Viviani: immagini di
scena
BIBLIOTECA NAZIONALE DI NAPOLI
- SALA LEOPARDI -
29 MAGGIO -12 OTTOBRE 2001
Progetto scientifico
Rosaria Borrelli, Giuliano Longone
Progetto espositivo e multimediale
Giuliano Longone (ideazione), Maria Elisabetta Longone (architetto
consulente)
Catalogo a cura di
Maria Antonietta D’Angelo, Giuliana Guarino, Patrizia Mottolese, Rosaria
Savio, Marisa Spiniello
Allestimento
Arcangela Di Lorenzo
«Facciamo cantare ‘o figlio ‘e Rafele»: gli esordì
TECA 1
Raffaele Viviano nasce a Castellammare di Stabia la notte tra il 9 e il 10
gennaio 1888. Come risulta dall’estratto dell’atto di nascita datato 18 febbraio
1955, lo stesso don Raffaele, ormai affermato autore e artista
drammatico, richiederà il mutamento dell’originario cognome Viviano, ritenuto
poco teatrale, in Viviani.
Il debutto di Raffaele Viviani sulle scene teatrali avviene nel 1892, all’età di
quattro anni e mezzo, in un teatrino di marionette a Porta San Gennaro dove, a
conclusione dello spettacolo, si esibisce il tenore e comico Gennaro Trenci. Una
sera che questi è ammalato, Viviani viene frettolosamente vestito con il frac di
una marionetta e mandato in scena. Compare spesso in coppia, in duettini e
canzoni spassose, con Vincenzina Di Capua e, successivamente, con la sorella
Luisella che ha dato inizio alla sua carriera già nel 1895 al Teatro Masaniello
di cui era proprietario il padre.
Cresciuto dopo la morte del padre senza alcun controllo, per la strada, così
come ancor oggi crescono migliaia di ragazzi napoletani, Viviani prende
gradualmente coscienza della vanità di questo tipo di esistenza che lo
manterrebbe nell’ignoranza e con ogni probabilità lo spingerebbe su una strada
pericolosa, forse anche alla criminalità. Con grande forza di volontà, sostenuto
dalla sua intelligenza e da un indomito orgoglio, decide di intraprendere la via
degli studi e, come egli stesso dice nei bei versi di Guaglione, comincia
a sillabare A E I O U.
Nel 1906 Viviani ottiene un contratto a Milano, della durata di un mese,
presso la Gelateria Siciliana situata nell’Esposizione in Piazza d’Armi. Qui ha
l’opportunità di recitare alla presenza del re Vittorio Emanuele III,
accompagnato dalla nipote Maria Letizia, presentando la sua macchietta più
apprezzata, Lo scugnizzo. Dopo la chiusura dell’Esposizione viene
scritturato al Teatro Morisetti a Milano e, in seguito, al Concerto Emilia di
Torino; di qui passa all’Alcazar di Genova e al Concerto Roma di Alessandria,
dove recita insieme alla sorella.
Viviani continua la sua attività nell’Italia settentrionale per alcuni anni,
fino ad approdare al Teatro Eden di Bologna, luogo prestigioso dove passano gli
artisti più celebri e dove solo a fatica si ottiene la consacrazione del
successo. Dopo una prima accoglienza piuttosto fredda da parte di un pubblico di
studenti distratti e vocianti, alla fine di una lunga serie di rappresentazioni,
lo scugnizzo riesce a fare breccia nell’animo dei più attenti, tanto che
all’ultimo spettacolo ottiene finalmente un’ ovazione.
Dopo un breve rientro a Napoli, nel 1907, guadagna un contratto estivo a Malta.
Di nuovo a Napoli, debutta al Teatro Eden, dove presenta sei nuove composizioni
che consacrano il suo genere e che nascono da un impegno e da uno studio della
grammatica e della musica estremamente faticoso per un uomo che resta comunque
un illetterato.
Nel 1908, al Teatro Nuovo di Napoli, Viviani conosce la sua futura moglie, Maria
Di Maio, che è solita assistere alle rappresentazioni da un palco di sua
proprietà, in compagnia di una zia. L’artista rimane conquistato dalla giovane,
che all’epoca ha appena quattordici anni, e riesce a farsela presentare. La sua
richiesta di matrimonio viene inizialmente respinta dalla famiglia Di Maio, sia
per la giovane età della ragazza sia per la condizione economica e la
professione del pretendente. La popolarità di Viviani, intanto, si consolida e
si estende anche all’estero. Nel febbraio del 1911, infatti, è scritturato dal
Fòwarosi Orpheum di Budapest, con l’impegno di rappresentarvi per un mese
alcune delle sue più celebri macchiette. Artista ormai affermato, Viviani
ottiene finalmente il consenso al matrimonio che verrà organizzato in appena due
giorni e celebrato il 9 settembre 1912. Dal matrimonio nasceranno Vittorio,
Yvonne, Luciana e infine Gaetano.
«
... domatore per domare la
belva»:
gli anni del Varietà
TECA 2
Il Varietà rientra nelle forme cosiddette minori del teatro
fine Ottocento e primo Novecento. Nei café-restaurants, nei piccoli teatri,
persino negli stabilimenti balneari in cui viene allestito e proposto, lo
spettacolo di varietà addensa, entro una durata volutamente contenuta (circa
un’ora e mezzo, con notevoli possibilità di repliche, tra matinées, cioè
spettacoli diurni, e serali), una rassegna il più possibile varia di piccole
forme sceniche, ognuna delle quali è affidata a uno specialista:
canzonettista, macchiettista, comico, prestidigitatore, fantasista, imitatore,
illusionista, acrobata. Ciascuno di questi numeri obbedisce, al suo
interno, a precise convenzioni e all’inderogabile brevità d’ogni prestazione; il
numero che maggiormente attira il pubblico è la cosiddetta macchietta
(piccolo componimento comico, in cui si delineano i tratti salienti
di un personaggio).
Per Raffaele Viviani il numero è quello del tipo: la
caratterizzazione in prosa e verso di una figura colta dal vivo e scenicamente
ricreata nello spazio di cinque sei minuti dì esibizione.
La prima grande novità di Viviani rispetto agli altri macchiettisti, è quella di
affidare alla canzone il compito di caratterizzare il personaggio, scrivendo i
versi e le musiche dei propri pezzi avvalendosi dell’aiuto di pochi
collaboratori fidati (i musicisti Enrico Cannio e Eduardo Lanzetta).
Un’altra caratteristica saliente di Viviani è il rapido passaggio dalla
macchietta a un solo personaggio (come ‘O Scugnizzo, ‘O Sapunariello, ‘O
Pisciavinolo, ‘O Scupatore) a quella a più personaggi o polifonica. E il
caso di Piedigrotta, che vede la luce al Teatro Nuovo nel 1908, in cui
riesce a restituire in poco più di una trentina di battute «una vivacissima
immagine del gran baccanale partenopeo», come si espresse l’autorevole grecista
Ettore Romagnoli. I personaggi a cui l’attore presta voce sono oltre una
dozzina: il capofamiglia, la vecchia, l’imbonitore da baraccone, il pizzaiolo,
il posteggiatore, due innamorati, il monello, e persino un piccirillo ...
sperduto mmiez’ ‘a folla.
Viviani ebbe la sua consacrazione nel 1904 al Petrella, il teatro a Basso
Porto, nelle vesti di ‘O Scugnizzo, la macchietta di Capurro e
Buongiovanni:
Lo Scugnizzo fu interpretato per la prima volta da Peppino Villani, al
Teatro Umberto I, con grande successo.
Un successo accordatogli non soltanto dal pubblico, ma anche dalla critica,
secondo il giudizio di Gigi Michelotti, famoso giornalista e autorevole critico
teatrale:
«Viviani è... lo scugnizzo (....)
Innegabilmente dei caratteri dello scugnizzo c’è molto nell’arte di questo
nostro magnifico attore. L’intelligenza, la sincerità, la facoltà di vedere la
vita con occhi nuovi, la possibilità di fare di un nulla un motivo di gioia, la
mania dell’indipendenza, la possibilità di essere ragazzo e di sentirsi uomo».
Anche il famosissimo commediografo Eduardo Scarpetta, grande ammiratore di
Raffaele Viviani ,esprime il suo giudizio a favore della famosa macchietta ‘O
Scugnizzo: «Si ride anche qui. ma fra il riso spunta, ad un tratto, cocente
una lagrima; e il dramma infine prorompe con un crescendo ed una chiusa
efficacissima».
Nel 1905 segue Totonno ‘e Quagliarella, scritta dal poeta Giovanni
Capurro e musicata da Francesco Buongiovanni che aveva avuto come primo
interprete Peppino Villani.
Sarà proprio questa macchietta che il famoso poeta e musicista E.A. Mario gli
chiederà di riproporre nel 1947, in occasione della rievocazione del glorioso
Teatro Eden, che aveva visto la luce neI 1894 ad opera dei fratelli Resi e che
nei 1931 fu trasformato definitivamente in una sala cinematogratica.
NeI 1910 Viviani ha 22 anni ed è ormai un notissimo artista di Varietà.
Ne è passata di acqua sotto i ponti da quel 1904 in cui si andava affermando al
Teatro Petrella nelle vesti di ‘O Scugnizzo e dalle peregrinazioni per i
vari teatri italiani. Viviani è ormai una vedette popolarissima, apprezzata dal
pubblico per il suo singolarissimo temperamento artistico. Non sorprende,
quindi, che illustri suoi contemporanei esprimano, proprio allora, delle
opinioni sulla sua arte: giudizi lusinghieri come quelli di Ferdinando Russo,
Ernesto Murolo, Libero Bovio, Ugo Ricci, Rocco Galdieri, Gaspare Di Martino,
Eduardo Pignalosa, o severi come quello di Salvatore Di Giacomo: «Nelle cosi
dette "macchiette spiritose" composte di volgarità, di sudicerie, di doppi
sensi, scritte nella ibrida lingua degli scarafaggi letterarii da’ quali
questa nostra povera Napoli è ammorbata, mi dispiace dirlo, Viviani
è uno che somiglia a tutti gli altri e m’è
insopportabile».
Quindici anni dopo Viviani non è più solo un artista di varietà, ma un affermato
autore di opere teatrali. I giudizi sul suo lavoro diventano, quindi, più
articolati e scatenano vere e proprie discussioni sul reale valore della sua
arte. Ne è un esempio un articolo di Ferdinando Russo pubblicato
sul «Corriere d’Italia» nell’aprile del 1925 che innesca una vera e propria
battaglia a mezzo stampa con il critico Lucio D’Ambra.
Nel 1911 Raffaele Viviani si qualifica al concorso bandito dal giornale «La
Tavola Rotonda» con due canzoni: Nce vevo ‘a coppa!, di cui egli è
l’autore dei versi sulla musica di G. Sales, e L’abitué dei concerti, di
cui ha composto sia i versi che la musica. Quest’ultima sarà poi inserita in
Eden Teatro.
Viviani porta nel suo varietà tipi presi dalla strada, appartenenti
talvolta alla più squallida realtà napoletana, gente alla deriva che vive di
espedienti; ne costituisce un esempio la macchietta ‘O delinquente
(conosciuta anche come ‘O malandrino, il cui protagonista sarà introdotto
in seguito nella commedia Via Toledo di notte col nome di Filiberto
Esposito).
Alcuni personaggi creati da Viviani commettono atti criminosi, pur non essendo
delinquenti, perché spinti dalla gelosia: ad esempio, nella macchietta
Ar tribbunale, scritta in romanesco in collaborazione con Luigi Carini e
musicata da Enrico Cannio, il marito accoltella l’amante della moglie dopo aver
sorpreso i due fedifraghi; Viviani la rappresenta per la prima volta al Teatro
Eden di Napoli nel 1909.
In vernacolo romanesco l’artista scrive anche Fiamme der core, in cui un
marito tradito si vendica incendiando il pagliaio dove giacciono la moglie e il
suo amante. Fra il 1908 e il 1909 da questo brano verrà tratto un film dal
titolo L’accusato.
Raffaele Viviani ama esibirsi in dialetti diversi da quello napoletano:
interpreta in romanesco La serenata di Cesare Pascarella e in siciliano
Turiddu Spitu di Nino Martoglio; in quest’ultima macchietta l’artista
ritrae la figura di un mafioso con una caratterizzazione esemplare che ha
assimilato da Giovanni Grasso, suo antagonista nel film, andato perduto,
Amore selvaggio (1909).
TECA 3
Nel 1915 Viviani si fa promotore della pubblicazione di una
Piedigtotta Viviani presso il tipografo Gennaro Tavassi, che è anche autore
dei versi di alcune canzoni in essa contenute. Viviani aveva già inserito molti
dei pezzi della Piedigrotta nel suo già vasto repertorio, portandoli in
giro nei suoi spettacoli.
Nel 1915 Mayol* assiste a uno spettacolo di Viviani e colpito dalla sua verve
gli procura una scrittura al Teatro Olympia per una a serie di spettacoli.
Viviani tocca il cielo con un dito: il grande Olympia lo ospiterà? Non gli
sembra vero. Il 15 novembre 1916 si reca a Parigi con la moglie per esibirsi la
sera del 17.
Ma il debutto è un fiasco completo, al punto che nelle sere seguenti Viviani non
occupa più il posto riservato alla vedette e i numeri gli vengono
ridotti. Qualche sera dopo Mayol va a fargli visita nel camerino e si
abbracciano «Ma perché io non piaccio?» - gli chiede Viviani. Mayol si piega
nelle spalle e non sa rispondere.
Nel 1916 una circolare del ministro Luigi Luzzatti invitava a combattere la
pornografia dilagante negli spettacoli di Varietà e nel cinema. Viviani -
secondo il quale è impossibile combattere la pornografia perché «L’essere
umano è pornografico per natura» - risponde alla sua maniera, con una
delle sue sortite (un genere da lui inventato e che anticipa le
conversazioni degli attuali comici).
La sortita diretta proprio alla circolare ministeriale è Combattiamo la
pornogrqfia del 1916; sarà inserita in seguito come numero di varietà in
Eden Teatro e modulata sull’ironico tema di un minuetto.
D’altra parte il convincimento che la pornografia sia un male ineluttabile è
presente anche in altre sortite come Lingue sorelle, in cui Viviani
prende in esame l’uso ricorrente di alcune espressioni francesi, il cui suono
nella nostra lingua genera imbarazzanti equivoci: per Viviani il calembour
diventa un pretesto per cimentarsi in una serie di doppi sensi il cui uso è
molto in voga nel varietà di quel tempo. Anche questa sortita comparirà nella
commedia Eden Teatro.
Ancora in linea con questo argomento è Frasi celebri del 1924, in cui
Viviani vuoi dimostrare che la pornografia non è presente solo nei testi del
Varietà; ma anche nelle opere liriche (ad esempio Rigoletto, Pagliacci,
ecc.) e letterarie (l’Iliade, l’Odissea, la Divina Commedia,
ecc.).
Verso il 1916 Viviani è ingaggiato dall’Eldorado Lucia per una serata di
beneficenza a favore del Cimitero monumentale del Grappa e interpreta alcune sue
macchiette. Nella stessa serata Eduardo Scarpetta con la sua compagnia
rappresenta la sua Miseria e nobiltà.
Nel 1917 l’editore Emilio Gennarelli di Napoli, organizzatore fra l’altro
della rinomata Piedigrotta Gennarelli, pubblica le più famose canzoni e
macchiette di Raffaele Viviani, quelle che ancora oggi riscuotono un notevole
successo: Bammenella, ‘O guappo ‘nnammurato, ‘O Don Nicola, ecc.
Non poche fra queste saranno in seguito introdotte nelle opere teatrali:
Bammenella sarà Ines la prostituta in Via Toledo di notte, ‘O guappo
‘nnammurato (Totore) e Prezzetella ‘a capera diventeranno personaggi
de Il Vicolo; ‘O Don Nicola sarà il ciarlatano girovago di Osteria di
campagna; ‘O muorto ‘e famma il Mendicante in Santa Lucia Nona;
Carlino il calzolaio canterà A scala d’ammore in Putiferio.
Nelle canzoni, così come nelle macchiette del Varietà; Viviani trae
spunto dalla realtà e non c’è niente di così drammatico in essa che gli
impedisca di vederne l’aspetto comico: le delusioni d’amore, la grande guerra,
la figura squallida di un gagà, tutto diventa materiale per le sue composizioni.
Le sofferenze causate dall’amore deluso sono materia di Quanno jarraie a
spusà!...: straziante dichiarazione di un innamorato che la sua bella ha
lasciato per un altro uomo, sarà poi inserita nella commedia Lo Sposalizio
rappresentata per la prima volta a Napoli nel 1920.
In Strofette della guerra Viviani mette alla berlina il Kaiser di
Germania Guglielmo e la smania egemonica dei tedeschi, sottolineando la scarsa
mascolinità del popolo germanico; una simile allusione era già nella macchietta
Guglielmissimo, in cui si presentava sulla scena con un finocchio sul
petto.
L’Amico delle donne è, invece, un damerino di «grande esperienza» che
passa puntualmente in rassegna i tipi di donne che ha incontrato nella sua lunga
carriera di tombeur de femmes la signora, la signorina, la sciantosa,
ecc., fingendo talora irritazione, talora compiacimento di fronte ad alcuni loro
atteggiamenti.
Ne L’imboscato parla in prima persona un gagà, che preferisce la bella
vita ai disagi del conflitto bellico: ritratto caratteristico non tanto di una
jeunesse dorée napoletana del primo dopoguerra, quanto di una fauna
sociale che potremmo dire europea.
La famosa giornalista e scrittrice Matilde Serao invita, in data 13 febbraio
1919, Raffaele Viviani al Teatro Politeama per una matinée e promette di fargli
ottenere nel programma un posto conforme al suo desiderio e al suo valore.
Nel 1920 lo scrittore Nino Aversa dedica a Raffaele Viviani, artista teatrale
ormai affermato, una breve biografia nell’ambito de i nostri contemporanei,
collezione riguardante illustri esponenti delle più svariate branche: uomini
di lettere, scienziati, parlamentari, pionieri della democrazia, eroi,
architetti e artisti, come appunto Viviani.
«
...
folla varia, spicciola, proteiforme, multanime,
pittoresca»: dal Varietà ai Teatro
TECA 4
Dopo la lunga e formativa esperienza artistica nel Varietà, Viviani
sente l’esigenza di organizzare in una forma compiuta i numerosi tipi
del repertorio macchiettistico.
Scritto e rappresentato negli ultimi mesi del 1917, il Vicolo è
il primo atto unico di Raffaele Viviani, in cui per la prima volta egli
assembla i personaggi delle macchiette, i tipi del varietà e le canzoni
in un’opera finita e organica. Partendo anche da un’esigenza pratica -
la chiusura dei teatri di Varietà dopo la sconfitta di Caporetto
e l’esigenza di offrire al pubblico dei reduci uno spettacolo più
edificante - Viviani fa rivivere attraverso la sua sofferenza di uomo e
la straordinaria versatilità di attore, i comici, le macchiette, gli
acrobati e i tipi del mondo dello spettacolo d’arte varia.
È l’autore stesso a spiegare, nelle pagine della sua autobiografia, il
passaggio dal Varietà al teatro drammatico: «Pensai di creare
all’artista quella rispettabilità che avevo saputo dare all’uomo [...] e
debuttai al Teatro Umberto di Napoli, con un atto "O Vico" (il vicolo)
scritto da me, improvvisato tra i tipi del mio repertorio, legati con un
certo filo logico...
In queste scene dì vita popolare, si vede il Viviani più grande, lo
scopritore di una Napoli europea di cui mette a nudo le miserie morali e
materiali, non certamente per il puro gusto del compiacimento, ma al
contrario, per lanciare attraverso la finzione scenica, un messaggio
molto aspro e pungente, fatto di espressioni dialettali forti e
originali.
Teatro dell’azione è il Borgo Loreto nel quale vive e soffre una folla
vociante di individui i più disparati, e la via del Chiatamone, famosa
per le sue fonti di acqua sulfurea, che gli acquaioli vendono nelle
caratteristiche mummere di creta.
In Piazza Ferrovia, atto unico scritto nel 1918 e più volte
rappresentato con l’aggiunta di nuove scene, Viviani riporta un tale
successo da ottenere «applausi a scena aperta», come scrive «Il Nuovo
Giornale di Firenze» del 10 marzo 1924.
In questa breve pièce, doti Raffaele fotografa il variopinto mondo che
ruota intorno alla Piazza della Stazione di Napoli, ritagli di vita del
marciapiede, popolati da piccole macchiette e da personaggi
drammaticamente veri.
Dell’atto unico Parta Capuana Raffaele Viviani compone prosa e
musica, rappresentandolo più volte nell’arco del 1918 con notevole
successo.
Il lavoro prende il nome dall’antico varco che si trova all’interno del
quartiere della Vicaria, centro d’intensa attività commerciale e sede di
un colorito mercato alimentare, popolato di ambulanti e girovaghi, che
rallegrano e attirano i compratori con le loro caratteristiche voci.
Proprio nel coro dei venditori si può individuare l’elemento di coesione
della commedia, poiché essi singolarmente si dichiarano disposti a fare
da garanti nei rapporti di un quartiere difficile, in cui vivono e
operano persone diversissime, costantemente in lotta tra loro. Emerge
chiaramente che le simpatie di Viviani vanno alle categorie umane più
deboli.
Scalo Marittimo, atto unico conosciuto anche con il titolo di
‘Nterr’ ‘a ‘Mmaculatella, è scritto nel 1918 e più volte
rappresentato, meritando grandi elogi della stampa locale per
l’affiatamento dimostrato dagli attori della Compagnia, i quali, fatto
insolito per l’epoca, recitano a memoria senza l’aiuto del suggeritore.
In linea con la «retorica dell’emigrante», in questa commedia l’autore
descrive la triste condizione di chi, costretto da una miseria senza
sbocchi, vede nell’emigrazione verso l’America l’unica possibilità di
sopravvivenza, pur conoscendone i rischi e gli imprevisti.
Il secondo dei due atti di Borgo Sant’Antomo, recitato
autonomamente, preesisteva al primo. Nella stesura originaria la
commedia è messa in scena al Teatro Umberto di Napoli il 13 settembre
1918; l’anno seguente il lavoro viene rappresentato nella versione
definitiva con grande successo di un pubblico, divertito dalla fresca
spontaneità dei personaggi-macchiette e colpito nella fantasia da
sonorità musicali di indiscusso sapore etnico.
La commedia prende il nome da un rione popolare di Napoli, che s’insedia
tra Piazza Carlo III e la Ferrovia, zona particolarmente familiare a
Viviani che da bambino abitava in vico Finale al Borgo.
TECA 5
Via Toledo di notte, commedia in un atto di cui Raffaele
Viviani compone versi e musica, trae il titolo dal nome dalla grande
arteria di Napoli. Via Toledo, aperta dall’omonimo viceré spagnolo, e
che congiunge da nord a sud le due regge della città. Il lavoro nasce
come ‘A notte, con il titolo definitivo e rappresentato per la
prima volta al Teatro Umberto di Napoli il 7 ottobre 1918, alla presenza
di Francesco Saverio Nitti, e riscuote enorme successo, come registra la
stampa dell’epoca, che profonde elogi calorosissimi a tutti gli attori
della Compagnia.
Successivamente il testo è ripreso più volte.
Protagonista dell’opera è il popolo notturno di Via Toledo, un campione
d’umanità di pur diverse tipologie, ma saldato insieme dal comune
destino di precarietà e di tragica labilità che è proprio del mondo
della strada. Viviani si consacra così poeta degli umili, nel portare in
scena i sentimenti di accattoni, meretrici, ruffiani e scippatori.
Piazza Municipio - zona di Napoli interamente ricostruita,
secondo il piano regolatore del Risanamento - è scritta nel 1918 in
forma di atto unico, l’attuale secondo, e rappresentata al Teatro
Umberto di Napoli la sera dell’8 novembre dello stesso anno. Qualche
anno più tardi, nel 1924, l’autore compone un altro lavoro in un atto,
intitolato ‘O masto ‘e l’Arsenale, e lo annette al precedente
come primo atto.
Nella versione in due atti, la commedia è messa in scena per la prima
volta a Firenze, nel 1925, con il titolo di A Piazza Municipio.
Osteria di campagna, scene popolari in un atto scritte da Raffaele
Viviani nel 1918 e rappresentate per la prima volta il 13 dicembre dello
stesso anno al Teatro Umberto di Napoli.
Nel copione degli anni ‘30-40 in nostro possesso figurano tra gli
interpreti attori molto noti, quali Vincenzino Scarpetta nel ruolo
dell’oste Don Pascale e Luisella Vivians nel ruolo della servetta
Rusinella; lo stesso Raffaele Viviani recita in quattro ruoli presi in
prestito dal repertorio del varietà: Tore ‘o sellaro; Don Nicola,
ciarlatano giullare e cantastorie di intonate filastrocche; ‘O
professore, suonatore ambulante; ‘O ‘mbriaco, ripreso da una sua scena
del 1912 intitolata. La domenica del ciabattino. Particolarmente
congeniale all’arte drammaturgica e musicale di Viviani risulta la
cornice campestre, nella quale i canti e i balli dei contadini,
accompagnati dalla sua musica così scorrevole, fluida e piacevolmente
orecchiabile sostengono i vivaci dialoghi.
TECA 6
Festa di Piedigrotta è rappresentata nella originale versione
in due atti il 19 novembre 1919 al Teatro Umberto di Napoli, dove
ottiene un notevole successo.
Nella Villa Comunale scintillante di luci e di colori si scatena la
millenaria festa pagana di settembre, la Piedigrotta partenopea che con
i suoi carri, le sue allegre cavalcate, le variopinte luminarie «....
vo’ l’ammuina» e, portando con sé tutto ciò che di pittoresco, comico e
sentimentale si riesce a concepire, costituisce per i fidanzati
l’occasione buona « . . .‘e fa nu poco ‘e
scustumate...».
Soprattutto è la festa della canzone, dei carri allegorici e della folla
tumultuante, sapientemente affiatata e coordinata dall’autore, che
comunica spontaneità e naturalezza a piene mani. Viviani compie una
operazione fotografica dal vero, filtrata dai suoi ricordi giovanili
della Festa, rivelandosi autore ed attore ineguagliabile.
Con l’aggiunta del terzo atto il testo teatrale è rimesso in scena nel
1924 e nel 1925 nelle principali piazze d’Italia, e replica il successo
anche nel 1929, durante la fortunata tournée della Compagnia Viviani in
Sud America.
L’atto unico Lo Sposalizio viene portato in scena per la prima
volta al Teatro Umberto di Napoli nel 1919; la versione in due atti
della commedia, rappresentata nel gennaio del 1920, è invece tratta da
una omonima scena che Raffaele Viviani ha scritto nel 1912, una di
quelle scene che l’autore è solito recitare da solo, assumendo di volta
in volta la fisionomia, la voce e la gestualità dei singoli personaggi,
sorretto dalla sua straordinaria mimica facciale. Alla stesura del
lavoro collabora il primo attore della Compagnia, Gigi Pisano, autore
anche di un bozzetto, ‘E virgine, poi confluito parzialmente nel
primo atto de Lo Sposalizio. La commedia fu più volte
rappresentata negli anni 1930-1932, nelle prestigiose piazze dì Napoli,
Bari, Milano, Treviso, Bologna e Roma.
Il vero successo della commedia sta dunque nella funzione corale dei
personaggi che ruotano intorno ai due protagonisti principali,
alternando e stemperando le tensioni tragiche con una massiccia dose di
graffiante ironia.
La Bohème dei comici è una commedia in due atti con versi, prosa
e musica. Il titolo originale della prima rappresentazione, del 16
ottobre 1920 - Lo Bohéme di Viviani - è successivamente
corretto in quello di La Bohème dei comici, che meglio evidenzia
i numerosi riferimenti al mondo del varietà, che rappresenta per
l’autore la prima e vitale esperienza artistica.
Il primo atto è ambientato nella Galleria Umberto I di Napoli, dove per
tradizione si radunano ancora oggi artisti, canzonettisti, comici,
cantanti e macchiettisti in cerca di scritture, e impresari che
combinano stagioni, piccole tournées e contratti per singole serate. Per
la prima volta Raffaele Viviani compare nell’elenco dei personaggi con
il suo vero nome, e interpreta se stesso nel ruolo di un comico
macchiettista al 1905.
Completamente diversa la scena del secondo atto, intitolato, nel copione
esposto, ‘E cornice ‘e copp’ ‘e bagne, che si svolge nella sala
deserta del Bagno Risorgimento a San Gennariello, dove alle cinque del
mattino fanno il loro ingresso gli artisti, che con le loro esibizioni
canore sono preposti ad allietare la giornata di vacanza dei bagnanti.
Campagna napolitana è uno dei più rappresentati tra i testi di
Raffaele Viviani. Si tratta di una commedia in due atti scritta nel 1921
e più volte ripresa: a Roma nel 1922, a Torino nel 1923, è riportata in
scena sempre con grandissimo successo, come si evince dai numerosi visti
per la rappresentazione impressi sul copione in nostro possesso. Sui
dagli esordì è in cartellone nelle principali piazze italiane -
Napoli, Milano, Genova - oltre che all’estero: in Sud America, a
partire dal 6 Luglio 1929, durante la fortunata tournée della Compagnia
Viviani a San Paolo del Brasile.
A questa seguono numerose altre recite tra il 1930 ed il 1935, fino a
quella di Tunisi del 1936, e, ancora, fra il 1938 e il ‘39.
Si tratta della prima opera di Raffaele Viviani che abbia uno
svolgimento lineare e una ben chiara caratterizzazione dei singoli
personaggi e delle situazioni; protagonista principale è l’insanabile
contrasto di classe, tra il vecchio proprietario latifondista di Terra
di Lavoro, zona allora ricchissima di coltivazioni di canapa, e il
proletariato agricolo dei contadini.
Contrasto che esplode violentemente, liberandosi nel canto rurale di:
«Sta campagna nun è ’a nosta, comm’è nosta sta fatica!».
Circo Equestre Sgueglia è la prima commedia in tre atti di
Raffaele Viviani, redatta in poco meno di un mese. Alla prima
rappresentazione al Teatro Bellini di Napoli nell’autunno del 1922 fanno
seguito molte e fortunate recite, documentate dai numerosi visti di
autorizzazione impressi sul copione di scena in nostro possesso.
Ambientato tra baracconi, giostre e trapezi, il lavoro si snoda
attraverso le alterne vicende della famiglia Sgueglia,
proprietaria dell’omonimo circo., espressione di un mondo povero e
precario, basato sull’eterna finzione, con l’unica drammatica certezza
del fatto che lo spettacolo che deve andare avanti comunque, anche
quando: «tiene ll’ossa tutte spezzate... e ‘a morte dint’ ‘o core».
L’autore stesso, vissuto in gioventù a contatto con il mondo dei
girovaghi, dal quale ha appreso le movenze, la plasticità dei gesti e
l’animo un po’ zingaro, interpreta il ruolo del protagonista, il clown
Samuele che, oltre a suonare più strumenti musicali, si esibisce
nel finale in audaci numeri acrobatici.
Fatto di cronaca nasce nel 1918 come atto unico con il titolo
For’ ‘a loggia e viene rappresentata per la prima volta al Teatro
Umberto di Napoli nell’ottobre dello stesso anno. E nel 1923 che Viviani
scrive i rimanenti due atti, dando vita alla commedia in tre atti di
Fatto di cronaca, che mette in scena nel novembre di quell’anno al
Teatro Bellini di Napoli.
Sostanzialmente l’argomento del primo atto di ‘O fatto ‘e cronaca
corrisponde a quello dell’atto unico For’ ‘a loggia.
La figliata è una commedia in due atti che Viviani trae da una scena
del 1912; rappresentata per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli il
27 agosto del 1924 esercita meritatamente un forte richiamo di pubblico.
Nella commedia prevale la rappresentazione corale di una comunità in cui
i singoli personaggi, affiancando il protagonista, acquistano
gradatamente una loro precisa connotazione e un affiatamento perfetto,
dovuto soprattutto alla capacità di Viviani di ottenere una disciplina
scenica così ferrea, da meritarsi l’appellativo di «Duce della
vittoriosa Troupe».
I Pescatori, dramma in tre atti di Raffaele Viviani, va in scena
per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli l’11 agosto 1925,
riscuotendo grandissimo successo.
Pescatori rappresenta una comunità che vive secondo le ferree
regole di una organizzazione tribale. Sistemati e quasi confinati sulla
spiaggia di Mergellina, i pescatori consumano la loro dura e triste
esistenza tra la baracca sulla spiaggia e il mare aperto, incalzati
dall’avanzare dell’edilizia abusiva e selvaggia: « ... già simmo
arrivate ‘n terr’arena. N’atu palazzo ch’aizano...
TECA 7
Zingari è una tragedia in tre atti, rappresentata per la
prima volta il 10 febbraio 1926 a Livorno, dove riscuote un buon
successo di critica. L’anno successivo l’autore propone una seconda
edizione del lavoro, che, rappresentato al Teatro de’ Fiorentini di
Napoli il 24 maggio, è accolto da unanime consenso di pubblico e di
critica.
Grande conoscitore della psicologia femminile e della grande forza di
carattere delle donne, Viviani indugia sapientemente sui loro
sentimenti, che sono poi il vero motore di un mondo dominato, nel teatro
come nella realtà, da figure maschili troppo spesso prepotenti e
provancanti.
Napoli in frac è una commedia-rivista scritta da Raffaele Viviani
nel 1926, e rappresentata per la prima volta al Teatro Valle di Roma il
20 marzo dello stesso anno.
Il canovaccio della vicenda è suggerito all’autore dalla speranza
di beneficiare dei finanziamenti disposti dalle autorità del governo
fascista in materia di pubblici spettacoli. Infatti Viviani si sforza di
proporre all’attenzione del pubblico lo spettacolo di una Napoli
ripulita e arricchita, allo scopo di assumere quella compostezza e
gentilezza di modi proprie a molte città dell’Italia settentrionale con
le quali è chiamata a confrontarsi. Pur seguendo il destino di
modernizzazione delle grandi metropoli, Napoli non perde nella
rappresentazione scenica il suo fascino, poiché riesce a mantenere vive
le forti tradizioni popolari.
Fuori l’autore è un lavoro dalla genesi piuttosto articolata. Nel
corso degli anni sarà più volte rimaneggiato dall’autore con continui
cambiamenti di titolo, tanto che, nella difficoltà di attribuzione di
quello definitivo, sarà conosciuto anche con il titolo Leggiamo la
commedia.
Il 12 luglio 1926, infatti, Viviani porta in scena al Teatro
Fiorentini di Napoli la commedia in due atti dal titolo L'Italia al
Polo Nord, che riscuote grande successo.
Il giudizio dei critici non risulta però unanime, tanto da indurre
Raffaele Viviani a preparare una nuova edizione della commedia in tre
atti intitolata L'Autore. Rappresentata al Teatro Quirino di Roma
nel 1927 anche questa nuova stesura registra tiepidi consensi.
Nel 1933, con il titolo nuovamente modificato di Leggiamo la
commedia, Viviani la porta in tournée in molte città dell’Italia
settentrionale, riscuotendo finalmente successo di pubblico e di
critica.
Napoletani d’oggi è una commedia del dicembre 1926, scritta di
getto ed elaborata in soli sette giorni; viene rappresentata per la
prima volta al Teatro de’ Fiorentini di Napoli il 13 gennaio del 1927.
Il pubblico e la critica le tributano festosissime accoglienze per
l’elogio dell’opera benefica intrapresa dal Regime a favore del
Mezzogiorno d’Italia e della città di Napoli, sua degna capitale.
Scritta in soli venticinque giorni, Putiferio è una commedia in
tre atti rappresentata per la prima volta a Firenze il 1° novembre 1927.
Il testo è ripreso più volte: nel giugno 1928 al Teatro Biondo di
Palermo Viviani ottiene un successo personale per la sua superlativa
prova, ma si merita anche qualche critica negativa per la eccessiva
superficialità delle situazioni comiche. Seguono numerose altre
fortunate recite, come quelle al Teatro Eden di Milano nel 1930 o al
Teatro de’ Fiorentini di Napoli nel 1933.
Vetturini da noia, conosciuta anche con il titolo di ‘O puosto
d’ ’e carruzzel1e, è un un atto unico scritto da Viviani in
pochi giorni. Fin dalla prima romana del 1927 al Teatro Adriano di Roma
riscuote grande successo. Viene poi replicata al Teatro de’ Fiorentini
di Napoli il 5 maggio 1928, durante la serata in onore del suo autore.
In seguito il lavoro è spesso riportato in scena, quasi sempre insieme
ad altre commedie dello stesso Viviani oppure unitamente a drammi
digiacomiani (nel caso della rappresentazione catanese del giugno 1928
con ‘O mese mariano). Anche nel corso della tournée in America
Latina del 1929, Viviani ripresenta l’atto unico, nel quale, con il
pretesto di raccontare l’imbarazzo e lo sbigottimento dei vetturini
napoletani di fronte al diffondersi delle prime automobili, coglie
l’occasione di far conoscere anche all’estero le bellezze paesaggistiche
della città, viste attraverso gli occhi dei turisti in giro per Napoli a
bordo della carrozzella.
La Festa di Montevergine risale all’autunno del 1927, al periodo
della tournée di Viviani nelle piazze di Prato, Ancona e Ravenna; è
rappresentata per la prima volta al Teatro de’ Fiorentini di Napoli, il
6 gennaio del 1928.
Fulcro del racconto è dunque il pellegrinaggio al Santuario di
Montevergine dedicato alla Madonna nera, nel giorno della sua
festa, gita che acquista un significato mistico anche per coloro che
solitamente sono scettici di fronte al divino. Viviani porta a
Montevergine gli uomini con le loro passioni, i peccatori come lui,
uniti dal comune denominatore del sentimento religioso; essi infatti,
attraverso la preghiera e l’offerta di qualche soldo, riconoscono
implicitamente, almeno in quell’occasione, l’esistenza di una realtà
ultraterrena.
L’atto unico del 1928 La musica dei ciechi debutta a Roma insieme
con due opere digiacomiane, Assunta Spina e Il Voto.
Alla prima romana seguono numerose altre fortunate rappresentazioni
al Teatro de’ Fiorentini di Napoli e al Piccinni di Bari dove la
commedia replica il clamoroso successo.
Tema centrale è la misera vita di un’orchestrina girovaga che si
esibisce sulla marina di Napoli, alternando canzoni napoletane a valzer
viennesi.
TECA 8
La commedia in tre atti Morte di Carnevale viene portata in
scena per la prima volta al Politeama Nazionale di Firenze la sera del
16 novembre 1928, riscuotendo grandissimo successo di pubblico e di
critica. Molto noto anche all’estero, il testo teatrale compare anche
nella traduzione francese di Antonio Braga con il titolo Mort de
Carnaval.
Nullatenenti, commedia in tre atti, debutta il 12 gennaio del 1929
al Teatro Mercadante di Napoli con il titolo Le ragazze restano per
noi. Nullatenenti nasce proprio negli anni in cui si va costruendo a
Napoli il complesso della Mostra d’Oltremare e vengono meno, di contro,
i progetti di edificazione di case per il popolo.
Don Mario Augurio debutta al Teatro Niccolini di Firenze il 21
febbraio 1930. Commedia di carattere, rivela una particolare attenzione
da parte dell’autore nel delineare il protagonista, che risulta sempre
al centro dell’azione, contornato da una quantità di personaggi che gli
fanno da cornice.
I/ mastro di forgia nasce durante il soggiorno nel 1930 a
Firenze, dove Viviani aveva debuttato il 21 febbraio al Teatro Niccolini
con Don Matio Augurio.
Messa in scena il 24 aprile del 1930 al Teatro Politeama di Napoli,
la commedia riscuote notevole successo. La tournée prosegue per Roma,
dove il lavoro viene rappresentato il 23 ottobre 1930 al Teatro
Margherita.
Più volte riportata in scena anche negli anni successivi, la commedia è
presentata a Milano nel 1933 con il titolo italiano La bottega del
fabbro - e il sottotitolo Filosofia spicciola in tre atti -
in ossequio alle disposizioni governative del regime fascista che non
vede di buon occhio l’uso del dialetto.
Nel 1931 Raffaele Viviani presenta sulle scene lo spettacolo in tre atti
e nove quadri Napoli tascabiIe: combinando i moduli della rivista
con quelli della commedia, realizza un’opera gaia, maliziosa ed arguta,
in cui si fa la parodia del teatro e del cinematografo con vivezza e
spontaneità di battute. I nove quadri sono legati da un sottile filo
conduttore che fa da trama alla rivista, nella quale sono abilmente
delineate alcune macchiette gustose, vere e ben osservate.
Scritta nel 1931 e rappresentata per la prima volta a Padova il 12
gennaio 1932, Il guappo di cartone, in tre atti, è una delle
commedie più significative della realtà napoletana del tempo.
Commedia assai amara in cui Viviani, dando prova della sua coscienza
civica e democratica, denuncia con estrema crudezza la condizione del
detenuto che inutilmente cerca di reinserirsi nella società civile che
lo respinge.
L'ultimo scugnizzo è uno dei testi più famosi del teatro di
Viviani. La commedia debutta il 16 dicembre 1932 al Teatro Piccinni di
Bari, ottenendo subito il consenso del pubblico e della critica.
Applaudito a scena aperta e particolarmente apprezzato è il commovente
finale del terzo atto. Rappresentata l’anno successivo al Teatro
Fiorentini di Napoli, è replicata nell’aprile dello stesso anno, per poi
conquistare anche il pubblico milanese che ne conferma il successo. Nel
1938 si realizza anche una riduzione cinematografica della commedia, con
la sceneggiatura di Gherardo Gherardi e la regia di Gennaro Righelli.
Il lirismo di Viviani giunge ai toni più alti nel secondo atto, dominato
dal coro della celebre Rumba degli scugnizzi, fatta di voci
popolari che riecheggiano il mondo dell’infanzia del protagonista.
TECA 9
Composta nel 1932, L'imbroglione onesto è una delle più
divertenti e appassionate commedie del repertorio vivianesco. Scritta in
italiano per aggirare l’ostacolo della lotta al dialetto ingaggiata dal
fascismo, rappresenta tuttavia un mondo ineffabilmente napoletano,
costellato di personaggi vivi e intraprendenti, capaci d’inventarsi
qualsiasi attività per emergere da una condizione di miseria. Viviani
tiene desta l’attenzione dello spettatore con un ritmo incalzante e
serrato dell’azione, affrontando un tema che sarà più volte ripreso nel
repertorio teatrale napoletano, quello della crisi della famiglia.
I vecchi di San Gennaro, commedia in tre atti, va in scena per la
prima volta al Teatro Goldoni di Venezia il 28 marzo 1933. Dopo una
fortunata tournée nell’Italia centro-settentrionale, l’opera approda al
Teatro Fiorentini di Napoli il 18 aprile 1933, dove è accolta
favorevolmente sia dal pubblico che dalla critica. Viviani, con la
passione che gli è solita, affronta in questo lavoro, che ama
particolarmente, il problema della vecchiaia inteso come problema
sociale.
Mestiere di padre risale al 1935. Della commedia esiste, tra gli
altri, un copione di scena con firma autografa dell’autore, datato I
agosto 1935, dove accanto ai nomi dei personaggi compare l’indicazione
dei relativi interpreti. Pubblicata il 15 novembre del 1939 ne «11
Dramma», quindicinale diretto da Lucio Ridenti, l’opera fu rappresentata
per la prima volta il 26 agosto 1935 e, successivamente, messa in scena
a settembre a Bologna e a ottobre a Venezia, per approdare infine a
Milano nel novembre. Positivi i giudizi della critica.
Padroni di barche, commedia in tre atti, è composta
nell’estate del 1937 ed è rappresentata per la prima volta al Teatro
Carignano di Torino nell’ottobre dello stesso anno. Nel gennaio del 1938
approda al Teatro Mercadante di Napoli, dove ottiene grandi favori sia
di pubblico che di critica, rafforzando e confermando il successo della
prima torinese. Nel 1939 la commedia torna sulle scene al Teatro Olimpia
di Milano, riscuotendo anche qui notevoli consensi di critica.
Espressione di un teatro che si può definire "realistico", Padroni di
barche è caratterizzata da un’azione e da personaggi che vanno al di
là dei singoli fatti rappresentati: le vicende personali diventano
sintomatiche di una realtà più generale e assumono un valore corale.
La commedia della vita debutta al Teatro Palazzo di Montecatini
Terme nel settembre 1939. Riproposta l’anno successivo al pubblico dei
maggiori teatri d’Italia, ottiene un discreto consenso anche da parte
della critica, che ne elogia il tono fresco e ingenuo e la forza comica,
talvolta farsesca.
Senza approfondire il problema dei rapporti tra vita e arte, Viviani
intende mostrare con La commedia della vita che «la comicità del
teatro è spesso crudele e si beffa di tipi ridicoli che, visti nella
loro semplice umanità, meriterebbero pietà» («Corriere della Sera», 18
novembre 1941). L’opera è tra le meno conosciute e meno rappresentate;
dopo il 1941, infatti, non è stata mai più messa in scena.
Muratori, commedia in tre atti scritta nel 1942, non è mai stata
rappresentata. Fulcro dell’opera è un mondo operaio che ha ormai
acquisito una sua coscienza di classe.
Il decalogo in due tempi e dieci quadri I Dieci Comandamenti
viene elaborato da Viviani tra il 1944 e il 1947 con la collaborazione
del figlio Vittorio. Rappresenta un affresco della Napoli del
dopoguerra, costretta a vivere quella dura realtà più volte denunciata
anche dal cinema neorealista e dalla letteratura del tempo.
« ... una
missione d’arte
e d'italianità»: la tournée in Sudamerica
TECA 10
Nell’aprile del 1929 Raffaele Viviani parte per una tournée
in Sudamerica. Destinazione Buenos Aires, dove giunge a bordo del
piroscafo Duilio il 22 di quel mese. La serata inaugurale del 24 aprile
al Politeama Argentino di Buenos Aires, organizzata dall’impresario
Renato Salvati, prevede la rappresentazione de I Pescatori,
seguita da La musica dei ciechi.
L’accoglienza calorosa degli ambienti italo-americani spinge i
connazionali di don Raffaele a organizzare in suo onore numerose serate,
durante le quali l’attore si esibisce sovente nella recitazione di
poesie dialettali proprie e di altri celebri poeti quali Salvatore Di
Giacomo e Trilussa.
La tournée prosegue in direzione di Rosario, dove Viviani debutta al
Teatro La Opera con I pescatori e La musica dei ciechi,
riscuotendo anche qui notevole successo. Riproponendo però Napoli in
frac provoca di nuovo tafferugli e vivaci proteste sia del pubblico
che della critica antifascista. Il 26 maggio rientra a Buenos Aires,
dove porta in scena al Politeama Argentino Quando Napoli era Napoli
di Petriccione e Ragosta, replicata più volte su richiesta delle
famiglie italo-argentine che, per manifestare tutto il loro affetto ed
entusiasmo, organizzano in suo onore un pranzo di commiato al Circolo
Italiano. Numerosissimi i commensali, oltre settanta. Alla tavola
d’onore, accanto a don Raffaele, si raccolgono soci, amici e ammiratori
nonché gli artisti della sua compagnia.
Tra il giugno e il luglio del 1929 la compagnia si sposta in Uruguay;
qui, al Teatro Solis di Montevideo, rappresenta ‘A morte ‘e
Carnevale, La musica dei ciechi, Festa di Piedigrotta e altri tra i
suoi testi più significativi. Unanime il consenso del pubblico e della
critica, tanto che il «Mundo uruguayano» dedica un’intera pagina a
Viviani, che vi appare, nei panni di un pescatore, in una fotografia
scattata al porto di Montevideo. A conclusione del soggiorno in Uruguay
l’associazione I Vesuviani gli offre una
cena di commiato presso il Gran Hotel Colòn.
La tournée sudamericana si conclude in Brasile dove, tra agosto e
settembre, al Teatro Sant’Anna di San Paolo, Viviani rappresenta, tra
l’altro, Campagna napoletana, La musica dei ciechi e ‘O fatto
‘e cronaca.
Intervistato al rientro in Italia, dopo circa sei mesi di trionfale
tournée, Viviani così si esprime: «Il compito o meglio la missione,
dell’attore italiano all’estero, e specie quando questo attore è come me
interprete della vita regionale e caratteristica di dati ambienti, deve
essere una missione d’arte e d’italianità.
Mestiere d’attore
TECA 11
Raffaele Viviani porta in scena per la prima volta a Roma al Teatro
Adriano il 24 marzo 1928 Assunta Spina di Salvatore Di Giacomo,
cupo dramma passionale d’amore e di vendetta.
Tratto dall’omonima novella del 1888, il dramma digiacomiano era stato
rappresentato per la prima volta al Teatro Nuovo di Napoli il 27 marzo
1909 con Adelina Magnetti nel ruolo di protagonista. La popolarità
dell'opera sarà accresciuta da due trasposizioni cinematografiche: la
prima, rimasta celebre, con Francesca Bertini nel 1915; la seconda, con
Anna Magnani e con la regia di Mario Mattioli, nel 1949.
Raffaele Viviani interpreta per la prima volta Pensaci, Giacomino!
di Luigi Pirandello il 31 gennaio 1933 al Teatro Fiorentini di
Napoli, dopo aver ottenuto dall’autore stesso il permesso di trasporre
in dialetto napoletano. Ottimo il giudizio della critica sulla
prestazione di Viviani.
Nel 1934 Raffaele Viviani è scritturato per interpretare nel campiello
del Teatro a San Luca di Venezia la parte di Don Marzio ne La Bottega
del caffè di Carlo Goldoni con la regia di Gino Rocca.
L’allestimento risulta inserito nell’ambito del 1 Festival
internazionale del teatro alla Biennale di Venezia. Fra gli altri
interpreti, attori del calibro di Carlo Ninchi, Andreina Pagnani, Kiki
Palmer, Renzo Ricci, Cesarina Gherardi, Luigi Almirante, Enzo Biliotti;
per la prima volta Viviani recita in una compagnia teatrale che non è la
sua.
L’ammalato immaginario, rappresentato per la prima volta al
Teatro Odeon di Milano nel settembre 1936, è un rifacimento, in dialetto
napoletano, della celeberrima commedia di Molière Il malato
immaginario, ma l’originale si riconosce solo nel terzo e quarto
atto, laddove il personaggio principale, Vitale Robustiniano, diventa
davvero l’Argante molieriano, pieno di acciacchi e manie, in compagnia
della terza moglie.
La critica non si mostra particolarmente entusiasta del rifacimento
vivianesco, considerandolo in ogni modo un tentativo interessante.
Raffaele Viviani porta in scena Chicchignola di Ettore Petrolini
nel 1940 in omaggio all’autore scomparso nel 1936.
Anche stavolta si registra per Viviani e la sua compagnia un meritato
successo e la critica riconosce loro la consueta bravura.
TECA 12
Il 10 settembre 1940 al Teatro Nuovo di Milano Viviani debutta in
Miseria e nobiltà con la regia del figlio Vittorio; le scenografie e
i costumi sono del famoso Umberto Onorato. La celebre commedia di
Eduardo Scarpetta era stata rappresentata per la prima volta il 7
gennaio 1888 al Teatro Mercadante di Napoli (il figlio Vincenzo
interpretava Peppeniello); voleva essere una risposta dell’autore ai
critici che gli rimproveravano di portare in scena soltanto riduzioni di
commedie straniere, soprattutto vaudevilles. Nella
rappresentazione del 1940 Viviani impersona Felice Sciosciammocca - la
n’visitazione scarpettiana in chiave borghese dell’arcaica maschera
pulcinellesca - mentre Vincenzo Scarpetta stavolta è l’ex cuoco
Semmolone e la sorella di Viviani, Luisella, interpreta Concetta. Alla
prima fanno seguito numerose repliche in molti altri teatri italiani,
tutte coronate da grande successo di critica.
Viviani rappresenta poi per la prima volta al Teatro Margherita di
Genova il 10 ottobre 1941 la commedia Siamo tutti fratelli con la
regia del figlio Vittorio. La pièce è un rifacimento del canovaccio di
Antonio Petito So’ muorto e m’hanno fatto turna’ a nascere.
Viviani nella parte di Pulcinella ottiene uno strepitoso successo
personale, in particolare per l’impegno profuso nel rinnovamento della
vecchia maschera della Commedia dell’Arte.
Viviani in celluloide
TECA 13
Raffaele Viviani ha appena venti anni allorché, nel 1908, debutta
nel cinema. Si trova a Roma per l’inaugurazione del Teatro Jovinelli,
quando insieme con la sorella Luisella è scritturato da un impresario
della Cines, nota casa cinematografica romana fondata nel 1906, per
partecipare a tre film muti d’ambientazione non napoletana purtroppo
perduti. Restano di questi film solo poche fotografie ingiallite,
attraverso le quali è possibile tuttavia rilevare l’impronta fortemente
realistica che Viviani riesce a dare alle sue interpretazioni.
Il primo di questi film, di cui s’ignora perfino il titolo, sembra
ambientato all’epoca della rivoluzione francese e Viviani appare, nei
fotogrammi superstiti, vestito da giacobino, ora inginocchiato ai piedi
di un’altezzosa nobildonna, ora nell’atto di fronteggiare con fiero
orgoglio un gruppo di nobili che lo estromette da una dimora signorile.
In un ulteriore documento fotografico - relativo a un secondo film dal
probabile titolo L’accusato, girato sempre tra il 1908 e il 1909
- Viviani indossa pantaloni alla zuava e ha l’aria di un uomo che,
accusato da una dama vestita di bianco, si difende con foga. Il soggetto
di questo secondo film prende spunto da un numero del varietà,
intitolato Fiamme der core, in romanesco, in cui si canta di un
uomo che, colti in flagrante la sua donna e l’amante in un pagliaio, vi
appicca le fiamme e li fa così bruciare, da cui appunto l’accusa
d’omicidio.
Il terzo film, girato nel 1909, è l’unico di cui ci è noto il titolo:
Amore selvaggio. In quest’ultimo, che interpreta accanto a Luisella,
protagonista femminile, e a Giovanni Grasso nel ruolo dell’antagonista,
Viviani veste i panni di un carrettiere, la cui sorella viene tradita
dall’amante. Grazie alle foto superstiti è possibile ricostruire per
sommi capi la trama del film: il protagonista, contrario alla relazione
amorosa della sorella, tenta di colpire con un frustino l’amante di
questa ma viene fermato dalla giovane. Ha in seguito un furioso litigio
con la sorella che però gli tiene testa. Sempre più inferocito,
aggredisce di nuovo l’antagonista, questa volta con un nodoso bastone.
Ma ecco che la sorella, nascosta tra gli alberi, scopre che l’amante
realmente la tradisce. Affranta dal dolore, la giovane si ammala fino
alla pazzia.
Dopo i fortunati esordi romani, in cui, ad appena vent’anni, ha già i
lineamenti marcati di un uomo maturo e provato dalla vita e l’esperienza
di un consumato attore di teatro, Viviani si allontana dal cinema, che
ripetutamente gli offre partecipazioni a film dozzinali d’ambientazione
partenopea. Probabilmente costretto dal bisogno, accetta nel 1912 una
scrittura della Partenope Film per la realizzazione del film Testa
per testa di cui non restano tracce. Fortemente deluso da queste
esperienze, in seguito si rifiuta di lavorare per i produttori
napoletani.
Dopo venti anni d’assenza dal set cinematografico, Viviani vi si accosta
di nuovo nel 1932.
Domina ormai il sonoro, di cui il nostro autore-attore comprende subito
le immense possibilità espressive. Dei resto, la scelta di accompagnare
una forte mimica del volto con il canto e le parole fanno di Viviani
l’antesignano di quella scuola realistica che avrà fortuna del cinema
italiano nel secondo dopoguerra.
Presso gli stabilimenti della Cines si realizza così il film La
tavola dei poveri, per la regia di Alessandro Blasetti e la
sceneggiatura di Emilio Cecchi e Mano Soldati, con Raffaele Viviani nel
molo del marchese Isidoro Fusaro, nobile decaduto e ormai povero che
continua però a vivere in un’apparente agiatezza. Un giorno un accattone
gli affida un’ingente somma di denaro raccolta con le elemosine,
desiderando che proprio il marchese, per la sua trascorsa generosità, ne
sia il custode. Per errore la somma finisce nelle mani di un comitato di
benefattori che organizza con questa un pranzo per tutti i mendicanti di
Napoli, al quale naturalmente l’affamato, ma pur sempre nobile, Isidoro
non potrà partecipare. Quando si vedrà costretto a restituire il denaro
affidatogli, sarà solo la vendita degli ultimi suoi quadri e la
benevolenza del ricco fidanzato della figlia a risolvergli ogni
problema. Il film, animato da una folla di pittoreschi personaggi
minori, è incentrato sulla figura del protagonista, che trova nella
forza comunicativa e nell’espressività di Viviani l’interprete ideale,
grande nel cinema quanto nel teatro. Toccanti, a questo proposito, le
parole di colui che lo dirige in quell’occasione, Alessandro Blasetti,
il quale ne esalta le doti di grande umiltà e disponibilità, unite ad
una eccezionale capacità di collaborazione con l’intera troupe.
Sette anni dopo, infine, Viviani accetta la proposta della Juventus Film
di realizzare una versione cinematografica della commedia L’ultimo
scugnizzo, che aveva debuttato con grande successo nel 1932 al
Teatro Piccinni di Bari. La sceneggiatura del film è curata da Gherardo
Gherardi e la regia è affidata a Gennaro Righelli. Ancora una volta la
drammatica maschera del volto di Don Raffaele riusce a dare una forte
impronta realistica al personaggio interpretato, mettendo in risalto
tutta la disperazione del disoccupato che ad ogni costo cerca lavoro per
poter dare un nome al figlio che sta per nascere. Dopo la programmazione
di Ultimo scugnizzo, la popolarità di Viviani crebbe a dismisura,
tanto che gli fu proposta una nuova riduzione cinematografica da un
altro suo dramma I pescatori, per la regia di Luchino Visconti.
Purtroppo il film, che avrebbe dovuto avere il titolo Notte di
tempesta, non potrà essere realizzato a causa dello scoppio della
guerra e dell’aggravarsi delle condizioni di salute di Viviani. Ne resta
soltanto una foto tratta da un provino del 1942.
Il dopo Viviani
TECA 14
Contrariamente alle superficiali previsioni del suo pubblico e di
parte degli ambienti artistici, il teatro di Viviani non si esaurisce
con la morte del suo attore-autore. I critici più attenti avevano del
resto intuito da subito che aveva senz’altro molto da dire anche a
spettatori moderni, al di là dell’interpretazione fortemente espressiva
del suo ideatore. Sull’onda della commozione provocata dalla morte di
Don Raffaele, vengono allestite le prime rappresentazioni amatoriali,
tra le quali si può ricordare, per citarne una, quella realizzata dalla
sezione teatrale del Circolo Aziendale Gas di Napoli, che, per la
direzione artistica di Gianni Crosio, mette in scena, il 10 giugno 1950,
la commedia L’Imbroglione onesto.
Nel 1952 viene rappresentata al Teatro Mediterraneo di Napoli di
Caffè di notte e giorno, per la regia di Vittorio Viviani, con
Eduardo Passarelli nei ruolo del protagonista.
L’anno successivo nello stesso teatro va in scena Lo sposalizio
con l’interpretazione di Ugo D’Alessio e Luisella Viviani. Nel Teatro di
San Carlo, tempio della lirica si rappresenta nel 1953 I pescatori
per la regia, ancora una volta, del figlio Vittorio, con la musica
di Jacopo Napoli.
Nel 1957 Nino Taranto, si cimenta per la prima volta nel repertorio
vivianeo con L’ultimo scugnizzo con cui riporta un gran successo
personale e nello stesso tempo rivela ai giovani l’originalità dei temi
e della poesia del teatro di Viviani.
Nella Stagione 1959-60, a dieci anni dalla scomparsa di Viviani, Taranto
mette in scena tre commedie - L’Imbroglione onesto, Morte di
Carnevale, La figliata, contemporaneamente la Compagnia del Teatro
Stabile della Città di Genova rappresenta La Tavola dei poveri,
con Ernesto Calindri nel ruolo del protagonista e la regia di Franco
Parenti, che si cimentano nel difficile compito di rendere in lingua un
testo dialettale.
Dalla stagione teatrale 1964-1965 fino a tutto il 1967 la Compagnia
Napoletana di Teatro propone al Bracco di Napoli La figliata, L’Imbroglione
onesto e una bella edizione di Morte ti Carnevale,
molto elogiata dalla critica nazionale, per la regia di Vittorio
Viviani: Giuseppe Anatrelli è nel ruolo del protagonista, coadiuvato da
una eccellente compagnia, che vede impegnati, fra gli altri, Dolores
Palumbo, Gennaro Di Napoli, Enzo Cannavale, Pietro Canoni.
Nel 1967 Giuseppe Patroni Griffi propone, nello spettacolo Napoli
notte e giorno, i due atti unici Via Toledo di notte e La
musica dei ciechi. Tra gli artefici del successo registrato in tutte
le città d’Italia e perfino a Londra, Franco Sportelli, un giovane
Mariano Rigillo e Angela Luce che ti lancia, in quell’occasione, la
canzone Bammenella nel ruolo della prostituta Ines di Via
Toledo di notte.
Pietra miliare della fortuna postuma del teatro vivianesco è
sicuramente lo spettacolo Io, Raffaele Viviani, antologia di
poesie, canzoni, brani di teatro curata da Antonio Ghirelli e Achille
Millo.
Testimonianza di un’inesauribile vitalità che si estende al di là
dell’ambito strettamente partenopeo è l’allestimento nel 1975, per il
XVIII Festival dei Due Mondi di Spoleto, dello spettacolo Napoli: chi
n’sta e chi parte, ancora per la regia di Giuseppe Patroni Griffi,
che unisce, in un’unica rappresentazione, i due atti unici Caffè di
notte e giorno e Scalo marittimo. Tra gli interpreti sì
distinguono Antonio Casagrande e Franco Acampora.
Sempre nel 1975, a quarant’anm dalla prima rappresentazione, Vittorio
Viviani e Nino Taranto riportano sulle scene Mestiere di padre,
commedia nella quale don Raffaele aveva mostrato tutta la sua
versatilità di attore e la sua capacità creativa.
L’anno seguente la Compagnia Tino Buazzelli rappresenta al Teatro Nuovo
di Torino I vecchi di San Gennaro per la regia di Edmo Fenoglio.
Nella stagione teatrale 1977-1978 il Teatro di Roma presenta
all’Argentina Circo Equestre Sgueglia per la regia di Armando
Pugliese che, pur discostandosi alquanto dal testo originale di Viviani,
riesce a dame un’interpretazione attenta e priva di retorica. Le musiche
originali dell’autore, ottimamente rielaborate da Nicola Piovani,
sottolineano i momenti salienti dell’azione.
Nell’ambito delle manifestazioni organizzate da Comune e Provincia di
Napoli, insieme con la Regione Campania, per la festa di Piedigrotta,
Roberto De Simone mette in scena nel 1979, al Maschio Angioino di
Napoli, Festa di Piedigrotta, dove azione e musica si fondono
mirabilmente a creare un grande spettacolo corale.
Nell’ottobre 1981 Mariano Rigillo presenta al Teatro Valle di Roma
Pescatori - dove Regina Bianchi subentra alla Senatore nel ruolo di
Concetta - nell’intento di mettere in risalto gli aspetti più tragici e
amari dell’opera di Viviani, spesso riduttivamente apprezzato solo per
quelli comici o grotteschi.
TECA 15
Sempre più affascinato da questo autore, Rigillo mise in scena nel
1982 Zingari che sarebbe stata poi ripresa nel 1993 da Toni Servillo.
Nel 1985 Gennaro Magliulo accetta la difficile regia, propostagli da
Luisa Conte, de Lo sposalizio, che egli considera uno dei testi
vivianei di più patente teatralità e di particolare impegno per gli
attori, ai quali viene chiesta quella coralità d’interpretazione che
deriva dal Varietà napoletano, dall’opera dei burattini e dalla
tradizione popolare napoletana.
Fondamentale, per la comprensione e diffusione del teatro di Viviani,
negli anni tra il 1985 ed il 1989, l’iniziativa della Cooperativa Gli
Ipocriti diretta da Alfredo Balsamo e Nello Mascia, che realizza,
nell’ambito del Progetto Viviani, l’allestimento di tre commedie:
L’ultimo scugnizzo, rappresentata a Caserta nel 1986 per la regia
di Ugo Gregoretti, Fatto di cronaca, allestita per il XXX
Festival dei Due Mondi di Spoleto nel 1987 per la regia di Maurizio
Scaparro, e infine Guappo di cartone, che debutta a Benevento nel
1989 con la regia di Armando Pugliese.
Sempre in quegli anni, in occasione del centenario della nascita di
Raffaele Viviani, Roberto De Simone presenta, nel 1987, al Teatro
Mercadante di Napoli, lo spettacolo Carmina vivianea,
rappresentazione oratoriale in dodici stazioni su materiali
poetico-musicali di Raffaele Viviani, riscoprendo così accanto al
drammaturgo e poeta, il Viviani musicista. Si tratta, infatti, di uno
spettacolo prevalentemente musicale piuttosto che teatrale, dove De
Simone è sul podio a dirigere l’orchestra coadiuvata dai solisti e dal
complesso jazz-rock di James Senese.
L’interesse per Raffaele Viviani si mantiene vivo fino ai nostri giorni,
ispirando nel 1999 l’allestimento della commedia ‘A morte ‘e
Carnevale, presentata al Teatro Bellini di Napoli da Renato
Carpentieri, regista e interprete rabbioso e divertente
nell’interpretazione di Carnevale.
Nel dicembre 2000, sempre al Teatro Bellini, Nino D’Angelo si cimenta
nel ruolo di ‘Ntonio, l’ultimo scugnizzo, per la regia di Tato Russo.
La XXI edizione della Rassegna Città Spettacolo di Benevento offre ampio
spazio all’opera vivianea: Enzo Moscato, nello spettacolo Arena
Olimpia accosta due diverse scritture di teatro: il suo Mìrabilia
Circus, sorta di fantasiosa introduzione, intermezzo e chiosa al
famoso La musica dei ciechi dell’autore di Castellammare.
È del 12 gennaio 2001, infine, la trionfale prima al Teatro Argentina di
Roma de I Dieci Comandamenti, opera mai rappresentata, per la
regia di Mario Martone che, attento alle sensazioni comunicategli dal
testo, ne dà una lettura estremamente fedele e rispettosa.
Particolarmente curata l’elaborazione delle musiche originarie di
Viviani, realizzata da Daniele Sepe.
NOTE
* Félix Mayol (Tolone, 1872-1941), celebre artista francese di
caffè-concerto e music-hall. Dal 1895, anno del suo debutto al
Concert Parisien, fino alla prima guerra mondiale fu tra i più acclamati
interpreti della canzone francese e, secondo Maurice Chevalier, che di
lui fu grande ammiratore e imitatore, insuperato esecutore della
chanson de genre (Mains de Femmes, A la cabane bambou, ecc.). Ormai
al vertice della sua camera, rilevò nel 1910 il Concert Parisien,
ribattezzandolo col nome di Concert Mayol e organizzandovi spettacoli di
varietà e rivista. Dopo alcuni anni lo cedette e si ritirò a
Tolone. Spinto dal bisogno, in tarda età, si ripresentò sulle scene, ma
la sua stella era ormai tramontata.
Nasceva un teatro "nella sfera del grande spettacolo
popolare". La città cominciava a svolgersi intera davanti al pubblico
dell' "Umberto"; ed era una città per la prima volta rappresentata in
una violenta deformazione espressiva, strada per strada, rione per
rione; rivelata nella realtà molteplice e contraddittoria dei suoi
esemplari umani; e da un poeta che ne distruggeva dall'interno la
"forma" degli apriorismi convenzionali e le stratificazioni mitologiche,
per ricrearla ex novo raccontandola in termini di assoluto drammatico e
farne l'emblema di una presenza nazionale decisa e perentoria. Erano
spregiudicati moduli scenici, nei quali sono riassunte ed alienate le
esperienze maggiori del Teatro Napoletano [...] Moduli che acquistavano
una loro fresca verginità, oltre che presi a se stanti, nella loro
specie letteraria e musicale, in ragione altresì del loro impiego
dialettico. Era una sintesi che veniva suggerita a Viviani dall'animus
creativo dei contrasti: non solo di personaggi di opposte classi sociali
in azione in tutti i suoi lavori; ma contrasti tra una "situazione" e
l'altra, spesso tra una "battuta" e l'altra di sconcertante diversità
emotiva. Erano i fatti che interferivano l'uno nell'altro, più che non
gli stessi loro attori; e sempre in un senso imprevisto che risultava
"naturale", mentre, in sostanza, era la riproposta di un insieme
miracolosamente tecnico, raggiunto in un clima surreale di distacco
dallo spazio cronachistico e geografico che pure ne era stato il movente
di sollecitazione creativa.
VITTORIO VIVIANI
Storia del teatro napoletano, Napoli, Guida, 1992, pp.737-38
Il 26 marzo 1999 gli eredi di Raffaele Viviani
consegnano in deposito provvisorio alla Biblioteca Nazionale "Vittorio
Emanuele III" di Napoli, alla presenza del Ministro per i Beni e le
Attività Culturali, Onorevole Giovanna Melandri, e del Sindaco di
Napoli, Onorevole Antonio Bassolino, il prezioso archivio del grande
drammaturgo napoletano. La raccolta, contenente autografi, carteggi,
copioni, spartiti e cimeli, con questo generoso atto viene affidata ai
compiti di tutela, divulgazione e valorizzazione della Biblioteca per
essere messa a disposizione di studiosi, di ricercatori, di operatori
del settore del teatro e della musica. L'opera di Raffaele Viviani
diventa patrimonio artistico e culturale della città e della comunità
sovraregionale e sovranazionale, e, confluendo nella Sezione Lucchesi
Palli, trova adeguata collocazione accanto alle testimonianze dirette
dalla storia del teatro e della musica napoletana e italiana, agli
autografi di Rossini e Verdi, di Di Giacomo, di Petito, creando le basi
per un'ulteriore approfondimento e una più dettagliata conoscenza
dell'uomo e della produzione artistica. La Biblioteca Nazionale di
Napoli nell'intitolare a Raffaele Viviani le due sale della Sezione
Lucchesi Palli che ospiteranno il fondo, esprime un sentito
ringraziamento a tutti gli eredi per un gesto che non solo arricchisce
le possibilità di studio e documentazione di una biblioteca, ma fornisce
altresì al Ministero un ulteriore propellente per l'incentivazione della
attività di promozione scientifica e culturale.
Un ringraziamento particolarmente sentito è rivolto alla figlia del
drammaturgo, Luciana Viviani, promotrice dell'iniziativa, ed al nipote
Giuliano Longone che ha custodito e salvaguardato il ricchissimo
archivio attivando le procedure per la realizzazione del suo
trasferimento alla Biblioteca Nazionale "Vittorio Emanuele III" di
Napoli.
Mauro Giancaspro |
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