene dì vita popolare, si vede il Viviani più grande, lo scopritore di una Napoli europea di cui mette a nudo le miserie morali e materiali, non certamente per il puro gusto del compiacimento, ma al contrario, per lanciare attraverso la finzione scenica, un messaggio molto aspro e pungente, fatto di espressioni dialettali forti e originali.
Teatro dell’azione è il Borgo Loreto nel quale vive e soffre una folla vociante di individui i più disparati, e la via del Chiatamone, famosa per le sue fonti di acqua sulfurea, che gli acquaioli vendono nelle caratteristiche mummere di creta.
In Piazza Ferrovia, atto unico scritto nel 1918 e più volte rappresentato con l’aggiunta di nuove scene, Viviani riporta un tale successo da ottenere «applausi a scena aperta», come scrive «Il Nuovo Giornale di Firenze» del 10 marzo 1924.
In questa breve pièce, doti Raffaele fotografa il variopinto mondo che ruota intorno alla Piazza della Stazione di Napoli, ritagli di vita del marciapiede, popolati da piccole macchiette e da personaggi drammaticamente veri.
Dell’atto unico Parta Capuana Raffaele Viviani compone prosa e musica, rappresentandolo più volte nell’arco del 1918 con notevole successo.
Il lavoro prende il nome dall’antico varco che si trova all’interno del quartiere della Vicaria, centro d’intensa attività commerciale e sede di un colorito mercato alimentare, popolato di ambulanti e girovaghi, che rallegrano e attirano i compratori con le loro caratteristiche voci. Proprio nel coro dei venditori si può individuare l’elemento di coesione della commedia, poiché essi singolarmente si dichiarano disposti a fare da garanti nei rapporti di un quartiere difficile, in cui vivono e operano persone diversissime, costantemente in lotta tra loro. Emerge chiaramente che le simpatie di Viviani vanno alle categorie umane più deboli.
Scalo Marittimo, atto unico conosciuto anche con il titolo di ‘Nterr’ ‘a ‘Mmaculatella, è scritto nel 1918 e più volte rappresentato, meritando grandi elogi della stampa locale per l’affiatamento dimostrato dagli attori della Compagnia, i quali, fatto insolito per l’epoca, recitano a memoria senza l’aiuto del suggeritore.
In linea con la «retorica dell’emigrante», in questa commedia l’autore descrive la triste condizione di chi, costretto da una miseria senza sbocchi, vede nell’emigrazione verso l’America l’unica possibilità di sopravvivenza, pur conoscendone i rischi e gli imprevisti.
Il secondo dei due atti di Borgo Sant’Antomo, recitato autonomamente, preesisteva al primo. Nella stesura originaria la commedia è messa in scena al Teatro Umberto di Napoli il 13 settembre 1918; l’anno seguente il lavoro viene rappresentato nella versione definitiva con grande successo di un pubblico, divertito dalla fresca spontaneità dei personaggi-macchiette e colpito nella fantasia da sonorità musicali di indiscusso sapore etnico.
La commedia prende il nome da un rione popolare di Napoli, che s’insedia tra Piazza Carlo III e la Ferrovia, zona particolarmente familiare a Viviani che da bambino abitava in vico Finale al Borgo.

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Via Toledo di notte, commedia in un atto di cui Raffaele Viviani compone versi e musica, trae il titolo dal nome dalla grande arteria di Napoli. Via Toledo, aperta dall’omonimo viceré spagnolo, e che congiunge da nord a sud le due regge della città. Il lavoro nasce come ‘A notte, con il titolo definitivo e rappresentato per la prima volta al Teatro Umberto di Napoli il 7 ottobre 1918, alla presenza di Francesco Saverio Nitti, e riscuote enorme successo, come registra la stampa dell’epoca, che profonde elogi calorosissimi a tutti gli attori della Compagnia.
Successivamente il testo è ripreso più volte.
Protagonista dell’opera è il popolo notturno di Via Toledo, un campione d’umanità di pur diverse tipologie, ma saldato insieme dal comune destino di precarietà e di tragica labilità che è proprio del mondo della strada. Viviani si consacra così poeta degli umili, nel portare in scena i sentimenti di accattoni, meretrici, ruffiani e scippatori.
Piazza Municipio - zona di Napoli interamente ricostruita, secondo il piano regolatore del Risanamento - è scritta nel 1918 in forma di atto unico, l’attuale secondo, e rappresentata al Teatro Umberto di Napoli la sera dell’8 novembre dello stesso anno. Qualche anno più tardi, nel 1924, l’autore compone un altro lavoro in un atto, intitolato ‘O masto ‘e l’Arsenale, e lo annette al precedente come primo atto.
Nella versione in due atti, la commedia è messa in scena per la prima volta a Firenze, nel 1925, con il titolo di A Piazza Municipio.
Osteria di campagna,
scene popolari in un atto scritte da Raffaele Viviani nel 1918 e rappresentate per la prima volta il 13 dicembre dello stesso anno al Teatro Umberto di Napoli.
Nel copione degli anni ‘30-40 in nostro possesso figurano tra gli interpreti attori molto noti, quali Vincenzino Scarpetta nel ruolo dell’oste Don Pascale e Luisella Vivians nel ruolo della servetta Rusinella; lo stesso Raffaele Viviani recita in quattro ruoli presi in prestito dal repertorio del varietà: Tore ‘o sellaro; Don Nicola, ciarlatano giullare e cantastorie di intonate filastrocche; ‘O professore, suonatore ambulante; ‘O ‘mbriaco, ripreso da una sua scena del 1912 intitolata. La domenica del ciabattino. Particolarmente congeniale all’arte drammaturgica e musicale di Viviani risulta la cornice campestre, nella quale i canti e i balli dei contadini, accompagnati dalla sua musica così scorrevole, fluida e piacevolmente orecchiabile sostengono i vivaci dialoghi.

TECA 6
Festa di Piedigrotta è rappresentata nella originale versione in due atti il 19 novembre 1919 al Teatro Umberto di Napoli, dove ottiene un notevole successo.
Nella Villa Comunale scintillante di luci e di colori si scatena la millenaria festa pagana di settembre, la Piedigrotta partenopea che con i suoi carri, le sue allegre cavalcate, le variopinte luminarie «.... vo’ l’ammuina» e, portando con sé tutto ciò che di pittoresco, comico e sentimentale si riesce a concepire, costituisce per i fidanzati l’occasione buona « . . .‘e fa nu poco ‘e scustumate...».
Soprattutto è la festa della canzone, dei carri allegorici e della folla tumultuante, sapientemente affiatata e coordinata dall’autore, che comunica spontaneità e naturalezza a piene mani. Viviani compie una operazione fotografica dal vero, filtrata dai suoi ricordi giovanili della Festa, rivelandosi autore ed attore ineguagliabile.
Con l’aggiunta del terzo atto il testo teatrale è rimesso in scena nel 1924 e nel 1925 nelle principali piazze d’Italia, e replica il successo anche nel 1929, durante la fortunata tournée della Compagnia Viviani in Sud America.
L’atto unico Lo Sposalizio viene portato in scena per la prima volta al Teatro Umberto di Napoli nel 1919; la versione in due atti della commedia, rappresentata nel gennaio del 1920, è invece tratta da una omonima scena che Raffaele Viviani ha scritto nel 1912, una di quelle scene che l’autore è solito recitare da solo, assumendo di volta in volta la fisionomia, la voce e la gestualità dei singoli personaggi, sorretto dalla sua straordinaria mimica facciale. Alla stesura del lavoro collabora il primo attore della Compagnia, Gigi Pisano, autore anche di un bozzetto, ‘E virgine, poi confluito parzialmente nel primo atto de Lo Sposalizio. La commedia fu più volte rappresentata negli anni 1930-1932, nelle prestigiose piazze dì Napoli, Bari, Milano, Treviso, Bologna e Roma.
Il vero successo della commedia sta dunque nella funzione corale dei personaggi che ruotano intorno ai due protagonisti principali, alternando e stemperando le tensioni tragiche con una massiccia dose di graffiante ironia.
La Bohème dei comici è una commedia in due atti con versi, prosa e musica. Il titolo originale della prima rappresentazione, del 16 ottobre 1920 - Lo Bohéme di Viviani - è successivamente corretto in quello di La Bohème dei comici, che meglio evidenzia i numerosi riferimenti al mondo del varietà, che rappresenta per l’autore la prima e vitale esperienza artistica.
Il primo atto è ambientato nella Galleria Umberto I di Napoli, dove per tradizione si radunano ancora oggi artisti, canzonettisti, comici, cantanti e macchiettisti in cerca di scritture, e impresari che combinano stagioni, piccole tournées e contratti per singole serate. Per la prima volta Raffaele Viviani compare nell’elenco dei personaggi con il suo vero nome, e interpreta se stesso nel ruolo di un comico macchiettista al 1905.
Completamente diversa la scena del secondo atto, intitolato, nel copione esposto, ‘E cornice ‘e copp’ ‘e bagne, che si svolge nella sala deserta del Bagno Risorgimento a San Gennariello, dove alle cinque del mattino fanno il loro ingresso gli artisti, che con le loro esibizioni canore sono preposti ad allietare la giornata di vacanza dei bagnanti.
Campagna napolitana è uno dei più rappresentati tra i testi di Raffaele Viviani. Si tratta di una commedia in due atti scritta nel 1921 e più volte ripresa: a Roma nel 1922, a Torino nel 1923, è riportata in scena sempre con grandissimo successo, come si evince dai numerosi visti per la rappresentazione impressi sul copione in nostro possesso. Sui dagli esordì è in cartellone nelle principali piazze italiane - Napoli, Milano, Genova - oltre che all’estero: in Sud America, a partire dal 6 Luglio 1929, durante la fortunata tournée della Compagnia Viviani a San Paolo del Brasile.
A questa seguono numerose altre recite tra il 1930 ed il 1935, fino a quella di Tunisi del 1936, e, ancora, fra il 1938 e il ‘39.
Si tratta della prima opera di Raffaele Viviani che abbia uno svolgimento lineare e una ben chiara caratterizzazione dei singoli personaggi e delle situazioni; protagonista principale è l’insanabile contrasto di classe, tra il vecchio proprietario latifondista di Terra di Lavoro, zona allora ricchissima di coltivazioni di canapa, e il proletariato agricolo dei contadini.
Contrasto che esplode violentemente, liberandosi nel canto rurale di: «Sta campagna nun è ’a nosta, comm’è nosta sta fatica!».
Circo Equestre Sgueglia è la prima commedia in tre atti di Raffaele Viviani, redatta in poco meno di un mese. Alla prima rappresentazione al Teatro Bellini di Napoli nell’autunno del 1922 fanno seguito molte e fortunate recite, documentate dai numerosi visti di autorizzazione impressi sul copione di scena in nostro possesso.
Ambientato tra baracconi, giostre e trapezi, il lavoro si snoda attraverso le alterne vicende della famiglia Sgueglia, proprietaria dell’omonimo circo., espressione di un mondo povero e precario, basato sull’eterna finzione, con l’unica drammatica certezza del fatto che lo spettacolo che deve andare avanti comunque, anche quando: «tiene ll’ossa tutte spezzate... e ‘a morte dint’ ‘o core».
L’autore stesso, vissuto in gioventù a contatto con il mondo dei girovaghi, dal quale ha appreso le movenze, la plasticità dei gesti e l’animo un po’ zingaro, interpreta il ruolo del protagonista, il clown Samuele che, oltre a suonare più strumenti musicali, si esibisce nel finale in audaci numeri acrobatici.
Fatto di cronaca nasce nel 1918 come atto unico con il titolo For’ ‘a loggia e viene rappresentata per la prima volta al Teatro Umberto di Napoli nell’ottobre dello stesso anno. E nel 1923 che Viviani scrive i rimanenti due atti, dando vita alla commedia in tre atti di Fatto di cronaca, che mette in scena nel novembre di quell’anno al Teatro Bellini di Napoli.
Sostanzialmente l’argomento del primo atto di ‘O fatto ‘e cronaca corrisponde a quello dell’atto unico For’ ‘a loggia.
La figliata
è una commedia in due atti che Viviani trae da una scena del 1912; rappresentata per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli il 27 agosto del 1924 esercita meritatamente un forte richiamo di pubblico.
Nella commedia prevale la rappresentazione corale di una comunità in cui i singoli personaggi, affiancando il protagonista, acquistano gradatamente una loro precisa connotazione e un affiatamento perfetto, dovuto soprattutto alla capacità di Viviani di ottenere una disciplina scenica così ferrea, da meritarsi l’appellativo di «Duce della vittoriosa Troupe».
I Pescatori, dramma in tre atti di Raffaele Viviani, va in scena per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli l’11 agosto 1925, riscuotendo grandissimo successo.
Pescatori rappresenta una comunità che vive secondo le ferree regole di una organizzazione tribale. Sistemati e quasi confinati sulla spiaggia di Mergellina, i pescatori consumano la loro dura e triste esistenza tra la baracca sulla spiaggia e il mare aperto, incalzati dall’avanzare dell’edilizia abusiva e selvaggia: « ... già simmo arrivate ‘n terr’arena. N’atu palazzo ch’aizano...

TECA 7
Zingari è una tragedia in tre atti, rappresentata per la prima volta il 10 febbraio 1926 a Livorno, dove riscuote un buon successo di critica. L’anno successivo l’autore propone una seconda edizione del lavoro, che, rappresentato al Teatro de’ Fiorentini di Napoli il 24 maggio, è accolto da unanime consenso di pubblico e di critica.
Grande conoscitore della psicologia femminile e della grande forza di carattere delle donne, Viviani indugia sapientemente sui loro sentimenti, che sono poi il vero motore di un mondo dominato, nel teatro come nella realtà, da figure maschili troppo spesso prepotenti e provancanti.
Napoli in frac è una commedia-rivista scritta da Raffaele Viviani nel 1926, e rappresentata per la prima volta al Teatro Valle di Roma il 20 marzo dello stesso anno.
Il canovaccio della vicenda è suggerito all’autore dalla speranza di beneficiare dei finanziamenti disposti dalle autorità del governo fascista in materia di pubblici spettacoli. Infatti Viviani si sforza di proporre all’attenzione del pubblico lo spettacolo di una Napoli ripulita e arricchita, allo scopo di assumere quella compostezza e gentilezza di modi proprie a molte città dell’Italia settentrionale con le quali è chiamata a confrontarsi. Pur seguendo il destino di modernizzazione delle grandi metropoli, Napoli non perde nella rappresentazione scenica il suo fascino, poiché riesce a mantenere vive le forti tradizioni popolari.
Fuori l’autore è un lavoro dalla genesi piuttosto articolata. Nel corso degli anni sarà più volte rimaneggiato dall’autore con continui cambiamenti di titolo, tanto che, nella difficoltà di attribuzione di quello definitivo, sarà conosciuto anche con il titolo Leggiamo la commedia.
Il 12 luglio 1926, infatti, Viviani porta in scena al Teatro Fiorentini di Napoli la commedia in due atti dal titolo L'Italia al Polo Nord, che riscuote grande successo.
Il giudizio dei critici non risulta però unanime, tanto da indurre Raffaele Viviani a preparare una nuova edizione della commedia in tre atti intitolata L'Autore. Rappresentata al Teatro Quirino di Roma nel 1927 anche questa nuova stesura registra tiepidi consensi.
Nel 1933, con il titolo nuovamente modificato di Leggiamo la commedia, Viviani la porta in tournée in molte città dell’Italia settentrionale, riscuotendo finalmente successo di pubblico e di critica.
Napoletani d’oggi è una commedia del dicembre 1926, scritta di getto ed elaborata in soli sette giorni; viene rappresentata per la prima volta al Teatro de’ Fiorentini di Napoli il 13 gennaio del 1927. Il pubblico e la critica le tributano festosissime accoglienze per l’elogio dell’opera benefica intrapresa dal Regime a favore del Mezzogiorno d’Italia e della città di Napoli, sua degna capitale.
Scritta in soli venticinque giorni, Putiferio è una commedia in tre atti rappresentata per la prima volta a Firenze il 1° novembre 1927.
Il testo è ripreso più volte: nel giugno 1928 al Teatro Biondo di Palermo Viviani ottiene un successo personale per la sua superlativa prova, ma si merita anche qualche critica negativa per la eccessiva superficialità delle situazioni comiche. Seguono numerose altre fortunate recite, come quelle al Teatro Eden di Milano nel 1930 o al Teatro de’ Fiorentini di Napoli nel 1933.
Vetturini da noia, conosciuta anche con il titolo di ‘O puosto d’ ’e carruzzel1e, è un un atto unico scritto da Viviani in pochi giorni. Fin dalla prima romana del 1927 al Teatro Adriano di Roma riscuote grande successo. Viene poi replicata al Teatro de’ Fiorentini di Napoli il 5 maggio 1928, durante la serata in onore del suo autore. In seguito il lavoro è spesso riportato in scena, quasi sempre insieme ad altre commedie dello stesso Viviani oppure unitamente a drammi digiacomiani (nel caso della rappresentazione catanese del giugno 1928 con ‘O mese mariano). Anche nel corso della tournée in America Latina del 1929, Viviani ripresenta l’atto unico, nel quale, con il pretesto di raccontare l’imbarazzo e lo sbigottimento dei vetturini napoletani di fronte al diffondersi delle prime automobili, coglie l’occasione di far conoscere anche all’estero le bellezze paesaggistiche della città, viste attraverso gli occhi dei turisti in giro per Napoli a bordo della carrozzella.
La Festa di Montevergine risale all’autunno del 1927, al periodo della tournée di Viviani nelle piazze di Prato, Ancona e Ravenna; è rappresentata per la prima volta al Teatro de’ Fiorentini di Napoli, il 6 gennaio del 1928.
Fulcro del racconto è dunque il pellegrinaggio al Santuario di Montevergine dedicato alla Madonna nera, nel giorno della sua festa, gita che acquista un significato mistico anche per coloro che solitamente sono scettici di fronte al divino. Viviani porta a Montevergine gli uomini con le loro passioni, i peccatori come lui, uniti dal comune denominatore del sentimento religioso; essi infatti, attraverso la preghiera e l’offerta di qualche soldo, riconoscono implicitamente, almeno in quell’occasione, l’esistenza di una realtà ultraterrena.
L’atto unico del 1928 La musica dei ciechi debutta a Roma insieme con due opere digiacomiane, Assunta Spina e Il Voto.
Alla prima romana seguono numerose altre fortunate rappresentazioni al Teatro de’ Fiorentini di Napoli e al Piccinni di Bari dove la commedia replica il clamoroso successo.
Tema centrale è la misera vita di un’orchestrina girovaga che si esibisce sulla marina di Napoli, alternando canzoni napoletane a valzer viennesi.

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La commedia in tre atti Morte di Carnevale viene portata in scena per la prima volta al Politeama Nazionale di Firenze la sera del 16 novembre 1928, riscuotendo grandissimo successo di pubblico e di critica. Molto noto anche all’estero, il testo teatrale compare anche nella traduzione francese di Antonio Braga con il titolo Mort de Carnaval.
Nullatenenti,
commedia in tre atti, debutta il 12 gennaio del 1929 al Teatro Mercadante di Napoli con il titolo Le ragazze restano per noi. Nullatenenti nasce proprio negli anni in cui si va costruendo a Napoli il complesso della Mostra d’Oltremare e vengono meno, di contro, i progetti di edificazione di case per il popolo.
Don Mario Augurio debutta al Teatro Niccolini di Firenze il 21 febbraio 1930. Commedia di carattere, rivela una particolare attenzione da parte dell’autore nel delineare il protagonista, che risulta sempre al centro dell’azione, contornato da una quantità di personaggi che gli fanno da cornice.
I/ mastro di forgia nasce durante il soggiorno nel 1930 a Firenze, dove Viviani aveva debuttato il 21 febbraio al Teatro Niccolini con Don Matio Augurio.
Messa in scena il 24 aprile del 1930 al Teatro Politeama di Napoli, la commedia riscuote notevole successo. La tournée prosegue per Roma, dove il lavoro viene rappresentato il 23 ottobre 1930 al Teatro Margherita.
Più volte riportata in scena anche negli anni successivi, la commedia è presentata a Milano nel 1933 con il titolo italiano La bottega del fabbro - e il sottotitolo Filosofia spicciola in tre atti - in ossequio alle disposizioni governative del regime fascista che non vede di buon occhio l’uso del dialetto.
Nel 1931 Raffaele Viviani presenta sulle scene lo spettacolo in tre atti e nove quadri Napoli tascabiIe: combinando i moduli della rivista con quelli della commedia, realizza un’opera gaia, maliziosa ed arguta, in cui si fa la parodia del teatro e del cinematografo con vivezza e spontaneità di battute. I nove quadri sono legati da un sottile filo conduttore che fa da trama alla rivista, nella quale sono abilmente delineate alcune macchiette gustose, vere e ben osservate.
Scritta nel 1931 e rappresentata per la prima volta a Padova il 12 gennaio 1932, Il guappo di cartone, in tre atti, è una delle commedie più significative della realtà napoletana del tempo.
Commedia assai amara in cui Viviani, dando prova della sua coscienza civica e democratica, denuncia con estrema crudezza la condizione del detenuto che inutilmente cerca di reinserirsi nella società civile che lo respinge.
L'ultimo scugnizzo è uno dei testi più famosi del teatro di Viviani. La commedia debutta il 16 dicembre 1932 al Teatro Piccinni di Bari, ottenendo subito il consenso del pubblico e della critica. Applaudito a scena aperta e particolarmente apprezzato è il commovente finale del terzo atto. Rappresentata l’anno successivo al Teatro Fiorentini di Napoli, è replicata nell’aprile dello stesso anno, per poi conquistare anche il pubblico milanese che ne conferma il successo. Nel 1938 si realizza anche una riduzione cinematografica della commedia, con la sceneggiatura di Gherardo Gherardi e la regia di Gennaro Righelli.
Il lirismo di Viviani giunge ai toni più alti nel secondo atto, dominato dal coro della celebre Rumba degli scugnizzi, fatta di voci popolari che riecheggiano il mondo dell’infanzia del protagonista.

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Composta nel 1932, L'imbroglione onesto è una delle più divertenti e appassionate commedie del repertorio vivianesco. Scritta in italiano per aggirare l’ostacolo della lotta al dialetto ingaggiata dal fascismo, rappresenta tuttavia un mondo ineffabilmente napoletano, costellato di personaggi vivi e intraprendenti, capaci d’inventarsi qualsiasi attività per emergere da una condizione di miseria. Viviani tiene desta l’attenzione dello spettatore con un ritmo incalzante e serrato dell’azione, affrontando un tema che sarà più volte ripreso nel repertorio teatrale napoletano, quello della crisi della famiglia.
I vecchi di San Gennaro, commedia in tre atti, va in scena per la prima volta al Teatro Goldoni di Venezia il 28 marzo 1933. Dopo una fortunata tournée nell’Italia centro-settentrionale, l’opera approda al Teatro Fiorentini di Napoli il 18 aprile 1933, dove è accolta favorevolmente sia dal pubblico che dalla critica. Viviani, con la passione che gli è solita, affronta in questo lavoro, che ama particolarmente, il problema della vecchiaia inteso come problema sociale.
Mestiere di padre risale al 1935. Della commedia esiste, tra gli altri, un copione di scena con firma autografa dell’autore, datato I agosto 1935, dove accanto ai nomi dei personaggi compare l’indicazione dei relativi interpreti. Pubblicata il 15 novembre del 1939 ne «11 Dramma», quindicinale diretto da Lucio Ridenti, l’opera fu rappresentata per la prima volta il 26 agosto 1935 e, successivamente, messa in scena a settembre a Bologna e a ottobre a Venezia, per approdare infine a Milano nel novembre. Positivi i giudizi della critica.
Padroni di barche, commedia in tre atti, è composta nell’estate del 1937 ed è rappresentata per la prima volta al Teatro Carignano di Torino nell’ottobre dello stesso anno. Nel gennaio del 1938 approda al Teatro Mercadante di Napoli, dove ottiene grandi favori sia di pubblico che di critica, rafforzando e confermando il successo della prima torinese. Nel 1939 la commedia torna sulle scene al Teatro Olimpia di Milano, riscuotendo anche qui notevoli consensi di critica.
Espressione di un teatro che si può definire "realistico", Padroni di barche è caratterizzata da un’azione e da personaggi che vanno al di là dei singoli fatti rappresentati: le vicende personali diventano sintomatiche di una realtà più generale e assumono un valore corale.
La commedia della vita debutta al Teatro Palazzo di Montecatini Terme nel settembre 1939. Riproposta l’anno successivo al pubblico dei maggiori teatri d’Italia, ottiene un discreto consenso anche da parte della critica, che ne elogia il tono fresco e ingenuo e la forza comica, talvolta farsesca.
Senza approfondire il problema dei rapporti tra vita e arte, Viviani intende mostrare con La commedia della vita che «la comicità del teatro è spesso crudele e si beffa di tipi ridicoli che, visti nella loro semplice umanità, meriterebbero pietà» («Corriere della Sera», 18 novembre 1941). L’opera è tra le meno conosciute e meno rappresentate; dopo il 1941, infatti, non è stata mai più messa in scena.
Muratori, commedia in tre atti scritta nel 1942, non è mai stata rappresentata. Fulcro dell’opera è un mondo operaio che ha ormai acquisito una sua coscienza di classe.
Il decalogo in due tempi e dieci quadri I Dieci Comandamenti viene elaborato da Viviani tra il 1944 e il 1947 con la collaborazione del figlio Vittorio. Rappresenta un affresco della Napoli del dopoguerra, costretta a vivere quella dura realtà più volte denunciata anche dal cinema neorealista e dalla letteratura del tempo.

« ... una missione d’arte e d'italianità»: la tournée in Sudamerica

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Nell’aprile del 1929 Raffaele Viviani parte per una tournée in Sudamerica. Destinazione Buenos Aires, dove giunge a bordo del piroscafo Duilio il 22 di quel mese. La serata inaugurale del 24 aprile al Politeama Argentino di Buenos Aires, organizzata dall’impresario Renato Salvati, prevede la rappresentazione de I Pescatori, seguita da La musica dei ciechi.
L’accoglienza calorosa degli ambienti italo-americani spinge i connazionali di don Raffaele a organizzare in suo onore numerose serate, durante le quali l’attore si esibisce sovente nella recitazione di poesie dialettali proprie e di altri celebri poeti quali Salvatore Di Giacomo e Trilussa.
La tournée prosegue in direzione di Rosario, dove Viviani debutta al Teatro La Opera con I pescatori e La musica dei ciechi, riscuotendo anche qui notevole successo. Riproponendo però Napoli in frac provoca di nuovo tafferugli e vivaci proteste sia del pubblico che della critica antifascista. Il 26 maggio rientra a Buenos Aires, dove porta in scena al Politeama Argentino Quando Napoli era Napoli di Petriccione e Ragosta, replicata più volte su richiesta delle famiglie italo-argentine che, per manifestare tutto il loro affetto ed entusiasmo, organizzano in suo onore un pranzo di commiato al Circolo Italiano. Numerosissimi i commensali, oltre settanta. Alla tavola d’onore, accanto a don Raffaele, si raccolgono soci, amici e ammiratori nonché gli artisti della sua compagnia.
Tra il giugno e il luglio del 1929 la compagnia si sposta in Uruguay; qui, al Teatro Solis di Montevideo, rappresenta ‘A morte ‘e Carnevale, La musica dei ciechi, Festa di Piedigrotta e altri tra i suoi testi più significativi. Unanime il consenso del pubblico e della critica, tanto che il «Mundo uruguayano» dedica un’intera pagina a Viviani, che vi appare, nei panni di un pescatore, in una fotografia scattata al porto di Montevideo. A conclusione del soggiorno in Uruguay l’associazione I Vesuviani gli offre una cena di commiato presso il Gran Hotel Colòn.
La tournée sudamericana si conclude in Brasile dove, tra agosto e settembre, al Teatro Sant’Anna di San Paolo, Viviani rappresenta, tra l’altro, Campagna napoletana, La musica dei ciechi e ‘O fatto ‘e cronaca.
Intervistato al rientro in Italia, dopo circa sei mesi di trionfale tournée, Viviani così si esprime: «Il compito o meglio la missione, dell’attore italiano all’estero, e specie quando questo attore è come me interprete della vita regionale e caratteristica di dati ambienti, deve essere una missione d’arte e d’italianità.

Mestiere d’attore

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Raffaele Viviani porta in scena per la prima volta a Roma al Teatro Adriano il 24 marzo 1928 Assunta Spina di Salvatore Di Giacomo, cupo dramma passionale d’amore e di vendetta.
Tratto dall’omonima novella del 1888, il dramma digiacomiano era stato rappresentato per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli il 27 marzo 1909 con Adelina Magnetti nel ruolo di protagonista. La popolarità dell'opera sarà accresciuta da due trasposizioni cinematografiche: la prima, rimasta celebre, con Francesca Bertini nel 1915; la seconda, con Anna Magnani e con la regia di Mario Mattioli, nel 1949.
Raffaele Viviani interpreta per la prima volta Pensaci, Giacomino! di Luigi Pirandello il 31 gennaio 1933 al Teatro Fiorentini di Napoli, dopo aver ottenuto dall’autore stesso il permesso di trasporre in dialetto napoletano. Ottimo il giudizio della critica sulla prestazione di Viviani.
Nel 1934 Raffaele Viviani è scritturato per interpretare nel campiello del Teatro a San Luca di Venezia la parte di Don Marzio ne La Bottega del caffè di Carlo Goldoni con la regia di Gino Rocca. L’allestimento risulta inserito nell’ambito del 1 Festival internazionale del teatro alla Biennale di Venezia. Fra gli altri interpreti, attori del calibro di Carlo Ninchi, Andreina Pagnani, Kiki Palmer, Renzo Ricci, Cesarina Gherardi, Luigi Almirante, Enzo Biliotti; per la prima volta Viviani recita in una compagnia teatrale che non è la sua.
L’ammalato immaginario, rappresentato per la prima volta al Teatro Odeon di Milano nel settembre 1936, è un rifacimento, in dialetto napoletano, della celeberrima commedia di Molière Il malato immaginario, ma l’originale si riconosce solo nel terzo e quarto atto, laddove il personaggio principale, Vitale Robustiniano, diventa davvero l’Argante molieriano, pieno di acciacchi e manie, in compagnia della terza moglie.
La critica non si mostra particolarmente entusiasta del rifacimento vivianesco, considerandolo in ogni modo un tentativo interessante.
Raffaele Viviani porta in scena Chicchignola di Ettore Petrolini nel 1940 in omaggio all’autore scomparso nel 1936.
Anche stavolta si registra per Viviani e la sua compagnia un meritato successo e la critica riconosce loro la consueta bravura.

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Il 10 settembre 1940 al Teatro Nuovo di Milano Viviani debutta in Miseria e nobiltà con la regia del figlio Vittorio; le scenografie e i costumi sono del famoso Umberto Onorato. La celebre commedia di Eduardo Scarpetta era stata rappresentata per la prima volta il 7 gennaio 1888 al Teatro Mercadante di Napoli (il figlio Vincenzo interpretava Peppeniello); voleva essere una risposta dell’autore ai critici che gli rimproveravano di portare in scena soltanto riduzioni di commedie straniere, soprattutto vaudevilles. Nella rappresentazione del 1940 Viviani impersona Felice Sciosciammocca - la n’visitazione scarpettiana in chiave borghese dell’arcaica maschera pulcinellesca - mentre Vincenzo Scarpetta stavolta è l’ex cuoco Semmolone e la sorella di Viviani, Luisella, interpreta Concetta. Alla prima fanno seguito numerose repliche in molti altri teatri italiani, tutte coronate da grande successo di critica.
Viviani rappresenta poi per la prima volta al Teatro Margherita di Genova il 10 ottobre 1941 la commedia Siamo tutti fratelli con la regia del figlio Vittorio. La pièce è un rifacimento del canovaccio di Antonio Petito So’ muorto e m’hanno fatto turna’ a nascere.
Viviani nella parte di Pulcinella ottiene uno strepitoso successo personale, in particolare per l’impegno profuso nel rinnovamento della vecchia maschera della Commedia dell’Arte.

Viviani in celluloide

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Raffaele Viviani ha appena venti anni allorché, nel 1908, debutta nel cinema. Si trova a Roma per l’inaugurazione del Teatro Jovinelli, quando insieme con la sorella Luisella è scritturato da un impresario della Cines, nota casa cinematografica romana fondata nel 1906, per partecipare a tre film muti d’ambientazione non napoletana purtroppo perduti. Restano di questi film solo poche fotografie ingiallite, attraverso le quali è possibile tuttavia rilevare l’impronta fortemente realistica che Viviani riesce a dare alle sue interpretazioni.
Il primo di questi film, di cui s’ignora perfino il titolo, sembra ambientato all’epoca della rivoluzione francese e Viviani appare, nei fotogrammi superstiti, vestito da giacobino, ora inginocchiato ai piedi di un’altezzosa nobildonna, ora nell’atto di fronteggiare con fiero orgoglio un gruppo di nobili che lo estromette da una dimora signorile.
In un ulteriore documento fotografico - relativo a un secondo film dal probabile titolo L’accusato, girato sempre tra il 1908 e il 1909 - Viviani indossa pantaloni alla zuava e ha l’aria di un uomo che, accusato da una dama vestita di bianco, si difende con foga. Il soggetto di questo secondo film prende spunto da un numero del varietà, intitolato Fiamme der core, in romanesco, in cui si canta di un uomo che, colti in flagrante la sua donna e l’amante in un pagliaio, vi appicca le fiamme e li fa così bruciare, da cui appunto l’accusa d’omicidio.
Il terzo film, girato nel 1909, è l’unico di cui ci è noto il titolo: Amore selvaggio. In quest’ultimo, che interpreta accanto a Luisella, protagonista femminile, e a Giovanni Grasso nel ruolo dell’antagonista, Viviani veste i panni di un carrettiere, la cui sorella viene tradita dall’amante. Grazie alle foto superstiti è possibile ricostruire per sommi capi la trama del film: il protagonista, contrario alla relazione amorosa della sorella, tenta di colpire con un frustino l’amante di questa ma viene fermato dalla giovane. Ha in seguito un furioso litigio con la sorella che però gli tiene testa. Sempre più inferocito, aggredisce di nuovo l’antagonista, questa volta con un nodoso bastone. Ma ecco che la sorella, nascosta tra gli alberi, scopre che l’amante realmente la tradisce. Affranta dal dolore, la giovane si ammala fino alla pazzia.
Dopo i fortunati esordi romani, in cui, ad appena vent’anni, ha già i lineamenti marcati di un uomo maturo e provato dalla vita e l’esperienza di un consumato attore di teatro, Viviani si allontana dal cinema, che ripetutamente gli offre partecipazioni a film dozzinali d’ambientazione partenopea. Probabilmente costretto dal bisogno, accetta nel 1912 una scrittura della Partenope Film per la realizzazione del film Testa per testa di cui non restano tracce. Fortemente deluso da queste esperienze, in seguito si rifiuta di lavorare per i produttori napoletani.
Dopo venti anni d’assenza dal set cinematografico, Viviani vi si accosta di nuovo nel 1932.
Domina ormai il sonoro, di cui il nostro autore-attore comprende subito le immense possibilità espressive. Dei resto, la scelta di accompagnare una forte mimica del volto con il canto e le parole fanno di Viviani l’antesignano di quella scuola realistica che avrà fortuna del cinema italiano nel secondo dopoguerra.
Presso gli stabilimenti della Cines si realizza così il film La tavola dei poveri, per la regia di Alessandro Blasetti e la sceneggiatura di Emilio Cecchi e Mano Soldati, con Raffaele Viviani nel molo del marchese Isidoro Fusaro, nobile decaduto e ormai povero che continua però a vivere in un’apparente agiatezza. Un giorno un accattone gli affida un’ingente somma di denaro raccolta con le elemosine, desiderando che proprio il marchese, per la sua trascorsa generosità, ne sia il custode. Per errore la somma finisce nelle mani di un comitato di benefattori che organizza con questa un pranzo per tutti i mendicanti di Napoli, al quale naturalmente l’affamato, ma pur sempre nobile, Isidoro non potrà partecipare. Quando si vedrà costretto a restituire il denaro affidatogli, sarà solo la vendita degli ultimi suoi quadri e la benevolenza del ricco fidanzato della figlia a risolvergli ogni problema. Il film, animato da una folla di pittoreschi personaggi minori, è incentrato sulla figura del protagonista, che trova nella forza comunicativa e nell’espressività di Viviani l’interprete ideale, grande nel cinema quanto nel teatro. Toccanti, a questo proposito, le parole di colui che lo dirige in quell’occasione, Alessandro Blasetti, il quale ne esalta le doti di grande umiltà e disponibilità, unite ad una eccezionale capacità di collaborazione con l’intera troupe.
Sette anni dopo, infine, Viviani accetta la proposta della Juventus Film di realizzare una versione cinematografica della commedia L’ultimo scugnizzo, che aveva debuttato con grande successo nel 1932 al Teatro Piccinni di Bari. La sceneggiatura del film è curata da Gherardo Gherardi e la regia è affidata a Gennaro Righelli. Ancora una volta la drammatica maschera del volto di Don Raffaele riusce a dare una forte impronta realistica al personaggio interpretato, mettendo in risalto tutta la disperazione del disoccupato che ad ogni costo cerca lavoro per poter dare un nome al figlio che sta per nascere. Dopo la programmazione di Ultimo scugnizzo, la popolarità di Viviani crebbe a dismisura, tanto che gli fu proposta una nuova riduzione cinematografica da un altro suo dramma I pescatori, per la regia di Luchino Visconti. Purtroppo il film, che avrebbe dovuto avere il titolo Notte di tempesta, non potrà essere realizzato a causa dello scoppio della guerra e dell’aggravarsi delle condizioni di salute di Viviani. Ne resta soltanto una foto tratta da un provino del 1942.

Il dopo Viviani

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Contrariamente alle superficiali previsioni del suo pubblico e di parte degli ambienti artistici, il teatro di Viviani non si esaurisce con la morte del suo attore-autore. I critici più attenti avevano del resto intuito da subito che aveva senz’altro molto da dire anche a spettatori moderni, al di là dell’interpretazione fortemente espressiva del suo ideatore. Sull’onda della commozione provocata dalla morte di Don Raffaele, vengono allestite le prime rappresentazioni amatoriali, tra le quali si può ricordare, per citarne una, quella realizzata dalla sezione teatrale del Circolo Aziendale Gas di Napoli, che, per la direzione artistica di Gianni Crosio, mette in scena, il 10 giugno 1950, la commedia L’Imbroglione onesto.
Nel 1952 viene rappresentata al Teatro Mediterraneo di Napoli di Caffè di notte e giorno, per la regia di Vittorio Viviani, con Eduardo Passarelli nei ruolo del protagonista.
L’anno successivo nello stesso teatro va in scena Lo sposalizio con l’interpretazione di Ugo D’Alessio e Luisella Viviani. Nel Teatro di San Carlo, tempio della lirica si rappresenta nel 1953 I pescatori per la regia, ancora una volta, del figlio Vittorio, con la musica di Jacopo Napoli.
Nel 1957 Nino Taranto, si cimenta per la prima volta nel repertorio vivianeo con L’ultimo scugnizzo con cui riporta un gran successo personale e nello stesso tempo rivela ai giovani l’originalità dei temi e della poesia del teatro di Viviani.
Nella Stagione 1959-60, a dieci anni dalla scomparsa di Viviani, Taranto mette in scena tre commedie - L’Imbroglione onesto, Morte di Carnevale, La figliata, contemporaneamente la Compagnia del Teatro Stabile della Città di Genova rappresenta La Tavola dei poveri, con Ernesto Calindri nel ruolo del protagonista e la regia di Franco Parenti, che si cimentano nel difficile compito di rendere in lingua un testo dialettale.
Dalla stagione teatrale 1964-1965 fino a tutto il 1967 la Compagnia Napoletana di Teatro propone al Bracco di Napoli La figliata, L’Imbroglione onesto e una bella edizione di Morte ti Carnevale, molto elogiata dalla critica nazionale, per la regia di Vittorio Viviani: Giuseppe Anatrelli è nel ruolo del protagonista, coadiuvato da una eccellente compagnia, che vede impegnati, fra gli altri, Dolores Palumbo, Gennaro Di Napoli, Enzo Cannavale, Pietro Canoni.
Nel 1967 Giuseppe Patroni Griffi propone, nello spettacolo Napoli notte e giorno, i due atti unici Via Toledo di notte e La musica dei ciechi. Tra gli artefici del successo registrato in tutte le città d’Italia e perfino a Londra, Franco Sportelli, un giovane Mariano Rigillo e Angela Luce che ti lancia, in quell’occasione, la canzone Bammenella nel ruolo della prostituta Ines di Via Toledo di notte.
Pietra miliare della fortuna postuma del teatro vivianesco è sicuramente lo spettacolo Io, Raffaele Viviani, antologia di poesie, canzoni, brani di teatro curata da Antonio Ghirelli e Achille Millo.
Testimonianza di un’inesauribile vitalità che si estende al di là dell’ambito strettamente partenopeo è l’allestimento nel 1975, per il XVIII Festival dei Due Mondi di Spoleto, dello spettacolo Napoli: chi n’sta e chi parte, ancora per la regia di Giuseppe Patroni Griffi, che unisce, in un’unica rappresentazione, i due atti unici Caffè di notte e giorno e Scalo marittimo. Tra gli interpreti sì distinguono Antonio Casagrande e Franco Acampora.
Sempre nel 1975, a quarant’anm dalla prima rappresentazione, Vittorio Viviani e Nino Taranto riportano sulle scene Mestiere di padre, commedia nella quale don Raffaele aveva mostrato tutta la sua versatilità di attore e la sua capacità creativa.
L’anno seguente la Compagnia Tino Buazzelli rappresenta al Teatro Nuovo di Torino I vecchi di San Gennaro per la regia di Edmo Fenoglio.
Nella stagione teatrale 1977-1978 il Teatro di Roma presenta all’Argentina Circo Equestre Sgueglia per la regia di Armando Pugliese che, pur discostandosi alquanto dal testo originale di Viviani, riesce a dame un’interpretazione attenta e priva di retorica. Le musiche originali dell’autore, ottimamente rielaborate da Nicola Piovani, sottolineano i momenti salienti dell’azione.
Nell’ambito delle manifestazioni organizzate da Comune e Provincia di Napoli, insieme con la Regione Campania, per la festa di Piedigrotta, Roberto De Simone mette in scena nel 1979, al Maschio Angioino di Napoli, Festa di Piedigrotta, dove azione e musica si fondono mirabilmente a creare un grande spettacolo corale.
Nell’ottobre 1981 Mariano Rigillo presenta al Teatro Valle di Roma Pescatori - dove Regina Bianchi subentra alla Senatore nel ruolo di Concetta - nell’intento di mettere in risalto gli aspetti più tragici e amari dell’opera di Viviani, spesso riduttivamente apprezzato solo per quelli comici o grotteschi.

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Sempre più affascinato da questo autore, Rigillo mise in scena nel 1982 Zingari che sarebbe stata poi ripresa nel 1993 da Toni Servillo.
Nel 1985 Gennaro Magliulo accetta la difficile regia, propostagli da Luisa Conte, de Lo sposalizio, che egli considera uno dei testi vivianei di più patente teatralità e di particolare impegno per gli attori, ai quali viene chiesta quella coralità d’interpretazione che deriva dal Varietà napoletano, dall’opera dei burattini e dalla tradizione popolare napoletana.
Fondamentale, per la comprensione e diffusione del teatro di Viviani, negli anni tra il 1985 ed il 1989, l’iniziativa della Cooperativa Gli Ipocriti diretta da Alfredo Balsamo e Nello Mascia, che realizza, nell’ambito del Progetto Viviani, l’allestimento di tre commedie: L’ultimo scugnizzo, rappresentata a Caserta nel 1986 per la regia di Ugo Gregoretti, Fatto di cronaca, allestita per il XXX Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1987 per la regia di Maurizio Scaparro, e infine Guappo di cartone, che debutta a Benevento nel 1989 con la regia di Armando Pugliese.
Sempre in quegli anni, in occasione del centenario della nascita di Raffaele Viviani, Roberto De Simone presenta, nel 1987, al Teatro Mercadante di Napoli, lo spettacolo Carmina vivianea, rappresentazione oratoriale in dodici stazioni su materiali poetico-musicali di Raffaele Viviani, riscoprendo così accanto al drammaturgo e poeta, il Viviani musicista. Si tratta, infatti, di uno spettacolo prevalentemente musicale piuttosto che teatrale, dove De Simone è sul podio a dirigere l’orchestra coadiuvata dai solisti e dal complesso jazz-rock di James Senese.
L’interesse per Raffaele Viviani si mantiene vivo fino ai nostri giorni, ispirando nel 1999 l’allestimento della commedia ‘A morte ‘e Carnevale, presentata al Teatro Bellini di Napoli da Renato Carpentieri, regista e interprete rabbioso e divertente nell’interpretazione di Carnevale.
Nel dicembre 2000, sempre al Teatro Bellini, Nino D’Angelo si cimenta nel ruolo di ‘Ntonio, l’ultimo scugnizzo, per la regia di Tato Russo.
La XXI edizione della Rassegna Città Spettacolo di Benevento offre ampio spazio all’opera vivianea: Enzo Moscato, nello spettacolo Arena Olimpia accosta due diverse scritture di teatro: il suo Mìrabilia Circus, sorta di fantasiosa introduzione, intermezzo e chiosa al famoso La musica dei ciechi dell’autore di Castellammare.
È del 12 gennaio 2001, infine, la trionfale prima al Teatro Argentina di Roma de I Dieci Comandamenti, opera mai rappresentata, per la regia di Mario Martone che, attento alle sensazioni comunicategli dal testo, ne dà una lettura estremamente fedele e rispettosa. Particolarmente curata l’elaborazione delle musiche originarie di Viviani, realizzata da Daniele Sepe.

NOTE
* Félix Mayol (Tolone, 1872-1941), celebre artista francese di caffè-concerto e music-hall. Dal 1895, anno del suo debutto al Concert Parisien, fino alla prima guerra mondiale fu tra i più acclamati interpreti della canzone francese e, secondo Maurice Chevalier, che di lui fu grande ammiratore e imitatore, insuperato esecutore della chanson de genre (Mains de Femmes, A la cabane bambou, ecc.). Ormai al vertice della sua camera, rilevò nel 1910 il Concert Parisien, ribattezzandolo col nome di Concert Mayol e organizzandovi spettacoli di varietà e rivista. Dopo alcuni anni lo cedette e si ritirò a Tolone. Spinto dal bisogno, in tarda età, si ripresentò sulle scene, ma la sua stella era ormai tramontata.

Nasceva un teatro "nella sfera del grande spettacolo popolare". La città cominciava a svolgersi intera davanti al pubblico dell' "Umberto"; ed era una città per la prima volta rappresentata in una violenta deformazione espressiva, strada per strada, rione per rione; rivelata nella realtà molteplice e contraddittoria dei suoi esemplari umani; e da un poeta che ne distruggeva dall'interno la "forma" degli apriorismi convenzionali e le stratificazioni mitologiche, per ricrearla ex novo raccontandola in termini di assoluto drammatico e farne l'emblema di una presenza nazionale decisa e perentoria. Erano spregiudicati moduli scenici, nei quali sono riassunte ed alienate le esperienze maggiori del Teatro Napoletano [...] Moduli che acquistavano una loro fresca verginità, oltre che presi a se stanti, nella loro specie letteraria e musicale, in ragione altresì del loro impiego dialettico. Era una sintesi che veniva suggerita a Viviani dall'animus creativo dei contrasti: non solo di personaggi di opposte classi sociali in azione in tutti i suoi lavori; ma contrasti tra una "situazione" e l'altra, spesso tra una "battuta" e l'altra di sconcertante diversità emotiva. Erano i fatti che interferivano l'uno nell'altro, più che non gli stessi loro attori; e sempre in un senso imprevisto che risultava "naturale", mentre, in sostanza, era la riproposta di un insieme miracolosamente tecnico, raggiunto in un clima surreale di distacco dallo spazio cronachistico e geografico che pure ne era stato il movente di sollecitazione creativa.

VITTORIO VIVIANI
Storia del teatro napoletano, Napoli, Guida, 1992, pp.737-38

Il 26 marzo 1999 gli eredi di Raffaele Viviani consegnano in deposito provvisorio alla Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli, alla presenza del Ministro per i Beni e le Attività Culturali, Onorevole Giovanna Melandri, e del Sindaco di Napoli, Onorevole Antonio Bassolino, il prezioso archivio del grande drammaturgo napoletano. La raccolta, contenente autografi, carteggi, copioni, spartiti e cimeli, con questo generoso atto viene affidata ai compiti di tutela, divulgazione e valorizzazione della Biblioteca per essere messa a disposizione di studiosi, di ricercatori, di operatori del settore del teatro e della musica. L'opera di Raffaele Viviani diventa patrimonio artistico e culturale della città e della comunità sovraregionale e sovranazionale, e, confluendo nella Sezione Lucchesi Palli, trova adeguata collocazione accanto alle testimonianze dirette dalla storia del teatro e della musica napoletana e italiana, agli autografi di Rossini e Verdi, di Di Giacomo, di Petito, creando le basi per un'ulteriore approfondimento e una più dettagliata conoscenza dell'uomo e della produzione artistica. La Biblioteca Nazionale di Napoli nell'intitolare a Raffaele Viviani le due sale della Sezione Lucchesi Palli che ospiteranno il fondo, esprime un sentito ringraziamento a tutti gli eredi per un gesto che non solo arricchisce le possibilità di studio e documentazione di una biblioteca, ma fornisce altresì al Ministero un ulteriore propellente per l'incentivazione della attività di promozione scientifica e culturale.
Un ringraziamento particolarmente sentito è rivolto alla figlia del drammaturgo, Luciana Viviani, promotrice dell'iniziativa, ed al nipote Giuliano Longone che ha custodito e salvaguardato il ricchissimo archivio attivando le procedure per la realizzazione del suo trasferimento alla Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di Napoli.

Mauro Giancaspro

 


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