E.A. MARIO
(Giovanni Gaeta)
Napoli, 5 maggio 1884 - 24 giugno 1961

E stato il fenomeno della letteratura napoletana di tutti i tempi, un fatto unico ed irripetibile. Sprizzo poesia e musica, come suol dirsi, da tutti i pori: si riallacciava a Velardiniello ed agli altri mitici cantori di Napoli, era vicino a Salvator Rosa, fu come un antico aedo nell'opera costante sua di ispirato autore di versi e musiche.
Dotato di vastissima cultura (era un autodidatta), ha scritto centinaia di canzoni (forse duemila!), articoli polemici, poemetti, decine di libri di poesie, fin da quel 1904 in cui impiegatuccio alle Poste - conobbe il maestro Raffaello Segrè e gli diede una canzone, subito divenuta notissima:
Cara mamma.
Aniello Costagliola, in un famoso passo del suo Napoli che se ne va, lo definì «Il Signor Tutto»...
Egli stesso narro la sua infanzia povera; una tenacia commovente, una volontà decisa che affondava nella sua vera potente vocazione di poeta, lo fecero in breve pervenire alla fama a Napoli, in Italia, all'estero.
Protetto dall'editore Bideri, non lo lascio quando una Casa tedesca scritturo tutti gli autori di canzoni napoletane; ebbe poi, fino alla morte, una propria attività editoriale.
La canzone «italiana» nacque con lui: sono sue, infatti,
Vipera, Balocchi e profumi, Ladra, Come l'onda, Le rose rosse...
Vicino al mondo digiacomiano seppe tuttavia crearsene uno proprio, sfuggendo al fascinoso pericolo di diventare un epigono; ebbe ispirazione ricchissima, attingendo al patetico, al tragico, al comico, cantando il mare e la campagna, 1'amore e la nostalgia: celebre Santa Lucia luntana, insuperato canto di dolore dei nostri emigranti.
E la Leggenda del Piave, un inno che gli italiani sentono in petto come l'inno della Nazione?
Sopravvisse al dileguarsi del gran mondo ottocentesco, e battaglio e polemizzo fino agli ultimi mesi, eternamente perduto nei suoi sogni purissimi d'arte.
Il suo poema storico,
'0 quarantotto, in 162 sonetti, corredato da dotte note storiche e illustrative, e tra i pin belli della letteratura dialettale contemporanea.
Temperamento vulcanico e ricco di estro mediterraneo, sbalordiva per le sue attività molteplici che rinnovava con spirito sempre giovanile e battagliero.
E stato poeta, musicista, dicitore, cantante, commediografo, pubblicista, regista, soggettista cinematografico, editore. Fondo l'Agape dei Poeti Napoletani nella quale, venerato da Maestro, raccolse un gruppo di poeti dialettali, che tenendo fede ad un decalogo da lui scritto in versi, «scialacquando» in onore della Poesia, davano manifestazioni d'arte ora in pubblico, ora in privato.
A breve distanza dalla sua scomparsa, e stata pubblicata, a cura di Giuseppe Tricarico, l'ultima fatica del Maestro, il poemetto Masaniello. La raccolta completa delle sue poesie e in corso di stampa.
Un'ariosa strada dell'Arenella porta ora il nome di E.A. Mario, l'ultima delle grandi voci di Napoli.

Notizie biografiche da ETTORE DE MURA -
POETI NAPOLETANI DAL SEICENTO AD OGGI - MAROTTA EDITORE - NAPOLI, 1977
In copertina: E.A. MARIO

ATTO 'E NASCITA

Chi 'o vvò sapè, 'o ssapesse: i' songo nato
ll' anno milleottucientuttantaquatto,
'e cinche 'e maggio, 'o juorno dopp"o sfratto 1.
E percio campo sempe spatriato...

Dinto a na casa nun ce so' restato
maje chiù 'e duje anne; e si accussi so' fatto
nun truvarraggio 'o stesso pizzo adatto
quanno sarraggio muorto e sutterrato.

Ma, pe' fa' ll'atto 'e nascita cumpleto,
aggi' 'a di' chiaro e tunno a tutte quante:
"So' nato a' Vecaria 2, nun gia a Tuleto.

E pe' mme fa'... no chiù 'e duje genitore:
na mamma troppo semplice e gnurante:
nu pate troppo onesto e buono 'e core..."

E.A. MARIO

1 Sfratto: lo sgombero. Il 4 maggio pei napoletani corrisponde al San Michele dei milanesi.
2 Vicaria è un quartiere totalmente popolare, mentre via Toledo attraversa quartieri stranamente promiscui.

Le persone care ed amate sono,
come scrive Plutarco, trattenute nella mente
come una pittura ad encausto...
E per me il ricordo di mio Padre
e come una pittura ad encausto
ferma nella mia memoria nella quale
sento e sentirò fino alla morte
la sua voce.

B.C.G.

MIO PADRE
E.A. MARIO

è appena trascorso un secolo segnato da un'accelerazione vertiginosa di eventi, di mutamenti, greve di ideologie, di guerre, di tragedie, separato dal mondo di ieri dall'insanabile ferita della seconda guerra mondiale.
Tra i suoi primi cinquant'anni e quelli successivi si è creata una frattura talmente violenta da far credere a lungo impossibile ogni speranza di ricomposizione, specialmente nel campo del costume e, quindi, della cultura, della letteratura e dell' arte.
Gli scrittori formatisi tra la fine dell'800 e gli inizi del '900, appartenenti quindi alla letteratura dei primi cinquant'anni del secolo scorso, sembrano, talvolta, essere vissuti in uno spazio e in un tempo immani come quelli di una favola, tanto gli ideali estetici ed etici the ne guidavano il percorso sono lontani dal positivismo e dall'iperrazionalismo spesso disincantati delle successive correnti.
E mio Padre fu uno di quelli: Silvia Voltan, in un articolo pubblicato sul quotidiano napoletano "Corriere di Napoli" , in occasione della sua morte, cosi lo ricordo: "Adesso, Vate napoletano della Gloria e della Bellezza, sei partito anche Tu, in punta di piedi, lontano dal Tuo Golfo, incontro ai Fanti del Piave. Malinconia, malinconia perché tramonta in Te una stagione densa di eroismo romantico: quella che vide splendere sulle terre irredente il tricolore; che vide gli emigranti partire levando alla notte il canto piangente della nostalgia. Tramonto di Uomini e di Giorni. Ed e fatale che 1'uno all'altro si accompagni. Come potrebbe ancora un Poeta del passato trovare divina voce nell'ora degli orgogli insani, del materialismo cinico, dell' arida fretta? Dovunque oggi
è sete violenta di nuovi cieli e di lontane sponde. Poeta, sei partito in tempo. Te felice nel profondo Infinito ardente di stelle, dove e eterno il ricordo e sconosciuto l'errore! La tristezza a per noi. Per noi, superstiti spaesati di giorni caduti in oblio: emigranti rimasti all'ancora a sognare l'eterna Patria del Cielo1".
Tuttavia si assiste oggi ad una rivalutazione dei sentimenti e della tradizione relegati nel Campo del romanticismo manieristico dalla critica precedente e che vanno via via riacquistando il loro significato; ciò mi conforta, perché questo movimento può contribuire al recupero di un'epoca che la misteriosa alchimia di "credi non discutibili", la semplicità di vita che accomunava i giovani educati agli stessi principi di rispetto e di parsimonia - a qualsiasi classe sociale appartenessero - si traduceva in un'ispirazione di ideali etici ed estetici propri di una stagione, almeno per certi versi, definita "felice".
Ebbene, quell'epoca io l'ho vissuta e ne sono stata testimone fin da bambina: ho conosciuto poeti, musicisti, critici d'arte, personaggi di vasta cultura, e editori, cantanti e artisti che si riunivano in casa di mio Padre, in lunghe ed animatissime serate; la sala da pranzo dove erano l'autopiano e qualche poltrona, si trasformava in un piccolo cenacolo d'arte, dove si suonava, si cantava, si discuteva di argomenti vari e interessanti, mentre - nel profumo di un caffè tipicamente napoletano, preparato con la cuccuma di stagno, passavano le ore... così, serenamente.
Ho posto, come in un gioco, fin da bambina, le mani sulla tastiera di quell'autopiano, che, oltre ad essere un regolare pianoforte, era anche munito di un congegno a pedale che azionava dei rulli musicali e faceva muovere i tasti: mi ricordo l'emozione che provavo quando, sui tasti abbassati, ponevo i miei polpastrelli che mi davano l'impressione di essere io l'esecutrice di quei motivi che sentivo...
Dotata di un innato senso musicale, cominciai subito a suonare, trasportando da una tonalità all'altra, inconsciamente, tutte le musiche che sentivo, ed anche le voci dei venditori ambulanti, tra lo stupore dei maestri diplomati che frequentavano la nostra casa, perché io, senza conoscere nemmeno i nomi delle sette note musicali e la loro disposizione sulla tastiera, suonavo con speditezza, giostrando tra i tasti neri e i tasti bianchi contemporaneamente con tutte e due le mani, senza stonature, "ad orecchio".
Fu cosi che fin dall'infanzia divenni la intermediatrice di mio Padre, in quanto trasportavo sul pianoforte le musiche che egli componeva sul mandolino; mentre io suonavo, mi guardava attento e compiaciuto, pronto, però, a correggere direttamente con la sua voce intonata e con il suo indice destro il tasto che sbagliavo, perché estraneo alla linea melodica della musica che egli aveva appena composta. Nel tempo, iniziati gli studi pianistici, provai anche l'emozione di trascrivere su pentagramma le Sue composizioni.
Nel corso di tanti anni vissuti vicino a lui, come testimone e vigile continuatrice della sua opera, mi è stato spesso chiesto se, nei suoi momenti di creatività, delle canzoni nascessero prima i versi e poi le musiche o viceversa: posso affermare, senza tema di smentita, che Papa non preventivava niente, ne si sedeva davanti alla scrivania con l'intento di scrivere una canzone: ma quando l'estro cominciava suggerirgli qualcosa, il suo volto si trasformava e i suoi occhi assumevano uno sguardo più intenso. Con un moto impercettibile delle labbra, cominciava a sussurrare qualcosa che gli urgeva dentro (un verso? un motivo?); quando la creatività che lo stava coinvolgendo era prevalentemente musicale, se non aveva a portata di mano il mandolino, ricorreva subito ad un supporto strumentale naturale e intonatissimo, ma appena udibile: un fischio sommesso, emesso mentre socchiudeva gli occhi, modulando il motivo che gli frullava nella mente per essere certo che corrispondesse a quello che sentiva nella parte pia intima del suo animo d'artista.
I versi e le musiche, concepiti a volte in momenti diversi, venivano fusi in un solo discorso poetico quando apparivano destinati ad un nuovo e più compiuto messaggio. La sua creazione artistica non rispondeva, se non marginalmente, alle regole dell'arte poetica, perché il messaggio era, in un certo senso, un autonomo momento creativo che veniva alla luce.
Autodidatta per necessità economiche della sua famiglia d'origine, Papa fece sempre leva sulla sua volontà di conoscere, di capire, di studiare, di farsi una cultura solida su varie discipline; ma - al di sopra di tutti i suoi interessi - la musica fu quella che lo rese devoto discepolo: si abbonò ad un giornale settimanale della casa editrice Sonzogno di Milano per imparare da se, teoricamente, quest'arte, che spontaneamente gli parlava nel cuore, cosi meravigliosa ma tanto complessa. E su quelle pagine, aiutandosi con il mandolino, si rese conto della posizione delle note sul pentagramma, apprese la lettura corretta delle altezze dei suoni, il loro valore, il ritmo espresso dal tempo musicale, e poi, man mano, le complesse regole armoniche, per cui la sua competenza in materia destava sorpresa ed ammirazione nei pia bravi maestri di musica del tempo, valenti trascrittori delle sue canzoni, che accettavano, ammirati, i suggerimenti armonici che egli proponeva per rendere la struttura del "suo pezzo" più aderente, anche sul piano della orchestrazione, a come lo "sentiva dentro".
Comunque egli scriveva anche poesie da abbinare alle musiche di altri autori, o viceversa, e, infine, poesie destinate ad essere raccolte, come tali, in volumi.
Accadeva spesso, però, che alcune di queste poesie gia pubblicate, concepite sempre sotto l'impulso emotivo di stati d'animo, di circostanze particolari o di avvenimenti e fenomeni sociali di varia natura, come la tragedia della guerra e il problema prevalentemente economico dell'emigrazione, non escludendo il prismatico sentimento dell'amore, felice o disperato, assoluto, indomabile e infinitamente dolce al tempo stesso, fossero "ripescate" da lui e rilette: e - mentre le leggeva - sgorgavano dal suo animo - contemporaneamente - nuove musiche che coerentemente si fondevano con quei versi, conciliandosi come un messaggio ritrovato.
Questa modalità particolare si era gia verificata anni addietro con le poesie di Salvatore Di Giacomo, molte delle quali ebbero come musicisti straordinari ingegni, fra i quali menziono soltanto Mario Costa, Francesco Paolo Tosti, Francesco Buongiovanni, Enrico De Leva. Anche Papà musico diverse poesie di Di Giacomo, destinate, per questo felice connubio, a diventare canzoni, tratte da Ariette e sunette, e da Vierze nuove. Mi piace fra queste composizioni ricordare la poesia E s'annasconne che divento come canzone Mierolo affurtunato e il componimento Da 'o quarto piano che si chiamo Chella d"o quarto piano. Ricordo ancora Ammore abbasato, L'appuntamento, Angelica che prese il titolo di Canzone 'mbriaca, 'Na tavernella, che prese il titolo di
Maggio, Si dummeneca a bontiempo, che prese il titolo di Torna a Marechiaro.
Nell'anno 1989 pubblicai, per la casa Editrice Liguori un volume intitolato "E.A. Mario: leggenda e storia", la prima ed unica biografia di mio Padre, del quale scrisse la prefazione uno dei più valorosi giornalisti napoletani, che ancora oggi vivamente ringrazio: Max Vajro.
Vajro scriveva tra l'altro:
"Bisogna ammettere che la presenza di E.A. Mario nella vita di Napoli e nella sua storia culturale e determinante... Egli appartiene alla storia della poesia, ma anche a quella del costume: non a più soltanto la divina accidentalità dell'esistenza di un artista in un luogo e in un tempo, ma il segno di un'epoca... Ma la storia e la critica hanno bisogno di documenti... l'importante a che si ristampino i libri, si pubblichino le musiche, si facciano i dischi... ". Concludendo ancora Vajro scriveva: "Questo libro non a soltanto un atto d'amore, una lettura affascinante, un ritratto tenerissimo che una figlia intelligente, figlia d'arte, come suol dirsi, fa del geniale suo Padre; a il primo segno, quello che mancava; sprone per quella sistemazione critica che E.A. Mario aspetta e the finora non poteva avviarsi per la mancanza di dati biografici e bibliografici... ".
Ma purtroppo - dopo 15 anni - tutto questo non a avvenuto. Scomparsi i giornalisti e gli scrittori suoi contemporanei, fedeli dicitori di curiosità e di aneddoti vissuti direttamente, se sono state pubblicate antologie inerenti al tema nel secondo cinquantennio del secolo scorso, il cui autore i3 sinonimo di serietà professionale, esse citano E.A. Mario quasi marginalmente, con notizie confuse, con aneddoti falsati, con date storiche errate, che hanno generato una serie di equivoci, poiché spesso le notizie erano attinte al filone dei "mi pare" e dei "sentito dire", nell'affannosa ricerca dell'aneddoto spesso falsato, pur di provocare negli ascoltatori un ingiustificato e scioccamente ironico sorriso, cosi come accadeva con il gioco del "telefono senza in voga tra le scolaresche delle classi elementari dei miei tempi andati. Tutto ciò, ovviamente, a danno della personalità artistica e talvolta anche morale del Poeta, che a da tempo "nel profondo infinito di stelle, dove a eterno il ricordo e sconosciuto l'errore".
Sarebbe bastato che gli autori che hanno commesso queste "involontarie inesattezze", comunque indubbiamente lesive per "l'Assente", avessero usato un po' di prudenza e maggiore ricerca nelle biblioteche, o magari almeno nelle librerie, o addirittura si fossero informati rivolgendosi alle figlie del Poeta, ancora viventi e ben conosciute nella buona società napoletana, e tutto questo si sarebbe evitato.
Fortunatamente, alle meschinità suddette, durante quest'ultimo decennio si sono succedute tante celebrazioni, tra Napoli e Trieste, veramente esaltanti. Vorrei ricordare anche, pur se con tanta amarezza nel cuore, quelle di Nervesa della Battaglia, una località in provincia di Treviso, della quale dirò approfonditamente più avanti.
Sempre in quest'ultimo periodo, non essendo mai venuto meno in me il desiderio di fare qualcosa per porre in luce la personalità artistica e letteraria di Papà, ho ripreso a sfogliare la sua opera, prevalentemente quella poetica, lasciando da parte i tanti libri di prosa, anch'essi introvabili. Fra questi ultimi mi piace ricordare il volume intitolato All'insegna della Sirena, pubblicato nell'anno 1930 dall'editore Chiurazzi. Si tratta di un libro difficilissimo e interessantissimo, che gioverebbe agli studiosi di ortofonia e ortografia per pronunziare in maniera corretta le lingue e i dialetti, ovviamente in maniera specifica quello napoletano.
Mi piace, però, ricordare che gia nel 1911 mio Padre, appena ventisettenne, si interessava a fare ricerche sulle infinite possibilità di suono e di significato delle parole, tanto a vero che prese a tradurre i dialetti di diverse città d'Italia e prepara, in un collage divertentemente vario, quelle che chiama "Fraternity vernacole". E se i dialetti di tutta l'Italia finirono per non avere per lui alcun segreto, lo stesso accadde per il francese e per l'inglese, che egli voile studiare direttamente da testi che, senza distinzioni di origine, affollavano la sua libreria e che egli leggeva insaziabilmente, formando così la sua vasta cultura storica, letteraria, umanistica.
Le sue prime esperienze giovanili sono rappresentate da poemetti e poesie in lingua italiana, pubblicate, soprattutto le poesie, su riviste letterarie, nel periodo compreso tra il 1902 e il 1906. Qualche anno fa ho voluto sottoporre alcuni di questi lavori ad Antonio Portolano, che dirige la rivista "Civiltà dei licei" e presiede 1'Istituto di ricerca per la didattica testuale. Nell'aprile del 1995 ho avuto la piacevole sorpresa di leggere in un numero della rivista "Civiltà dei licei" un articolo a firma del direttore intitolato "E.A. Mario: una voce 'alta' della letteratura 'minore' del primo '900". Di questo articolo mi piace ricordare in particolare queste parole:
Quel che intendo mettere nel dovuto risalto a questo componimento2 con tutta la sua portata e incidenza sulla notorietà di E.A. Mario: a scritto in italiano, in un italiano aulico e corposo, in un italiano ricco lessicalmente e di buon spessore espressivo, in un italiano, insomma, che giustifica la mia impressione che, al di la dell'indubitabile e indiscusso merito che al Poeta va riconosciuto per la sua produzione vernacola, occorra aprire un dibattito sulla sua dimensione letteraria in lingua italiana... Non si sottacciono, naturalmente, certi passaggi che allo smaliziato lettore di oggi potrebbero apparire ingenuità giovanili o eccessi di devozione carducciana, ma nel primo caso va ricordato che l'autore giovane lo era, perché all'epoca della composizione aveva pia o meno vent'anni, e nel secondo caso va ricordato che il proposito non di imitazione ma di consonanza con alcune cifre stilistiche del grande Maremmano appare onestamente anche se solo implicitamente dichiarato... Ricorderei il distico dedicato alla schiera che S'arma a Valmy di bellica bandiera - e folgorando si congiunge a' 'l sole', nel quale un apparentemente dimesso gioco di suoni e luci disegna l'apoteosi dell'armata gloriosa, anche se stracciona, o, forse, gloriosa proprio perché stracciona, di Valmy. E richiamerei l'attenzione sul gioco abile e non superficiale dell'allitterazione della lettera "r" che nei versi 5/7 (guerriera, sacra, ardire, riveggo, fiera, Argonna, vigilar) e nei versi 8/10 (schiera, quarto, Arrigo, aspre, s'arma, bandiera) fa passare il soffio ruggente di un impeto e di uno slancio eroico ".
Contemporaneamente a queste ricerche ho cominciato a rileggere anche i libri di poesie dialettali, libri ormai introvabili, le cui edizioni si sono esaurite da moltissimi anni, per cui spesso - dalle copie fotostatiche in mio possesso3 sono costretta a fare copie di poesie che mi vengono richieste da attori, estimatori, studiosi4.
Come s'e gia accennato, nel 1998, con le mie sorelle Delia e Italia, decidemmo di donare libri, documenti editi e inediti, fascicoli di Piedigrotte e cimeli vari appunto alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Tra gli oggetti e i ricordi personali c'erano la Commenda conferita a mio Padre dal Re, i gemelli da polso che Umberto II inviò dall'esilio portoghese a Papà in occasione del suo 70° compleanno. Erano questi i pochi ricordi rimasti dopo che il 10 maggio del 1974 ignoti ladri erano entrati in casa mia e avevano asportato dalla bacheca che le conteneva tutte le medaglie di oro, le targhe d'argento di riconoscimenti artistici, oggetti che mio Padre aveva voluto che dopo la sua morte fossero conservati da me. E fu donato anche il mandolino sul quale erano nate tante canzoni in dialetto e in lingua, note e meno note, alcune di grande successo, cantate ancora oggi in tutto il mondo, create dalla genialità di questo sensibile cantore di Napoli e della Patria.
Debbo spender ancora qualche parola per ricordare il volume di Anna Maria Siena Chianese - giornalista e scrittrice -, nel quale si raccoglie il frutto di un accurato e paziente lavoro di ricerca, svolto selezionando ritagli di giornali, lettere, fotografie, poesie in lingua, e in dialetti vari, documenti, attestati di benemerenze, locandine di concerti, che erano stati raccolti in grossi album personalmente da Papà, che li aveva gelosamente conservati per oltre mezzo secolo. Attraverso questi documenti la Siena a riuscita a delineare cronologicamente e in maniera molto vivida l'itinerario artistico di questo poliedrico personaggio. Colgo l'occasione per ringraziare anche il prefatore del volume della Siena, Francesco Durante, giornalista e letterato che non ha bisogno certamente della mia presentazione. Francesco Durante cosi scrive: "E.A. Mario... un intellettuale che seppe aprirsi a fremiti e suggestioni più ampie di quelle che normalmente bastano alla tradizione piedigrottesca; ed essere al passo coi tempi della sperimentazione del dibattito; e intervenire nel vivo della discussione senza assumersi ruoli, quasi pregiudizialmente obbligati esclusivi per un poeta dialettale, da difensore della purezza e dell'integrità della tradizione". E più avanti, sempre nel contesto della prefazione gia ricordata, scrive ancora: "E.A.
Mario aveva capito una particolarissima specificità del dialetto napoletano, e cioè la sua capacità di vivere - unico tra i grandi dialetti di città - il proprio tempo, il proprio mondo dunque non riducibile a un puro esercizio di museificazione, di compiaciuta rarefazione. E proprio questo diverso passo, questa differente dinamica socio-linguistica che gli attuali e pia prestigiosi studiosi della poesia dialettale italiana sembrano non aver saputo cogliere, preferendo bearsi di scritture dialettali "estreme", di ripescaggi memoriali effettuati da periferiche e molto snobistiche assenze, piuttosto che misurarsi con la lingua non mummificata di chi comunque scriveva e scrive per un pubblico non professorale ".
Il volume di Anna Maria Siena Chianese rappresenta una valida testimonianza del recupero culturale di un periodo storico che non a circoscritto soltanto alla biografia di mio Padre, ma a anche, per ricordare ancora le parole di Max Vajro, "il segno di un'epoca" non troppo lontana dalla complessa realtà che stiamo vivendo ai giorni nostri. Ma, come scriveva ancora Vajro, "la storia e la critica hanno bisogno di documenti... l'importante a che si ristampino i libri... ". E proprio queste ultime parole mi ritornano spesso alla mente e da qualche tempo mi danno l'impressione quasi di un ammonimento... come se 1' autorevole prefatore volesse consigliarmi ed esortarmi a rifletterci su, a continuare a rileggere le sue opere, per invogliarmi a concretizzare, sia pure soltanto in parte, un mio desiderio che talvolta mi sembra quasi impossibile da realizzare. Mi chiedo sempre più spesso: perché non riuscire in qualche modo a ristampare questo materiale ormai introvabile? Sarebbe bello e gratificante per me fare una scelta di poesie da ogni libro, dalle riviste letterarie, in lingua e in dialetto, aggiungendo qualche novella e qualche dramma, di quelli che venivano pubblicati negli inserti piedigrotteschi, senza alterarne il significato, le epoche, come se fossero sussurrati dalla "voce" di mio Padre, quasi come un messaggio che si potesse ravvivare oltre la vita, per donare ai posteri qualche cosa che, anche quando "quella voce" non parlerà più anche solo attraverso il ricordo affettuoso delle figlie, possa consentire a tutti, leggendo quegli scritti, di sentirsi attratti e incuriositi, scoprendo orizzonti nascosti, velati dalla nebbia del tempo ed ora finalmente in qualche modo svelati.
C'e un'altra domanda che, specialmente le nuove generazioni, mi hanno spesso con semplicità rivolto: "Ma chi era E.A. Mario?" Per rispondere mi servo delle parole, ancora una volta, di Francesco Durante: "E.A.
Mario fu un intellettuale che seppe aprirsi a fremiti e a suggestioni pia ampie di quelle che normalmente bastano alla tradizione piedigrottesca... E.A. Mario voile uscire dal guscio dell'ortodossia napoletanistica... Basterebbero gli onori che perfino dal Re in udienza privata gli vennero tributati per la Leggenda del Piave". E mi servo ancora di parole altrui 5 per completare la risposta: "Sto parlando del poeta E.A. Mario, pseudonimo col quale ha raggiunto meritatissima Gloria nell'ambito della poesia e della poesia per musica napoletana e italiana lo scrittore Giovanni Gaeta... Nel caso di E.A. Mario, e non soltanto, ovviamente, nel suo, occorre distinguere fra un'attività di produzione poetica direttamente collegata alla musica, in simbiosi con la quale il testo poetico "si fa" e vive, e una attivita di espressione poetica, che pub confluire in un prodotto musicale ma pub anche conservare la propria autonomia creativa ed emozionale, talché i versi di una "canzone" possano leggersi e capirsi e gustarsi anche senza il relativo supporto melodico... Ma il passaggio all'aspetto specifico del problema che si intende mettere in luce a segnalato efficacemente dalla più nota delle composizioni di E.A. Mario, quella "Leggenda del Piave ", legata alle vicende della prima guerra mondiale, che tutti i cittadini italiani e moltissimi tra i cittadini dell'universo globo terracqueo hanno avuto certamente modo di ascoltare nella solennità del suo ritmo marziale e doloroso insieme, almeno una volta nella loro vita... A me rimane la soddisfazione di aver riletta per me e per i miei lettori una pagina pressoché ignota di poesia italiana, dovuta alla penna di un personaggio che comunque nella storia della cultura italiana, a buon diritto gia risiede ".
Nell'anno 2000 la casa editrice Il Mulino di Bologna, ha pubblicato nella collana "L'identità italiana" un saggio di Fortunato Minniti intitolato "Il Piave". Nel capitolo III, "Il Piave rinasce a Napoli" Minniti cosi parla di mio Padre: "La capacita di E.A. Mario di stare a ridosso degli eventi era straordinaria. Egli pensava e scriveva niente di diverso da quello che pensava, scriveva, diceva o semplicemente pensava, senza essere capace di esprimerlo, la maggioranza degli italiani. La sua vena poetica e musicale che era stata gia sperimentata in canzoni e testi ispirati alle vicende della guerra anche pia complessi, seppe trovare una misura giusta per richiamare nel modo pia semplice l'attenzione del maggior numero di persone, servendosi per meglio riuscire delle forme retoriche cui la gente era abituata, e con la quale si espresse, ad esempio, anche la celebrazione postbellica affidata a migliaia di monumenti di paese e di quartiere ".
Infatti Papa nel 1915 aveva gia scritto tre canzoni che vorrei menzionare. La prima è "Marcia 'e notte" , del 1915, premiata al concorso de la Cronaca Bizantina della Rivista Musicale "Tavola rotonda", edita da F. Bideri, di cui mi piace trascrivere alcuni versi:

Bella e 'a notte e nuje marciammo,
e 'a luna 'a coppa, ce fa cumpagnia...
Ce sta n 'addore attuorne 'e massaria,
e 'o core mio se sceta e vo' cantà...

Notte 'e maggio, aria serena...
E se va 'nguerra e 'o core nunn 'o ccrede
nun sape niente 'e chello ca succede,
sape ca maggio e maggio e vo' cantà...

Lle dico: Core mio, statte cujeto,
mo' nun so' tiempo, no, d "e 'sserenate:
tutte 'e surdate mo hanna fa 'e surdate,
pecche s'hadda cumbattere
p "a Patria e 'a liberta.

Al 1915 risalgono anche Canzone di trincea, in lingua, anch'essa molto nota per il ritornello, e Serenata all'Imperatore, scritta in risposta ad un articolo diffamatorio per gli italiani che andavano a combattere contro Francesco Giuseppe e che altri non erano, secondo questo articolo, se non "i mafiosi della Sicilia, i briganti delle Calabrie e i mandolinisti di Napoli".
Anche di questa canzone mi piace ricordare alcuni versi:

"Maista, venimmo a Vienna,
venimmo cu chitarre e manduline,
pecchè sunammo 'a penna,
pecche tenimmo 'e guappe concertine

...

E quanno 'e reggimente
fernesceno 'e cumbattere cu vuje,
Maista, cu sti strumente
a firma 'a pace ce venimmo nuje!

Gnorsi chesto tenimmo:
chitarre e manduline pe' canto,
ma quando ce mettimmo
'e cannune se sentono, Maista:

Ll'Italia trase a Trieste,
ce trase e hadda resta!

Si legga ancora quanto scrive Fortunato Minniti: "Il Piave, salvo smentita, era stato fino al 1918 assente nei testi di E.A. Mario, ma fu successivamente presente nella scoppiettante Tarantella di Versaglia del 1919 dove e simbolo di sacrifici sostenuti: "Nun se vence 'ncopp"o Piave, pe' da Fiume all'Iugoslave!" E in Soldato ignoto del 1921, rappresentato nel pieno delle sue ormai collaudate funzioni di baluardo: Il Piave era una diga - "file d'elmetti, siepi di fucili, - zappe e chitarre in riga". I soldati sapevano dunque usare i primi allo stesso modo che gli strumenti da lavoro e di svago e sapevano anche, a presumibile, quando usarli... Gli italiani, come a noto, non sono un popolo guerriero. E facile rilevare anche nelle canzoni di guerra dell'autore napoletano la totale assenza di spirito bellicoso. Anzi in esse a accentuatissima la vena malinconica di cui sono testimonianza un poemetto del 1917, intitolato "'A Morte", nel quale Dio intercedeva invano presso la morte perché smettesse di falciare vite umane: "Basta! dice 'o Signore, Morte, mo' basta, mo! Ma 'a Morte dice N000!" e la celebre Le rose rosse del 1919 dove ad ogni ritornello l'autore distoglie la vista dagli affetti cruenti della guerra: Ma le rose rosse no... non le voglio veder!... Con la Leggenda finalmente vennero messi insieme una favola - il fiume parlava – di immediata comprensibilità; la scansione del tempo sino ad allora ininterrotto della guerra - reso perciò misurabile -; un momento favorevole e promettente delle operazioni di guerra; infine l'attribuzione al Piave della funzione di limite dove l'ondata delle sventure finalmente si rovesciava ("si vide il Piave rigonfiar le sponde – e come i fanti combatterono l'onde ") per essere assorbita dalle sabbie ancora instabili delle singolari e ancor nuove virtù militari e civili degli italiani: sapere contrastare il nemico se e quando questi pretendeva di stabilirsi tra loro. Ha osservato Giuseppe Antonio Borgese che la canzone non parlava ne di conquiste ne di supremazia. La Leggenda scopriva invece e dichiarava che per gli italiani non adatti alla guerra di conquista il Piave rappresentava il luogo e l'occasione di una guerra adatta a loro, quella degli aggrediti".
Sergio Romano, in un articolo pubblicato sul Corriere della Sera, del 16 dicembre del 2000, poi ripubblicato nel volume "I volti della storia" , scrive a proposito del saggio di Minniti: "La generazione di mio padre avrebbe trovato nel libro di Minniti la conferma dei suoi ricordi e dei suoi sentimenti. La mia generazione crebbe mormorando nelle cerimonie nazionali le parole della canzone di Mario. Le generazioni successive hanno dimenticato il Piave e l'importanza che esso ebbe per la storia italiana. Minniti si chiede, alla fine del suo libro, perché il sentimento nazionale sia stato sequestrato dal fascismo. Io mi chiedo piuttosto perché una larga parte della cultura italiana abbia preferito raccontare della Grande Guerra soltanto le sofferenze dei fanti, la brutalità degli ufficiali, gli errori dei comandi, le decimazioni, le diserzioni, gli scioperi. In molti libri e manuali scolastici vi sono insistenti descrizioni di Caporetto, ma accenni brevi, distratti e sommari alle tre battaglie del Piave. Fortunato Minniti le restituisce agli italiani."
La capacità di mio Padre di stare "a ridosso degli eventi", si e sempre evidenziata per circostanze particolari o avvenimenti e fenomeni sociali di varia natura, come la tragedia della guerra e poi il dramma dell'emigrazione, che, come l'altro, gli ispiro numerose poesie e canzoni. Queste, a livello embrionale, erano state concepite fin dalla sua adolescenza, quando, poco pia che quindicenne, aveva preso 1'abitudine di fare delle lunghe passeggiate per Napoli, recandosi spesso al Borgo Marinaro e a Santa Lucia, a fantasticare tra la visione del Vesuvio fumante, del Monte Echia, del Castel dell'Ovo, ed a parlare con i pescatori; soffermandosi tra le barche, le lenze, le lanterne, le lampare, le ceste, le reti, i gozzi, tutto in quel piccolo tratto di mare... E poi arrivava sino al Porto, dedicato alla Madonna Immacolata, una zona ribattezzata dal popolo "Immacolatella". E la, come raccontava poi in famiglia, sostava parecchio tempo, guardando quei bastimenti ancorati, pronti a salpare verso gli oceani, recando a bordo, oltre alle mercanzie, speranze, lacrime e tragedie umane di quegli emigranti che, per volere di un avverso destino, andavano verso l'ignoto, invocando "'a bella 'mbriana" - come essi chiamavano la fortuna - che li accogliesse, dopo lo sbarco in terra straniera.
Spinto da un istintivo senso di pietà, egli spesso si avvicinava a questi gruppi di gente spaesata, seduti su fatiscenti bagagli, e cercava di rincuorarli, ascoltando le loro storie che spontaneamente gli raccontavano, in attesa di salire a bordo. La drammaticità di questo esodo scosse gli animi di parecchi canzonieri del primo Novecento, e, ovviamente, Papà fu tra loro. Su questa tematica, che sfocio in un vero e proprio genere letterario, furono composte molte canzoni e poesie piene di sentimento. La memoria delle infinite storie abbozzate negli incontri che aveva avuto con tanti emigranti sfociò nel 1919, poco dopo la tragedia della guerra, in una canzone struggente di malinconia, nobilmente espressiva, dove i versi si fondono mirabilmente con la musica, come del resto accadeva nella grandissima maggioranza delle sue canzoni, creando un simbolo indissolubile di speranza e di nostalgia, dove la vicenda dell'emigrazione appare ineluttabilmente legata alla praticità del destino dell'uomo:
Santa Lucia luntana.
Per un atto di generosità che ha dell'incredibile, nel 1922, dovendo raggiungere New York per motivi di lavoro, per aiutare quattro artisti senza mezzi, in cerca di fortuna, Papa acquisto per tutti, compresi lui e la moglie, i biglietti di terza classe, vivendo in tal modo la sua esperienza di emigrante fra gli emigranti. Questa circostanza imprevista stimolo il suo estro sentimentale di osservatore acuto e partecipe, che egli subito tradusse in versi e musica per una bellissima canzone dal titolo "Cantano ll'emigrante".
Ho gia in precedenza accennato al furto perpetrato da ignoti ladri in casa mia il 10 maggio 1974. Ovviamente gli oggetti asportati, per quanto la polizia indagasse, non furono più ritrovati. Purtroppo, dal 1991 in poi, un analogo scempio si comincio a verificare anche nei confronti del monumento funebre che il Comune di Napoli, nel 1964, aveva eretto a mio Padre nel "Recinto degli uomini illustri", sito nel monumentale Cimitero di Poggioreale, in Napoli. Nel novembre del 1996 dovemmo con autentica disperazione constatare che anche il busto di bronzo che sovrastava il monumento era scomparso. Quel busto, opera pregevole dello scultore Pasquale Monaco, era un simbolo di vitalità oltre la morte del nostro amato Congiunto. Nel 1966 il Comune di Napoli dal calco di gesso (in quel periodo in nostro possesso e successivamente trafugato) aveva ricavato una copia in bronzo che aveva donato at Presidente dell'associazione "Ragazzi del '99" che stava organizzando una serie di festeggiamenti a Santa Croce del Montello, una frazione di Nervesa della Battaglia, sulle rive del Piave, in onore dei Caduti di quello storico evento, dove era precipitato con it suo apparecchio anche Francesco Baracca. In quella occasione sarebbe stata intitolata una scuola ad E.A. Mario e nell'edificio sarebbe stato anche allestito un museo con cimeli e ricordi di vario genere. Perciò, nella triste circostanza del furto del busto di bronzo che si trovava at Cimitero di Napoli, mi rivolsi al Sindaco di Nervesa, Ilario Barro, pregandolo di far ricavare un calco di gesso da quel busto, ovviamente a spese mie e delle mie sorelle, qualora non si fosse provveduto da parte del Comune di Napoli, per potere poi far riprodurre in una fonderia locale una nuova copia in bronzo. Ed invece il Sindaco informo il Sindaco di Napoli Bassolino che sarebbe stato donato alle figlie del Poeta o at Comune di Napoli il busto in bronzo a spese del Comune di Nervesa e che egli stesso sarebbe stato presente a Napoli nel giorno del ripristino del Monumento. E così fu.
Nella città di Trieste dal maggio 1999 at novembre del 2002, per onorare la memoria di mio Padre, furono organizzate tre prestigiose manifestazioni dall'Associazione culturale "Amici del Caffè Gambrinus" a cura del presidente Generale Giovanni Esposito.
La prima manifestazione intitolata: "E.A. Mario e il suo tempo - Canzoni sulle due sponde del Piave" con convegni storici, mostre, conferenze stampe, cartoline celebrative con annullo postale speciale e un concerto finale nel Palazzo delle Poste.
La seconda manifestazione si svolse at Largo Piave il 6 aprile del 2001 con l'apposizione di una targa in occasione del quarantesimo anniversario della morte del Poeta.
A convalida di quanto sopra, mie grato poter concludere questo profilo di mio Padre con un biglietto inviatomi dall'Onorevole Roberto Menia, in risposta ad una mia lettera di ringraziamento in occasione dell'ultima manifestazione del 3 Novembre 2002, curata dall'Associazione culturale "Amici del Caffè Gambrinus", in ricordo di E.A. Mario.
Ed e per me doveroso, con legittimo orgoglio, segnalare alcuni nominativi di quanti, con sentimento unanime, vollero ricordare mio Padre: il Prof. Roberto Damiani, S.E. Elio Pasquariello, il Dott. Michele Losito, il Dott. Riccardo Riccio, il compianto e carissimo Dott. Giovanni Volpe che servi lo Stato e Trieste con altissimo senso del dovere, il Prof. Fabio Suadi e tutte le altre personalità non menzionate scusandomi per l'involontaria omissione.
Voglio anche segnalare che queste celebrazioni, proposte sempre dalla prestigiosa Associazione culturale "Amici del Caffè Gambrinus", ebbero tutte viva corrispondenza e approvazione dal Comune della Città di Trieste nonostante il cambiamento politico delle vane amministrazioni.
Tempo fa mi ero proposta la pubblicazione in un'antologia del "Meglio" di mio padre, ma ciò è stato decisamente avversato dall'editore Rodolfo Rubino, titolare dell'Istituto Grafico Editoriale Italiano, il quale dopo un lungo pomeriggio di fine gennaio 2004, passato a casa mia tra ricordi, letture e valutazioni critiche, affinché E.A. Mario, attraverso la ristampa dei suoi libri potesse ottenere, cosi come auspicava Max Vajro, quella dovuta "sistemazione critica", ha espresso il desiderio di riprodurre integralmente le opere pia significative dell'autore de "La leggenda del Piave".
Questo coraggioso editore, che ha dato una svolta e una decisa rivalutazione alla storia letteraria napoletana con le collane editoriali "Cunte napulitane" e "Collana popolare napoletana", quest'ultima diretta dall'ottimo Renato de Falco, nonche alla ristampa del "Dizionario napoletano-italiano" di Raffaele Andreoli, ha voluto abbinare it ricordo di "Mio padre" con "All'insegna della Sirena", quasi del tutto sconosciuto ai poeti e agli addetti ai lavori, con cui torna a vivere E.A. Mario e ha inizio un nuovo felice periodo della mia non pia giovane esistenza.

BRUNA CATALANO GAETA

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1
Napoli, 28 giugno 1961.
2 Si tratta dei Sonetti a Loubet, dell'anno 1904.
3 Gli originali di tutte le composizioni di mio Padre sono stati donati nel 1998 alla Biblioteca Nazionale di Napoli.
4 Uno soltanto dei tanti volumi di composizioni napoletane di mio Padre e stato ristampato nel 1997 per i tipi della Casa Editrice Adriano Gallina. Si trattava del volume intitolato Cerase che venne allegato al volume di Anna Maria Siena Chianese intitolato E.A. Mario: un diario inedito. Cinquant'anni di storia italiana. Questo importante volume vide la luce sempre a cura della Casa Editrice Adriano Gallina nel 1998, quando la Biblioteca Nazionale di Napoli intitolò una Sala della Sezione "Lucchesi Palli" a mio Padre.
5 A. Portolano, art. cit., in Civiltà dei licei, 1995.


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