E.A. MARIO
(Giovanni Gaeta)
Napoli, 5 maggio 1884 - 24 giugno 1961
E stato il fenomeno della letteratura napoletana di tutti i
tempi, un fatto unico ed irripetibile. Sprizzo poesia e musica, come suol dirsi,
da tutti i pori: si riallacciava a Velardiniello ed agli altri mitici cantori di
Napoli, era vicino a Salvator Rosa, fu come un antico aedo nell'opera costante
sua di ispirato autore di versi e musiche.
Dotato di vastissima cultura (era un autodidatta), ha scritto centinaia di
canzoni (forse duemila!), articoli polemici, poemetti, decine di libri di
poesie, fin da quel 1904 in cui impiegatuccio alle Poste - conobbe il maestro
Raffaello Segrè e gli diede una canzone, subito divenuta notissima:
Notizie biografiche da ETTORE DE MURA -
POETI NAPOLETANI DAL SEICENTO AD OGGI - MAROTTA EDITORE - NAPOLI, 1977
ATTO 'E NASCITA
Chi 'o vvò sapè, 'o ssapesse: i'
songo nato
ll' anno milleottucientuttantaquatto,
'e cinche 'e maggio, 'o juorno dopp"o sfratto 1.
E percio campo sempe spatriato...
Dinto a na casa nun ce so'
restato
maje chiù 'e duje anne; e si accussi so' fatto
nun truvarraggio 'o stesso pizzo adatto
quanno sarraggio muorto e sutterrato.
Ma, pe' fa' ll'atto 'e nascita
cumpleto,
aggi' 'a di' chiaro e tunno a tutte quante:
"So' nato a' Vecaria 2, nun gia a Tuleto.
E pe' mme fa'... no chiù 'e duje
genitore:
na mamma troppo semplice e gnurante:
nu pate troppo onesto e buono 'e core..."
E.A. MARIO
1 Sfratto: lo sgombero. Il 4 maggio pei napoletani
corrisponde al San Michele dei milanesi.
Le persone care ed amate sono,
come scrive Plutarco, trattenute nella mente
come una pittura ad encausto...
E per me il ricordo di mio Padre
e come una pittura ad encausto
ferma nella mia memoria nella quale
sento e sentirò fino alla morte
la sua voce.
B.C.G.
MIO PADRE
E.A. MARIO
è
appena trascorso un secolo segnato da un'accelerazione vertiginosa di
eventi, di mutamenti, greve di ideologie, di guerre, di tragedie, separato dal
mondo di ieri dall'insanabile ferita della seconda guerra mondiale.
Tra i suoi primi cinquant'anni e quelli successivi si è creata una frattura
talmente violenta da far credere a lungo impossibile ogni speranza di
ricomposizione, specialmente nel campo del costume e, quindi, della cultura,
della letteratura e dell' arte.
Gli scrittori formatisi tra la fine dell'800 e gli inizi del '900, appartenenti
quindi alla letteratura dei primi cinquant'anni del secolo scorso, sembrano,
talvolta, essere vissuti in uno spazio e in un tempo immani come quelli di una
favola, tanto gli ideali estetici ed etici the ne guidavano il percorso sono
lontani dal positivismo e dall'iperrazionalismo spesso disincantati delle
successive correnti.
E mio Padre fu uno di quelli: Silvia Voltan, in un articolo pubblicato sul
quotidiano napoletano "Corriere di Napoli" , in occasione della sua
morte, cosi lo ricordo: "Adesso, Vate napoletano della Gloria e della Bellezza,
sei partito anche Tu, in punta di piedi, lontano dal Tuo Golfo, incontro ai
Fanti del Piave. Malinconia, malinconia perché tramonta in Te una stagione densa
di eroismo romantico: quella che vide splendere sulle terre irredente il
tricolore; che vide gli emigranti partire levando alla notte il canto piangente
della nostalgia. Tramonto di Uomini e di Giorni. Ed
e fatale che 1'uno all'altro si
accompagni. Come potrebbe ancora un Poeta del passato trovare divina voce
nell'ora degli orgogli insani, del materialismo cinico, dell' arida fretta?
Dovunque oggi
è sete violenta di
nuovi cieli e di lontane sponde. Poeta, sei partito in tempo. Te felice nel
profondo Infinito ardente di stelle, dove e
eterno il ricordo e sconosciuto l'errore! La tristezza
a per noi. Per noi, superstiti spaesati di
giorni caduti in oblio: emigranti rimasti all'ancora a sognare l'eterna Patria
del Cielo1".
Tuttavia si assiste oggi ad una rivalutazione dei sentimenti e della tradizione
relegati nel Campo del romanticismo manieristico dalla critica precedente e che
vanno via via riacquistando il loro significato; ciò mi conforta, perché questo
movimento può contribuire al recupero di un'epoca che la misteriosa alchimia di
"credi non discutibili", la semplicità di vita che accomunava i giovani educati
agli stessi principi di rispetto e di parsimonia - a qualsiasi classe sociale
appartenessero - si traduceva in un'ispirazione di ideali etici ed estetici
propri di una stagione, almeno per certi versi, definita "felice".
Ebbene, quell'epoca io l'ho vissuta e ne sono stata testimone fin da bambina: ho
conosciuto poeti, musicisti, critici d'arte, personaggi di vasta cultura, e
editori, cantanti e artisti che si riunivano in casa di mio Padre, in lunghe ed
animatissime serate; la sala da pranzo dove erano l'autopiano e qualche poltrona,
si trasformava in un piccolo cenacolo d'arte, dove si suonava, si cantava, si
discuteva di argomenti vari e interessanti, mentre - nel profumo di un caffè
tipicamente napoletano, preparato con la cuccuma di stagno, passavano le ore...
così, serenamente.
Ho posto, come in un gioco, fin da bambina, le mani sulla tastiera di
quell'autopiano, che, oltre ad essere un regolare pianoforte, era anche munito
di un congegno a pedale che azionava dei rulli musicali e faceva muovere i
tasti: mi ricordo l'emozione che provavo quando, sui tasti abbassati, ponevo i
miei polpastrelli che mi davano l'impressione di essere io l'esecutrice di quei
motivi che sentivo...
Dotata di un innato senso musicale, cominciai subito a suonare, trasportando da
una tonalità all'altra, inconsciamente, tutte le musiche che sentivo, ed anche
le voci dei venditori ambulanti, tra lo stupore dei maestri diplomati che
frequentavano la nostra casa, perché io, senza conoscere nemmeno i nomi delle
sette note musicali e la loro disposizione sulla tastiera, suonavo con
speditezza, giostrando tra i tasti neri e i tasti bianchi contemporaneamente con
tutte e due le mani, senza stonature, "ad orecchio".
Fu cosi che fin dall'infanzia divenni la intermediatrice di mio Padre, in quanto
trasportavo sul pianoforte le musiche che egli componeva sul mandolino; mentre
io suonavo, mi guardava attento e compiaciuto, pronto, però, a correggere
direttamente con la sua voce intonata e con il suo indice destro il tasto che
sbagliavo, perché estraneo alla linea melodica della musica che egli aveva
appena composta. Nel tempo, iniziati gli studi pianistici, provai anche
l'emozione di trascrivere su pentagramma le Sue composizioni.
Nel corso di tanti anni vissuti vicino a lui, come testimone e vigile
continuatrice della sua opera, mi è stato spesso chiesto se, nei suoi momenti di
creatività, delle canzoni nascessero prima i versi e poi le musiche o viceversa:
posso affermare, senza tema di smentita, che Papa non preventivava niente, ne si
sedeva davanti alla scrivania con l'intento di scrivere una canzone: ma quando
l'estro cominciava suggerirgli qualcosa, il suo volto si trasformava e i suoi
occhi assumevano uno sguardo più intenso. Con un moto impercettibile delle
labbra, cominciava a sussurrare qualcosa che gli urgeva dentro (un verso? un
motivo?); quando la creatività che lo stava coinvolgendo era prevalentemente
musicale, se non aveva a portata di mano il mandolino, ricorreva subito ad un
supporto strumentale naturale e intonatissimo, ma appena udibile: un fischio
sommesso, emesso mentre socchiudeva gli occhi, modulando il motivo che gli
frullava nella mente per essere certo che corrispondesse a quello che sentiva
nella parte pia intima del suo animo d'artista.
I versi e le musiche, concepiti a volte in momenti diversi, venivano fusi in un
solo discorso poetico quando apparivano destinati ad un nuovo e più compiuto
messaggio. La sua creazione artistica non rispondeva, se non marginalmente, alle
regole dell'arte poetica, perché il messaggio era, in un certo senso, un
autonomo momento creativo che veniva alla luce.
Autodidatta per necessità economiche della sua famiglia d'origine, Papa fece
sempre leva sulla sua volontà di conoscere, di capire, di studiare, di farsi una
cultura solida su varie discipline; ma - al di sopra di tutti i suoi interessi -
la musica fu quella che lo rese devoto discepolo: si abbonò ad un giornale
settimanale della casa editrice Sonzogno di Milano per imparare da se,
teoricamente, quest'arte, che spontaneamente gli parlava nel cuore, cosi
meravigliosa ma tanto complessa. E su quelle pagine, aiutandosi con il
mandolino, si rese conto della posizione delle note sul pentagramma, apprese la
lettura corretta delle altezze dei suoni, il loro valore, il ritmo espresso dal
tempo musicale, e poi, man mano, le complesse regole armoniche, per cui la sua
competenza in materia destava sorpresa ed ammirazione nei pia bravi maestri di
musica del tempo, valenti trascrittori delle sue canzoni, che accettavano,
ammirati, i suggerimenti armonici che egli proponeva per rendere la struttura
del "suo pezzo" più aderente, anche sul piano della orchestrazione, a come lo
"sentiva dentro".
Comunque egli scriveva anche poesie da abbinare alle musiche di altri autori, o
viceversa, e, infine, poesie destinate ad essere raccolte, come tali, in volumi.
Accadeva spesso, però, che alcune di queste poesie gia pubblicate, concepite
sempre sotto l'impulso emotivo di stati d'animo, di circostanze particolari o di
avvenimenti e fenomeni sociali di varia natura, come la tragedia della guerra e
il problema prevalentemente economico dell'emigrazione, non escludendo il
prismatico sentimento dell'amore, felice o disperato, assoluto, indomabile e
infinitamente dolce al tempo stesso, fossero "ripescate" da lui e rilette: e -
mentre le leggeva - sgorgavano dal suo animo - contemporaneamente - nuove
musiche che coerentemente si fondevano con quei versi, conciliandosi come un
messaggio ritrovato.
Questa modalità particolare si era gia verificata anni addietro con le poesie di
Salvatore Di Giacomo, molte delle quali ebbero come musicisti straordinari
ingegni, fra i quali menziono soltanto Mario Costa, Francesco Paolo Tosti,
Francesco Buongiovanni, Enrico De Leva. Anche Papà musico diverse poesie di Di
Giacomo, destinate, per questo felice connubio, a diventare canzoni, tratte da
Ariette e sunette, e da Vierze nuove. Mi piace fra queste
composizioni ricordare la poesia E s'annasconne che divento come canzone
Mierolo affurtunato e il componimento Da 'o quarto piano che si
chiamo Chella d"o quarto piano. Ricordo ancora Ammore abbasato,
L'appuntamento, Angelica che prese il titolo di Canzone 'mbriaca, 'Na
tavernella, che prese il titolo di
Maggio, Si dummeneca a
bontiempo,
che prese il titolo di Torna a Marechiaro.
Nell'anno 1989 pubblicai, per la casa
Editrice Liguori un volume intitolato "E.A. Mario: leggenda e storia", la
prima ed unica biografia di mio Padre, del quale scrisse la prefazione uno dei
più valorosi giornalisti napoletani, che ancora oggi vivamente ringrazio: Max
Vajro.
Vajro scriveva tra l'altro: "Bisogna
ammettere che la presenza di E.A. Mario nella vita di Napoli e nella sua storia
culturale e determinante... Egli appartiene alla storia della poesia, ma anche a
quella del costume: non a più soltanto la divina accidentalità dell'esistenza di
un artista in un luogo e in un tempo, ma il segno di un'epoca... Ma la storia e
la critica hanno bisogno di documenti... l'importante a che si ristampino i
libri, si pubblichino le musiche, si facciano i dischi... ".
Concludendo ancora Vajro scriveva:
"Questo libro non a soltanto un atto d'amore, una
lettura affascinante, un ritratto tenerissimo che una figlia intelligente,
figlia d'arte, come suol dirsi, fa del geniale suo Padre; a il primo segno,
quello che mancava; sprone per quella sistemazione critica che E.A. Mario
aspetta e the finora non poteva avviarsi per la mancanza di dati biografici e
bibliografici... ".
Ma purtroppo - dopo 15 anni - tutto
questo non a avvenuto. Scomparsi i giornalisti e gli scrittori suoi
contemporanei, fedeli dicitori di curiosità e di aneddoti vissuti direttamente,
se sono state pubblicate antologie inerenti al tema nel secondo cinquantennio
del secolo scorso, il cui autore i3 sinonimo di serietà professionale, esse
citano E.A. Mario quasi marginalmente, con notizie confuse, con aneddoti
falsati, con date storiche errate, che hanno generato una serie di equivoci,
poiché spesso le notizie erano attinte al filone dei "mi pare" e dei "sentito
dire", nell'affannosa ricerca dell'aneddoto spesso falsato, pur di provocare
negli ascoltatori un ingiustificato e scioccamente ironico sorriso, cosi come
accadeva con il gioco del "telefono senza in voga tra le scolaresche delle
classi elementari dei miei tempi andati. Tutto ciò, ovviamente, a danno della
personalità artistica e talvolta anche morale del Poeta, che a da tempo "nel
profondo infinito di stelle, dove a eterno il ricordo e sconosciuto l'errore".
Sarebbe bastato che gli autori che hanno commesso queste "involontarie
inesattezze", comunque indubbiamente lesive per "l'Assente", avessero usato un
po' di prudenza e maggiore ricerca nelle biblioteche, o magari almeno nelle
librerie, o addirittura si fossero informati rivolgendosi alle figlie del Poeta,
ancora viventi e ben conosciute nella buona società napoletana, e tutto questo
si sarebbe evitato.
Fortunatamente, alle meschinità suddette, durante quest'ultimo decennio si sono
succedute tante celebrazioni, tra Napoli e Trieste, veramente esaltanti. Vorrei
ricordare anche, pur se con tanta amarezza nel cuore, quelle di Nervesa della
Battaglia, una località in provincia di Treviso, della quale dirò
approfonditamente più avanti.
Sempre in quest'ultimo periodo, non essendo mai venuto meno in me il desiderio
di fare qualcosa per porre in luce la personalità artistica e letteraria di
Papà, ho ripreso a sfogliare la sua opera, prevalentemente quella poetica,
lasciando da parte i tanti libri di prosa, anch'essi introvabili. Fra questi
ultimi mi piace ricordare il volume intitolato All'insegna della Sirena,
pubblicato nell'anno 1930 dall'editore Chiurazzi. Si tratta di un libro
difficilissimo e interessantissimo, che gioverebbe agli studiosi di ortofonia e
ortografia per pronunziare in maniera corretta le lingue e i dialetti,
ovviamente in maniera specifica quello napoletano.
Mi piace, però, ricordare che gia nel 1911 mio Padre, appena ventisettenne, si
interessava a fare ricerche sulle infinite possibilità di suono e di significato
delle parole, tanto a vero che prese a tradurre i dialetti di diverse città
d'Italia e prepara, in un collage divertentemente vario, quelle che chiama "Fraternity
vernacole". E se i dialetti di tutta l'Italia finirono per non avere per lui
alcun segreto, lo stesso accadde per il francese e per l'inglese, che egli voile
studiare direttamente da testi che, senza distinzioni di origine, affollavano la
sua libreria e che egli leggeva insaziabilmente, formando così la sua vasta
cultura storica, letteraria, umanistica.
Le sue prime esperienze giovanili sono rappresentate da poemetti e poesie in
lingua italiana, pubblicate, soprattutto le poesie, su riviste letterarie, nel
periodo compreso tra il 1902 e il 1906. Qualche anno fa ho voluto sottoporre
alcuni di questi lavori ad Antonio Portolano, che dirige la rivista "Civiltà
dei licei" e presiede 1'Istituto di ricerca per la didattica testuale.
Nell'aprile del 1995 ho avuto la piacevole sorpresa di leggere in un numero
della rivista "Civiltà dei licei" un articolo a firma del direttore
intitolato "E.A. Mario: una voce 'alta' della letteratura 'minore' del primo
'900". Di questo articolo mi piace ricordare in particolare queste parole:
Quel che intendo mettere nel dovuto
risalto a questo componimento2 con tutta la sua portata e incidenza
sulla notorietà di E.A. Mario: a scritto in italiano, in un italiano aulico e
corposo, in un italiano ricco lessicalmente e di buon spessore espressivo, in un
italiano, insomma, che giustifica la mia impressione che, al di la
dell'indubitabile e indiscusso merito che al Poeta va riconosciuto per la sua
produzione vernacola, occorra aprire un dibattito sulla sua dimensione
letteraria in lingua italiana... Non si sottacciono, naturalmente, certi
passaggi che allo smaliziato lettore di oggi potrebbero apparire ingenuità
giovanili o eccessi di devozione carducciana, ma nel primo caso va ricordato che
l'autore giovane lo era, perché all'epoca della composizione aveva pia o meno
vent'anni, e nel secondo caso va ricordato che il proposito non di imitazione ma
di consonanza con alcune cifre stilistiche del grande Maremmano appare
onestamente anche se solo implicitamente dichiarato... Ricorderei il distico
dedicato alla schiera che S'arma a Valmy
di bellica bandiera - e folgorando si congiunge a' 'l sole',
nel quale un apparentemente dimesso gioco di suoni
e luci disegna l'apoteosi dell'armata gloriosa, anche se stracciona, o, forse,
gloriosa proprio perché stracciona, di Valmy. E richiamerei l'attenzione sul
gioco abile e non superficiale dell'allitterazione della lettera "r" che nei
versi 5/7 (guerriera, sacra, ardire, riveggo, fiera, Argonna, vigilar) e nei
versi 8/10 (schiera, quarto, Arrigo, aspre, s'arma, bandiera) fa passare il
soffio ruggente di un impeto e di uno
slancio eroico ".
Contemporaneamente a queste ricerche ho
cominciato a rileggere anche i libri di poesie dialettali, libri ormai
introvabili, le cui edizioni si sono esaurite da moltissimi anni, per cui spesso
- dalle copie fotostatiche in mio possesso3 sono costretta a fare
copie di poesie che mi vengono richieste da attori, estimatori, studiosi4.
Come s'e gia accennato, nel 1998, con le mie sorelle Delia e Italia,
decidemmo di donare libri, documenti editi e inediti, fascicoli di Piedigrotte e
cimeli vari appunto alla Biblioteca Nazionale di Napoli. Tra gli oggetti e i
ricordi personali c'erano la Commenda conferita a mio Padre dal Re, i gemelli da
polso che Umberto II inviò dall'esilio portoghese a Papà in occasione del suo
70° compleanno. Erano questi i pochi ricordi rimasti dopo che il 10 maggio del
1974 ignoti ladri erano entrati in casa mia e avevano asportato dalla bacheca
che le conteneva tutte le medaglie di oro, le targhe d'argento di riconoscimenti
artistici, oggetti che mio Padre aveva voluto che dopo la sua morte fossero
conservati da me. E fu donato anche il mandolino sul quale erano nate tante
canzoni in dialetto e in lingua, note e meno note, alcune di grande successo,
cantate ancora oggi in tutto il mondo, create dalla genialità di questo
sensibile cantore di Napoli e della Patria.
Debbo spender ancora qualche parola per ricordare il volume di Anna Maria Siena
Chianese - giornalista e scrittrice -, nel quale si raccoglie il frutto di un
accurato e paziente lavoro di ricerca, svolto selezionando ritagli di giornali,
lettere, fotografie, poesie in lingua, e in dialetti vari, documenti, attestati
di benemerenze, locandine di concerti, che erano stati raccolti in grossi album
personalmente da Papà, che li aveva gelosamente conservati per oltre mezzo
secolo. Attraverso questi documenti la Siena a riuscita a delineare
cronologicamente e in maniera molto vivida l'itinerario artistico di questo
poliedrico personaggio. Colgo l'occasione per ringraziare anche il prefatore del
volume della Siena, Francesco Durante, giornalista e letterato che non ha
bisogno certamente della mia presentazione. Francesco Durante cosi scrive: "E.A.
Mario... un intellettuale che seppe aprirsi a fremiti e suggestioni più ampie
di quelle che normalmente bastano alla tradizione piedigrottesca; ed essere al
passo coi tempi della sperimentazione del dibattito; e intervenire nel vivo
della discussione senza assumersi ruoli, quasi pregiudizialmente obbligati
esclusivi per un poeta dialettale, da difensore della purezza e dell'integrità
della tradizione". E più avanti, sempre nel contesto della prefazione gia
ricordata, scrive ancora: "E.A. Mario
aveva capito una particolarissima specificità del dialetto napoletano, e cioè la
sua capacità di vivere - unico tra i grandi dialetti di città - il proprio
tempo, il proprio mondo dunque non riducibile a un puro esercizio di
museificazione, di compiaciuta rarefazione.
E
proprio questo diverso passo, questa differente dinamica socio-linguistica che
gli attuali e pia
prestigiosi studiosi della poesia dialettale
italiana sembrano non aver saputo cogliere, preferendo bearsi di scritture
dialettali "estreme", di ripescaggi memoriali effettuati da periferiche e molto
snobistiche assenze, piuttosto che misurarsi con la lingua non mummificata di
chi comunque scriveva e scrive per un pubblico non professorale ".
Il volume di Anna Maria Siena Chianese
rappresenta una valida testimonianza del recupero culturale di un periodo
storico che non a circoscritto soltanto alla biografia di mio Padre, ma a anche,
per ricordare ancora le parole di Max Vajro, "il segno di un'epoca" non
troppo lontana dalla complessa realtà che stiamo vivendo ai giorni nostri. Ma,
come scriveva ancora Vajro, "la storia e
la critica hanno bisogno di documenti... l'importante
a che
si ristampino i libri... ". E proprio
queste ultime parole mi ritornano spesso alla mente e da qualche tempo mi danno
l'impressione quasi di un ammonimento... come se 1' autorevole prefatore volesse
consigliarmi ed esortarmi a rifletterci su, a continuare a rileggere le sue
opere, per invogliarmi a concretizzare, sia pure soltanto in parte, un mio
desiderio che talvolta mi sembra quasi impossibile da realizzare. Mi chiedo
sempre più spesso: perché non riuscire in qualche modo a ristampare questo
materiale ormai introvabile? Sarebbe bello e gratificante per me fare una scelta
di poesie da ogni libro, dalle riviste letterarie, in lingua e in dialetto,
aggiungendo qualche novella e qualche dramma, di quelli che venivano pubblicati
negli inserti piedigrotteschi, senza alterarne il significato, le epoche, come
se fossero sussurrati dalla "voce" di mio Padre, quasi come un messaggio che si
potesse ravvivare oltre la vita, per donare ai posteri qualche cosa che, anche
quando "quella voce" non parlerà più anche solo attraverso il ricordo affettuoso
delle figlie, possa consentire a tutti, leggendo quegli scritti, di sentirsi
attratti e incuriositi, scoprendo orizzonti nascosti, velati dalla nebbia del
tempo ed ora finalmente in qualche modo svelati.
C'e un'altra domanda che, specialmente le nuove generazioni, mi hanno spesso con
semplicità rivolto: "Ma chi era E.A. Mario?" Per rispondere mi servo
delle parole, ancora una volta, di Francesco Durante: "E.A.
Mario
fu un intellettuale che seppe aprirsi a
fremiti e a suggestioni pia
ampie di quelle che normalmente bastano alla
tradizione piedigrottesca... E.A. Mario voile uscire dal guscio dell'ortodossia
napoletanistica... Basterebbero gli onori che perfino dal Re in udienza privata
gli vennero tributati per la Leggenda
del Piave". E mi servo ancora di parole altrui 5 per completare la
risposta: "Sto parlando del poeta E.A.
Mario, pseudonimo col quale ha raggiunto meritatissima Gloria nell'ambito della
poesia e della poesia per musica napoletana e italiana lo scrittore Giovanni
Gaeta... Nel caso di E.A. Mario, e non soltanto, ovviamente, nel suo, occorre
distinguere fra un'attività di produzione poetica direttamente collegata alla
musica, in simbiosi con la quale il testo poetico "si fa" e vive, e una attivita
di espressione poetica, che pub confluire in un prodotto musicale ma pub anche
conservare la propria autonomia creativa ed emozionale, talché i versi di una
"canzone" possano leggersi e capirsi e gustarsi anche senza il relativo supporto
melodico... Ma il passaggio all'aspetto specifico del problema che si intende
mettere in luce a
segnalato efficacemente dalla più nota delle
composizioni di E.A. Mario, quella "Leggenda del Piave ", legata alle vicende
della prima guerra mondiale, che tutti i cittadini italiani e moltissimi tra i
cittadini dell'universo globo terracqueo hanno avuto certamente modo di
ascoltare nella solennità del suo ritmo marziale e doloroso insieme, almeno una
volta nella loro vita... A me rimane la soddisfazione di aver riletta per me e
per i miei lettori una pagina pressoché ignota di poesia italiana, dovuta alla
penna di un personaggio che comunque nella storia della cultura italiana, a buon
diritto gia risiede ".
Nell'anno 2000 la casa editrice Il
Mulino di Bologna, ha pubblicato nella collana "L'identità italiana"
un saggio di Fortunato Minniti intitolato "Il Piave". Nel capitolo III,
"Il Piave rinasce a Napoli" Minniti cosi parla di mio Padre:
"La capacita di E.A. Mario di stare a ridosso degli
eventi era straordinaria. Egli pensava e scriveva niente di diverso da quello
che pensava, scriveva, diceva o semplicemente pensava, senza essere capace di
esprimerlo, la maggioranza degli italiani. La sua vena poetica e musicale che
era stata gia sperimentata in canzoni e testi ispirati alle vicende della guerra
anche pia complessi, seppe trovare una misura giusta per richiamare nel modo pia
semplice l'attenzione del maggior numero di persone, servendosi per meglio
riuscire delle forme retoriche cui la gente era abituata, e con la quale si
espresse, ad esempio, anche la celebrazione postbellica affidata a migliaia di
monumenti di paese e di quartiere ".
Infatti Papa nel 1915 aveva gia scritto
tre canzoni che vorrei menzionare. La prima è "Marcia 'e notte" , del
1915, premiata al concorso de la Cronaca Bizantina della Rivista Musicale
"Tavola rotonda", edita da F. Bideri, di cui mi piace trascrivere alcuni
versi:
Bella e 'a notte e nuje marciammo,
e 'a luna 'a coppa, ce fa cumpagnia...
Ce sta n 'addore attuorne 'e massaria,
e 'o core mio se sceta e vo' cantà...Notte 'e maggio, aria serena...
E se va 'nguerra e 'o core nunn 'o ccrede
nun sape niente 'e chello ca succede,
sape ca maggio e maggio e vo' cantà...Lle dico: Core mio, statte cujeto,
mo' nun so' tiempo, no, d "e 'sserenate:
tutte 'e surdate mo hanna fa 'e surdate,
pecche s'hadda cumbattere
p "a Patria e 'a liberta.
Al 1915 risalgono anche
Canzone di trincea, in lingua, anch'essa molto nota per il ritornello, e
Serenata all'Imperatore, scritta in risposta ad un articolo diffamatorio per
gli italiani che andavano a combattere contro Francesco Giuseppe e che altri non
erano, secondo questo articolo, se non "i
mafiosi della Sicilia, i briganti delle Calabrie e i mandolinisti di Napoli".
Anche di questa canzone mi piace
ricordare alcuni versi:
"Maista, venimmo a Vienna,
venimmo cu chitarre e manduline,
pecchè sunammo 'a penna,
pecche tenimmo 'e guappe concertine...
E quanno 'e reggimente
fernesceno 'e cumbattere cu vuje,
Maista, cu sti strumente
a firma 'a pace ce venimmo nuje!Gnorsi chesto tenimmo:
chitarre e manduline pe' canto,
ma quando ce mettimmo
'e cannune se sentono, Maista:Ll'Italia trase a Trieste,
ce trase e hadda resta!
Si legga ancora quanto scrive
Fortunato Minniti: "Il Piave, salvo smentita, era stato fino al 1918 assente
nei testi di E.A. Mario, ma fu successivamente presente nella scoppiettante
Tarantella di Versaglia del 1919 dove e simbolo di sacrifici sostenuti: "Nun
se vence 'ncopp"o Piave, pe' da Fiume all'Iugoslave!" E in Soldato ignoto
del 1921, rappresentato nel pieno delle sue ormai collaudate funzioni di
baluardo: Il Piave era una diga - "file d'elmetti, siepi di fucili, - zappe
e chitarre in riga". I soldati sapevano
dunque usare i primi allo stesso modo che gli strumenti da lavoro e di svago e
sapevano anche, a
presumibile, quando usarli... Gli italiani, come
a
noto, non sono un popolo guerriero.
E
facile rilevare anche nelle canzoni di guerra dell'autore napoletano la totale
assenza di spirito bellicoso. Anzi in esse
a
accentuatissima la vena malinconica di cui sono testimonianza un poemetto del
1917, intitolato "'A Morte", nel
quale Dio intercedeva invano presso la morte perché smettesse di falciare vite
umane: "Basta! dice 'o Signore, Morte, mo' basta, mo! Ma 'a Morte dice
N000!" e la celebre Le rose rosse del 1919 dove ad ogni ritornello
l'autore distoglie la vista dagli affetti cruenti della guerra: Ma le rose
rosse no... non le voglio veder!... Con la Leggenda
finalmente vennero messi insieme una favola - il
fiume parlava – di immediata comprensibilità; la scansione del tempo sino ad
allora ininterrotto della guerra - reso perciò misurabile -; un momento
favorevole e promettente delle operazioni di guerra; infine l'attribuzione al
Piave della funzione di limite dove l'ondata delle sventure finalmente si
rovesciava ("si vide il Piave rigonfiar le sponde – e come
i
fanti combatterono l'onde ") per essere assorbita dalle sabbie ancora instabili
delle singolari e ancor nuove virtù militari e civili degli italiani: sapere
contrastare il nemico se e quando questi pretendeva di stabilirsi tra loro. Ha
osservato Giuseppe Antonio Borgese che la canzone non parlava ne di conquiste ne
di supremazia. La Leggenda
scopriva invece e dichiarava che per gli italiani
non adatti alla guerra di conquista il Piave rappresentava il luogo e
l'occasione di una guerra adatta a loro, quella degli aggrediti".
Sergio Romano, in un articolo pubblicato
sul Corriere della Sera, del 16 dicembre del 2000, poi ripubblicato nel
volume "I volti della storia" ,
scrive a proposito del saggio di Minniti:
"La generazione di mio padre avrebbe
trovato nel libro di Minniti la conferma dei suoi ricordi e dei suoi sentimenti.
La mia generazione crebbe mormorando nelle cerimonie nazionali le parole della
canzone di Mario. Le generazioni successive hanno dimenticato il Piave e
l'importanza che esso ebbe per la storia italiana. Minniti si chiede, alla fine
del suo libro, perché il sentimento nazionale sia stato sequestrato dal
fascismo. Io mi chiedo piuttosto perché una larga parte della cultura italiana
abbia preferito raccontare della Grande Guerra soltanto le sofferenze dei fanti,
la brutalità degli ufficiali, gli errori dei comandi, le decimazioni, le
diserzioni, gli scioperi. In molti libri e manuali scolastici vi sono insistenti
descrizioni di Caporetto, ma accenni brevi, distratti e sommari alle tre
battaglie del Piave. Fortunato Minniti le restituisce agli italiani."
La capacità di mio Padre di stare "a
ridosso degli eventi", si e
sempre evidenziata per circostanze
particolari o avvenimenti e fenomeni sociali di varia natura, come la tragedia
della guerra e poi il dramma dell'emigrazione, che, come l'altro, gli ispiro
numerose poesie e canzoni. Queste, a livello embrionale, erano state concepite
fin dalla sua adolescenza, quando, poco
pia
che quindicenne, aveva preso 1'abitudine di fare
delle lunghe passeggiate per Napoli, recandosi spesso al Borgo Marinaro e a
Santa Lucia, a fantasticare tra la visione del Vesuvio fumante, del Monte Echia,
del Castel dell'Ovo, ed a parlare con i pescatori; soffermandosi tra le barche,
le lenze, le lanterne, le lampare, le ceste, le reti, i gozzi, tutto in quel
piccolo tratto di mare... E poi arrivava sino al Porto, dedicato alla Madonna
Immacolata, una zona ribattezzata dal popolo "Immacolatella". E la, come
raccontava poi in famiglia, sostava parecchio tempo, guardando quei bastimenti
ancorati, pronti a salpare verso gli oceani, recando a bordo, oltre alle
mercanzie, speranze, lacrime e tragedie umane di quegli emigranti che, per
volere di un avverso destino, andavano verso l'ignoto, invocando "'a bella 'mbriana"
- come essi chiamavano la fortuna - che li accogliesse, dopo lo sbarco in
terra straniera.
Spinto da un istintivo senso di pietà, egli spesso si avvicinava a questi gruppi
di gente spaesata, seduti su fatiscenti bagagli, e cercava di rincuorarli,
ascoltando le loro storie che spontaneamente gli raccontavano, in attesa di
salire a bordo. La drammaticità di questo esodo scosse gli animi di parecchi
canzonieri del primo Novecento, e, ovviamente, Papà fu tra loro. Su questa
tematica, che sfocio in un vero e proprio genere letterario, furono composte
molte canzoni e poesie piene di sentimento. La memoria delle infinite storie
abbozzate negli incontri che aveva avuto con tanti emigranti sfociò nel 1919,
poco dopo la tragedia della guerra, in una canzone struggente di malinconia,
nobilmente espressiva, dove i versi si fondono mirabilmente con la musica, come
del resto accadeva nella grandissima maggioranza delle sue canzoni, creando un
simbolo indissolubile di speranza e di nostalgia, dove la vicenda
dell'emigrazione appare ineluttabilmente legata alla praticità del destino
dell'uomo: Santa Lucia luntana.
Per un atto di generosità che ha
dell'incredibile, nel 1922, dovendo raggiungere New York per motivi di lavoro,
per aiutare quattro artisti senza mezzi, in cerca di fortuna, Papa acquisto per
tutti, compresi lui e la moglie, i biglietti di terza classe, vivendo in tal
modo la sua esperienza di emigrante fra gli emigranti. Questa circostanza
imprevista stimolo il suo estro sentimentale di osservatore acuto e partecipe,
che egli subito tradusse in versi e musica per una bellissima canzone dal titolo
"Cantano ll'emigrante".
Ho gia in precedenza accennato al furto
perpetrato da ignoti ladri in casa mia il 10 maggio 1974. Ovviamente gli oggetti
asportati, per quanto la polizia indagasse, non furono più ritrovati. Purtroppo,
dal 1991 in poi, un analogo scempio si comincio a verificare anche nei confronti
del monumento funebre che il Comune di Napoli, nel 1964, aveva eretto a mio
Padre nel "Recinto degli uomini illustri", sito nel monumentale Cimitero di
Poggioreale, in Napoli. Nel novembre del 1996 dovemmo con autentica disperazione
constatare che anche il busto di bronzo che sovrastava il monumento era
scomparso. Quel busto, opera pregevole dello scultore Pasquale Monaco, era un
simbolo di vitalità oltre la morte del nostro amato Congiunto. Nel 1966 il
Comune di Napoli dal calco di gesso (in quel periodo in nostro possesso e
successivamente trafugato) aveva ricavato una copia in bronzo che aveva donato
at Presidente dell'associazione "Ragazzi del '99" che stava organizzando
una serie di festeggiamenti a Santa Croce del Montello, una frazione di Nervesa
della Battaglia, sulle rive del Piave, in onore dei Caduti di quello storico
evento, dove era precipitato con it suo apparecchio anche Francesco Baracca. In
quella occasione sarebbe stata intitolata una scuola ad E.A. Mario e
nell'edificio sarebbe stato anche allestito un museo con cimeli e ricordi di
vario genere. Perciò, nella triste circostanza del furto del busto di bronzo che
si trovava at Cimitero di Napoli, mi rivolsi al Sindaco di Nervesa, Ilario
Barro, pregandolo di far ricavare un calco di gesso da quel busto, ovviamente a
spese mie e delle mie sorelle, qualora non si fosse provveduto da parte del
Comune di Napoli, per potere poi far riprodurre in una fonderia locale una nuova
copia in bronzo. Ed invece il Sindaco informo il Sindaco di Napoli Bassolino
che sarebbe stato donato alle figlie del Poeta o at Comune di Napoli il busto in
bronzo a spese del Comune di Nervesa e che egli stesso sarebbe stato presente a
Napoli nel giorno del ripristino del Monumento. E così fu.
Nella città di Trieste dal maggio 1999 at novembre del 2002, per onorare la
memoria di mio Padre, furono organizzate tre prestigiose manifestazioni
dall'Associazione culturale "Amici del Caffè Gambrinus" a cura del presidente
Generale Giovanni Esposito.
La prima manifestazione intitolata: "E.A. Mario e il suo tempo - Canzoni sulle
due sponde del Piave" con convegni storici, mostre, conferenze stampe, cartoline
celebrative con annullo postale speciale e un concerto finale nel Palazzo delle
Poste.
La seconda manifestazione si svolse at Largo Piave il 6 aprile del 2001 con
l'apposizione di una targa in occasione del quarantesimo anniversario della
morte del Poeta.
A convalida di quanto sopra, mie grato poter concludere questo profilo di mio
Padre con un biglietto inviatomi dall'Onorevole Roberto Menia, in risposta ad
una mia lettera di ringraziamento in occasione dell'ultima manifestazione del 3
Novembre 2002, curata dall'Associazione culturale "Amici del Caffè Gambrinus",
in ricordo di E.A. Mario.
Ed e per me doveroso, con legittimo orgoglio, segnalare alcuni nominativi di
quanti, con sentimento unanime, vollero ricordare mio Padre: il Prof. Roberto
Damiani, S.E. Elio Pasquariello, il Dott. Michele Losito, il Dott. Riccardo
Riccio, il compianto e carissimo Dott. Giovanni Volpe che servi lo Stato e
Trieste con altissimo senso del dovere, il Prof. Fabio Suadi e tutte le altre
personalità non menzionate scusandomi per l'involontaria omissione.
Voglio anche segnalare che queste celebrazioni, proposte sempre dalla
prestigiosa Associazione culturale "Amici del Caffè Gambrinus", ebbero tutte
viva corrispondenza e approvazione dal Comune della Città di Trieste nonostante
il cambiamento politico delle vane amministrazioni.
Tempo fa mi ero proposta la pubblicazione in un'antologia del "Meglio" di mio
padre, ma ciò è stato decisamente avversato dall'editore Rodolfo Rubino,
titolare dell'Istituto Grafico Editoriale Italiano, il quale dopo un lungo
pomeriggio di fine gennaio 2004, passato a casa mia tra ricordi, letture e
valutazioni critiche, affinché E.A. Mario, attraverso la ristampa dei suoi libri
potesse ottenere, cosi come auspicava Max Vajro, quella dovuta "sistemazione
critica", ha espresso il desiderio di riprodurre integralmente le opere pia
significative dell'autore de "La leggenda del Piave".
Questo coraggioso editore, che ha dato una svolta e una decisa rivalutazione
alla storia letteraria napoletana con le collane editoriali "Cunte napulitane" e
"Collana popolare napoletana", quest'ultima diretta dall'ottimo Renato de Falco,
nonche alla ristampa del "Dizionario napoletano-italiano" di Raffaele Andreoli,
ha voluto abbinare it ricordo di "Mio padre" con "All'insegna della Sirena",
quasi del tutto sconosciuto ai poeti e agli addetti ai lavori, con cui torna a
vivere E.A. Mario e ha inizio un nuovo felice periodo della mia non pia giovane
esistenza.
BRUNA CATALANO GAETA
_________________________
1 Napoli, 28 giugno 1961.
2 Si
tratta dei Sonetti a Loubet, dell'anno 1904.
3 Gli originali di tutte le composizioni di mio Padre sono stati
donati nel 1998 alla Biblioteca Nazionale di Napoli.
4 Uno soltanto dei tanti volumi
di composizioni napoletane di mio Padre e stato ristampato nel 1997 per i tipi
della Casa Editrice Adriano Gallina. Si trattava del volume intitolato Cerase
che venne allegato al volume di Anna Maria Siena Chianese intitolato E.A.
Mario: un diario inedito. Cinquant'anni di storia italiana. Questo
importante volume vide la luce sempre a cura della Casa Editrice Adriano Gallina
nel 1998, quando la Biblioteca Nazionale di Napoli intitolò una Sala della
Sezione "Lucchesi Palli" a mio Padre.
5 A. Portolano, art. cit., in Civiltà
dei licei, 1995.
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