ORIGINI DELLA CANZONE NAPOLETANA

Le origini della canzone napoletana sono oscure.
Gli storici non hanno trovato gli elementi sicuri per datare la prima melodia del popolo napoletano: ma si può dire che questa oscurità delle date è il significato di una origine luminosamente mitica del fenomeno del canto di Napoli.
Se è vero che Ulisse si fece legare all'albero della sua nave per non essere incantato dalla voce delle Sirene, è già da allora dunque che la Canzone aleggiava nel Golfo tra Procida e Capri, così lusinghevole e forte da indurre un eroe come Ulisse a difendersi da quella malia.
Comunque sia, il primo canto situato in un'epoca sicura è il famoso Canto delle lavandaie del Vomero, rimontante sicuramente al tempo di Federico di Svevia, intorno al 1200; e subito comincia la fioritura di poesie e di musiche, che sulle labbra del popolo, senza che se ne conoscano i nomi degli autori, diedero l'avvio alla messe lussureggiante della Canzone napoletana. Già fra il '400 e il '500 le canzonette napoletane si contano a centinaia, e si cantano a più voci, con accompagnamento di liuto e calascioni: la matrice era stata la "Villanella", un tipo di canzone agreste (Napoli era allora tutta cinta di Verde, di orti o campi) che diede origine ad un fenomeno musicale fra i più interessanti della storia della musica in Europa. Su versi napoletani, scrissero le "villanelle alla napoletana" famosi compositori come Orlando di Lasso, Luca Marenzio, Orazio Vecchi, Adriano Willaert, fino a Carlo Gesualdo, Giovanni Maria Trabaci, Claudio Monteverdi, Giulio Caccini, i più bei nomi insomma della musica polifonica italiana. La prima "villanella" a stampa è del 1537, la famosa "Voccuccia de ' no pierzeco apreturo":l'ultima è del 1652. Poi le villanelle corsero manoscritte, per cedere presto il campo a composizioni meno dotte, meno polifoniche: nasceva la canzone monodica, ad una sola voce con accompagnamento di strumenti: cioè la moderna canzone napoletana.
Nel '600 videro la luce Michelemmà, Cicerenella; nel primo '700, lo Guarracino; alla fine del '700 già circolavano tante canzoni, ed erano così popolari che i musicisti dell'Opera buffa le includevano - come diversivo piacevole e saporoso- nei loro spartiti da teatro, e in tal modo le conservarono fino ai nostri tempi. E già nella metà del '500 era lentamente giunto a Napoli, dalla nativa Sicilia, quella dolente canzone che è Fenesta ca lucive, il cui motivo iniziale piacque tanto a Bellini che lo utilizzò nella Sonnambula accreditando una dolce leggenda che ancora oggi attribuisce la paternità dello spiritualissimo canto al Cigno di Catania.
Nei primi decenni dell'Ottocento, le canzoni non si contano più: finalmente nel 1835, con la famosa Te voglio bbene assaje (attribuita anch'essa ad un grande, Gaetano Donizzetti), si ha la coincidenza delle canzoni con la festa di Piedigrotta, e Piedigrotta da festa esclusivamente religiosa, di pellegrinaggi alla Chiesa della Madonna della Grotta, diventa sinonimo della Canzone napoletana.
Il lungo periodo tra il 1820 e il 1880 rappresenta quell'epoca che gli storici recenti definiscono come "periodo pre-digiacomiano", come un momento di transizione dal fervore delle canzonette popolari - spesso anonime e spesso modeste per motivi ed ispirazione - al rigoglio dell'età di Salvatore di Giacomo, che accoglie tutta la vasta marea ella lirica popolaresca dei secoli precedenti, la raffina al fuoco della sua potente personalità, creando il modello ineguagliabile della grande Canzone d'arte, i cui rivoli giungono fino ai nostri tempi.
Ma già in questi decenni - che sono poi fondamentali per le trasformazioni storiche, politiche, urbanistiche di Napoli - si avverte una chiara trasformazione: ai poeti di semplice e rozza ispirazione, ai musicisti che arieggiano motivi tradizionali o presi in prestito dall'opera lirica pre-verdiana, succedono uomini di lettere come il Cossovich, il Labriola ed altri; ai musicisti anonimi subentrano autentici maestri, e perfino Saverio Mercadante scrive alcune canzoni dialettali.
Assistiamo dunque ad uno sbocciare di forme ed espressioni che via via si impreziosiscono e si affinano, attraverso gli apporti più coscienti e sorvegliati di autori meno incolti e spontanei, per preparare la serie aurea delle grandi e celebri canzoni dell'ultimo Ottocento. "Una fioritura rigogliosa, a tratti lussureggiante di canti, sboccia infatti tra la fine dell'Ottocento e il principio del Novecento: e tale è la perfezione di essi, che qualche scrittore ha considerato addirittura questo periodo come quello dell'autentica nascita della canzone".
Così scrive il Di Massa nella sua "Storia della canzone Napoletana"
Chi furono i cantanti che in quel periodo lanciavano le canzoni? E con quali mezzi? Giovanni de Francesco detto «'0 zingariello» è il più celebre posteggiatore della fine dell'Ottocento. Poi il Fraschini, menzionato da Salvatore di Giacomo nella sua "Piedigrotta for ever". Entrambi si accompagnavano con la chitarra. La loro attività dura fino al 1890 circa. Altri mezzi di propaganda furono il pianino, che un asinello trasportava da una strada all'altra, e le "copielle" ossia fogli volanti sui quali venivano stampati alla meglio i testi delle canzoni. "Le periodiche" e "le riunioni in famiglia", rappresentavano i palcoscenici. L'inaugurazione del Salone Margherita (1890) coincide pressappoco con l'inizio della carriera di Gennaro Pasquariello, di Elvira Donnarumma ed altri.
C'era finalmente un teatro. Ma soprattutto c'era Gennaro Pasquariello! È stato l'interprete più intelligente, più applaudito, più sensibile: la sua arte non sarà forse mai più raggiunta da nessuno.
Dopo il 1880, Salvatore di Giacomo pur ispirandosi al canto popolare dei secoli precedenti dava vita alla canzone d'arte, autentico componimento di poesia, alla quale mettevano le ali del canto musicisti evoluti come Mario Costa, Enrico de Leva, Vincenzo Valente. Con di Giacomo e subito dopo di lui, Napoli dava respiro a centinaia di Melodie, con una schiera di poeti e musicisti geniali e delicati, autori di un movimento d'arte che rinnovò nel mondo i fasti eccezionali delle "villanelle".
Dal 1925 al 1938 si compongono ancora canzoni, ma si vede che la grande vena sta per esaurirsi; i grandi poeti e musicisti sono scomparsi o appaiono dei sopravvissuti, nel nuovo clima tragico che va maturandosi in Europa.
D'altro canto l'invasione delle canzoni ritmate - di importazione dagli Stati Uniti - l'avvento del cinematografo parlato, la diffusione dei dischi e la difficoltà di allestire spettacoli nei teatri, contribuiscono al tramonto della canzone napoletana, che dovrà attendere il dopoguerra per impadronirsi e padroneggiare i nuovi ritmi e il nuovo stile, e dimostrare così la sua vitalità inesauribile, attraverso canzoni moderne. Dopo oltre mezzo secolo di successi, dal 1880 al 1930 e oltre, dopo la parentesi della guerra, oggi assistiamo ad un nuovo interesse per le grandi canzoni del periodo aureo: cantanti stranieri riprendono i vecchi motivi e li "lanciano" con nuove armonizzazioni e ritmi.
Lo si è visto con l'enorme successo della vecchia "Voce 'e notte" presso le nuove generazioni. In tal modo si ristabilisce un filo diretto tra il passato e il presente, attraverso un naturale processo di assimilazione; e così la canzone napoletana continua la sua antica strada nel mondo, recando un dolce conforto alla nostra fatica di vivere.


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