Bruna Catalano Gaeta
Repetita iuvant...
Ricordare e ripetere non
a mai troppo tardi...

Saggio analitico che, nella sua forma espositiva, vuol essere un contributo alla fonetica del dialetto napoletano sia come pronunzia sia nella maniera corretta di scriverlo.

Testimonianze

Da: FERNANDO PALAZZI, Novissima grammatica italiana, Milano-Messina, editrice G. Principato.
"... Il linguaggio di ciascun popolo si chiama LINGUA.
... Abbiamo parlato a lungo dei dialetti e della lingua. Quale differenza corre fra queste due cose? Tanto la lingua quanto il dialetto Sono un mezzo di esprimere, per tramite delle voci articolate, i nostri pensieri e i nostri sentimenti. La differenza è che mentre il dialetto, per ricco di forme che sia, esprime quasi esclusivamente le quotidiane esigenze umili e personali della vita spicciola, la lingua può esprimere, oltre a queste stesse esigenze, anche quelle più profonde, più vaste, più complesse e d'interesse collettivo che concernono la cultura, la quale è insieme poesia e storia, filosofia e dottrine scientifiche, esperienze giuridiche e pensiero religioso...
...Si chiama vocabolario la raccolta dei vocaboli di una lingua disposti per lo più in ordine alfabetico e dichiarati con le definizioni e con gli esempi...
Quando, oltre alle parole, esso registra anche le dizioni, cioè i modi di dire propri di una lingua si chiama DIZIONARIO... Il GLOSSARIO è un dizionario dove si spiegano le voci antiquate o poco note altrimenti difficili...
La GRAMMATICA è l'insieme delle regole che insegnano a parlare e scrivere correttamente una lingua".
Da: ANTONIO ALTAMURA, Dizionario dialettale napoletano, Napoli, Fausto Fiorentino editore, dall'introduzione: stralci dalle pagine 20a e 21a...
"Nei riproporre questo mio dizionario nell'interesse dei napoletani e di quanti altri italiani ne amano il dialetto pur non riuscendo a ben pronunciarlo, mi son trovato di fronte al medesimo problema della prima volta (leggi 1a edizione - nota di B.C.G.) per quel che riguarda la trascrizione fonetica... Tali considerazioni mi consigliarono dodici anni fa di seguire una via di mezzo...
Mi avvarrò ancora una volta di quei facili segni e accorgimenti che renderanno perspicua e abbastanza precisa la lettura delle varie voci... D'altra parte il valore fonico dei segni adoperati nel dialetto napoletano è uguale a quelli che essi hanno nella lingua italiana".
"Un particolare discorso meritano le vocali e ed o. La vocale e, qualunque sia la sua posizione nel corpo della parola (tranne in qualche raro caso, che a suo luogo non ho tralasciato di notare) ha un suono assai muto e indistinto, simile a quello del francese peur: per questo caso ho preferito rappresentarla sempre col segno e.
La o finale di tutti i nomi maschili ha anch'essa un suono evanescente che va verso una e indistinta (come la finale del francese pauvre (leggi povr..): ma in questo caso ho sempre lasciato la scrittura – o –; che non crea confusione riguardo at genere, ne disturba in poesia ove esista la rima. In posizione mediana la vocale – o – talvolta assume un suono semi muto che va verso la – u –: net caso in cui quel suono appare più turbato ho segnato con due puntini la – o – alterata. Per quello che riguarda le consonanti (eccettuate le sole terminazioni in -zione) non ho potuto non registrare anche graficamente i "raddoppi interni" (farabbutto, robba, tabbacco tubbo, ecc.) così come ho raddoppiato alcune "consonanti iniziali", la cui pronunzia, raddoppiata o meno; potrebbe ingenerare confusioni e incertezze (cca, lloco, lla, etc.). Ho altresì mantenute le iniziali – j –, per mostrare come spesso esse si trasformano in – ghi – (jetta' = ghietta', juca' = ghiuca', jurnata – ghiurnata, jastemma = ghiastemma, etc.).
Un'ultima parola per le apocopi e le aferesi. Comprendo bene che in una poesia o in una canzonetta si pub indulgere a una più o meno completa deficienza di segni diacritici (nota bene: questi segni, nelle trascrizioni fonetiche indicano in una lettera modifiche di pronuncia - B.C.G.) ma in un dizionario e impossibile prescindere almeno dalle indicazioni delle aferesi e delle apocopi, dagli accenti acuti e gravi per indicare il suono aperto o chiuso delle vocali toniche".
Da: E. A. MARIO (al secolo GIOVANNI GAETA - Napoli, 5 maggio 1884 - 24 giugno 1961) dal glossario del libro di poesie
Acqua chiara, 3a edizione, anno 1959, Napoli, Fausto Fiorentino editore.
"Qui la glossa riguarda il dialetto non le poesie: non passi difficili da chiarire, dunque, ma cose particolari da illustrare, anche perche a mancata at dialetto napoletano l'Accursio* chiosatore instancabile e autorevole, che, raccogliendo, abburrattando e ordinando l'opera di precedenti glossatori, le abbia conferito forza di legge".
Nella scelta dei termini, si tenga presente che le doppie consonanti iniziali Sono quasi sempre rafforzative, adoperate per designare il femminile plurale (esempi: 'o niro (maschile) da to niro, togliendo la elle dall'articolo arcaico e mettendo al suo posto l'apostrofo, 'a nera (femminile singolare); 'e nire (maschile plurale e 'nnere (femminile plurale), col raddoppio delta consonante iniziale (nota di B.C.G.); oppure per denunciare la variazione analogica per cui un aggettivo qualificativo o possessivo, diventato sostantivo [cioe sostantivato (nota di B.C.G.) ha significati distinti: esempi: 'o niro a colui, che tra gli altri a nero (mentre) 'o nniro a tutto cib che e nero; 'o mio (aggettivo possessivo) (nota di B.C.G.) e quello che, tra gli altri, mi appartiene, mentre 'o mmio a tutto quello che mi appartiene assolutamente; oppure per chiarir gli equivoci a certe parole che sembrano omonime: 'o caso – it caso (ovvero qualsiasi accadimento fortuito o inatteso (nota di B.C.G.) e 'o ccaso (che in dialetto significa formaggio); oppure (a certe parole) che hanno un duplice ufficio: 'o cafe, che e la bottega di goldoniana memoria, mentre 'o ccafe e la "droga" amatissima ai nostri giorni (che sorseggiamo net bar): 'o fegato (viscere umano) 'o ffegato, in funzione culinaria... oppure per distinguere it significato di monosillabi: ca, che; cca = qua (in questo luogo - nota B.C.G.); mme (particella pronominale la cui vocale a quasi muta (pronuncia mm). In altri casi la doppia consonante iniziale a d'uso per dinotare maggior forza, non potendo disporre la comune cassa tipografica delta diversa consonante grassa meglio adatta (Ddio, rrobba, cchiu – Dio, roba, ddoje, dduje (aggettivi numerali di due) che in dialetto si accorda col genere del nome ma perde it raddoppiamento, al maschile, se preceduto dall'articoto; esempi: ddoje cchiese = due chiese; 'e ddoje cchiese (femminile - B.C.G.) = le due chiese; dduje paravise (da paraviso, maschile - B.C.G.) 'e duje paravise).
Comunque tutti i numerali si accordano nel genere 'e tre chiuove (i tre chiodi) (maschile), 'e ttre grazie (le tre grazie) (femminile); 'e sette peccate (maschile), 'e ssette virtu (femminile); ce vedimmo 'e nove (cioe il giorno nove) (maschile); 'e nnove (indicando he ore) (femminile) ... 'e mille (maschile) 'e Garibalde (muta); 'e mmilte (femminile) e una notte.
La doppia consonante iniziale, infine, a parte integrate della parola, quando questa a tale in quanto e stata aferizzata: mmasciata, nnucente, cchiesia, Mmaculata (nota: parola aferizzata, che ha sublto una soppressione iniziale senza segno grafico - B.C.G.) = imbasciata, innocente, chiesa (dal Latino: ecclesia, Immacotata).
Si tenga presente che it gh e rafforzativo eufonico di i e j ("torna a ghi"' per "torna a i"' = in italiano "torna ad andare; "a ghietta" per 'a jetta = in italiano "a gettare"; "'a ghiastemma" (singolare), 'e gghiastemme = in italiano "la bestemmia" = "le bestemmie").
Questo glossario non contiene i termini che si ritengono comprensibili. E vi sono segnate con apostrofo le parole apocopate o aferesate solo se it troncamento a cagione di confusione: 'sta, cioe questa; sta' per stare, perche non si confondano con sta che a la terza persona singolare dell'indicativo presente del dialetto napoletano, non cost sti (questi o queste) e na e nu (una e uno) perche non hanno equivalenti d'altro significato. Cosi nei troncamenti postonici si fa use qua e la di accenti in omaggio alla ortoepia come, per esempio, ave (come pronunzia corretta - nota di B.C.G.) e non ave"; addo e non addb', ma evitando l'esagerazione ortografica che per amor di rifinitezza avrebbe impulciati i versi di apostrofi".
"Quanto agli accenti, questi sono indispensabili nei casi di anfibologia" (nota: dizione ambigua di un discorso, cioe che pub mostrare significati diversi o addirittura opposti, come nella sofistica - B.C.G.) = "e, per l'intelligenza dei lettori non napoletani, nei casi di parole identiche graficamente in lingua e dialetto, ma di diversa fonicita: figliola (con la o chiusa) e in italiano figliola (con l'accento grave) o con diverso accento tonico: speravamo (sdrucciola) (in italiano sperava( )mo (piana)); sono invece meramente segnaletici, perche siffatti lettori addivengano a una lettura approssimativamente esatta, tutti gli altri, che pei napoletani non fasulli, se ancora ce ne saranno, sono da ritenersi pleonastici (cioe superflui i seguenti accenti) chella, guagliuncielle, jeva, deva, etc."

* Francesco Accursio (1182-1260) nato a Bagnolo (Firenze). Fu professore di diritto e potesta a Bologna e autore della Glossa ordinaria o magistralis al "Corpus iuris ". Quest opera fu ritenuta superiore a tutti i lavori del genere, in quanto nella sua Storia del diritto italiano fece una scelta delleglosse piu rare. Fu chiamato "Eximiusglossator, magister sententiarum " dai migliori ingegni del suo tempo.

Funzionalità delle vocali A - E - I - 0 - U, estrapolate dal glossario di mio padre E. A. Mario.

A

A' = preposizione articolata del dialetto napoletano: Alla in italiano =
Esempio: a' frangese = alla francese; – davanti alle parole che cominciano per vocale si scrive a ll' – esempio all'antica (ed io aggiungo un titolo di una canzone di successo di mio padre scritta nell'anno 1912:
Funtana a ll'ombra).
'A = articolo femminile: in italiano la – Esempi: 'a casa = la casa; 'a vita = la vita;
davanti alle parole che cominciano per vocale diventa ll': Esempi: ll' aria = l'aria;ll' ombra =l'ombra.
'A = preposizione semplice: in italiano da – Esempio: 'a quanno = da quando.

E

E ed 'E = e, copula, e si pronuncia aperta –
'e = preposizione semplice de: in italiano di (come preposizione la e si pronuncia stretta) – Esempio: 'o mare 'e Napule = il mare di Napoli;
'e = articolo determinativo: vale indistintamente per gli articoli maschili e femminili italiani i e le – Esempi: 'e ccose belle = le cose belle; 'e giurnale = i giornali
ed anche in questo caso la e si pronunzia stretta.

I

I' – e il pronome personale di prima persona, che in italiano corrisponde a io: Esempi: I' voglio = Io voglio; I' faccio = Io faccio;
ed e apocopato (ha subito, cioè un'amputazione);
i' – e anche la voce del verbo andare: se n'hadda i' = se ne deve andare (oppure – in forma antiquata e poetica – ire);
'i' = e anche la voce del verbo vedere, sulla quale si abbattono l'aferesi (soppressione di una sillaba iniziale) e l'apocope (troncamento di una vocale o di una sillaba alla fine della parola nella espressione 'o 'i' = lo vedi; 'o lloco, oppure 'o vi' lloco, che in italiano sta per eccolo (!) ed anche 'a 'i' lla, cioe eccola (!)
ih = interiezione di meraviglia, stupore, sorpresa, oppure di fastidio: Esempio: "ih, che se (e muta) vede!" o anche voce imitativa del raglio dell'asino 'o ciuccio = it ciuco o l'asino; significa anche iiiih! suono piu prolungato per fermare le bestie da tiro.
ghi' = rafforzativo di i' pe' (e muta) ghi' a Casoria = per andare a Casoria a ghi' a ghi' = dicesi di cosa giunta al momento opportuno;
gn = rafforzativo di j: Esempio: jetty = ghietta; juca = ghiuca, etc.

0

'0 = articolo singolare maschile: in italiano Esempio: '0 sole mio = Il sole mio: '0 sta per l'arcaico lo (articolo maschile) al quale si elide la elle e si mette l'apostrofo.

U

Uh! interiezione che sia in dialetto che in lingua esprime sorpresa ed anche dolore.

VADEMECUM GRAMMATICALE DELLA LINGUA ITALIANA

Le nozioni di questo VADEMECUM GRAMMATICALE SONO state compilate confrontando la Novissima grammatica italiana DI FERNANDO PALAllI E IL Dizionario dialettale napoletano di ANTONIO ALTAMURA, precedentemente citati. B.C.G.

Grammatica: arte dello scrivere e del leggere.
Parola: suono o insieme di suoni che articolati secondo una particolare convenzione, esprimono un significato, che e il senso della parola stessa. La parola è formata dalle sillabe.
Linguaggio: è
l'insieme dei suoni articolati con cui ci si esprime, ovvero e l'insieme di segni alfabetici (simboli o lettere) che, fin da tempi remoti, un popolo ha scelto per fissare su carta, papiro et similia il proprio pensiero nella lingua che parla.
L'ortoepia: e la pronunzia corretta delle parole che appartengono ad una determinata lingua.
L'ortografia: e la maniera corretta di scrivere i termini di una lingua.
L'accento
Per pronunziare e scrivere correttamente le parole bisogna conoscere la funzione degli accenti, che sono segni grafici da apporre, anche oralmente, sulle sillabe delle parole stesse per determinare l'intonazione giusta della loro pronunzia.
Ogni parola ha un solo accento rappresentato dalla voce umana che si posa con maggiore intensità su quella sola sillaba rispetto alle altre della parola stessa; questa posa della voce si chiama ACCENTO; e poiché la voce, mettendo in evidenza la sillaba da il tono alla parola – che e un'elevazione del suono stesso, questo accento si chiama anche accento tonico.
Ogni parola ha dunque il suo accento tonico e non pub averne che uno solo.
Mentre la sillaba su cui cade l'accento si chiama sillaba tonica, le altre della parola si chiamano sillabe atone (con l'alfa privativa greca) e cioè senza tono.

L'accento e di tre specie:

Le sillabe possono essere formate da una, due ed anche tre vocali (due di esse - dittongo; tre di esse - trittongo) e si emettono con un sol fiato. Due o più consonanti consecutive formano la sillaba unendosi alla vocale seguente: se la prima di esse a l, m, n, r, si unisce alla vocale precedente: Esempi: al-zo; ambo, an-tro, etc.;
se le due consonanti sono uguali (e valgono per uguali anche c e q) la prima si unisce alla vocale precedente e la seconda ally seguente. La consonante senza vocale non forma la sillaba.

Le parole secondo l'accento si dividono in:

  1. tronche, quando hanno l'accento sull'ultima sillaba. Esempi: onesta, virtù, andò;

  2. piane, quando hanno l'accento sulla penultima sillaba. Esempi: bellezza, onore, scrivano;

  3. sdrucciole, quando hanno l'accento sulla terzultima sillaba. Esempi: rapido, bellissimo, titile;

  4. bisdrucciole, quando hanno l'accento sulla quartultima sillaba. Esempi: recitano, partendosene.

Scrittura dell'accento

Solitamente l'accento tonico nella lingua italiana non si scrive: tuttavia bisognerà scriverlo nei seguenti casi:

  1. nelle parole tronche che non siano monosillabe: esempio: bontà, virtù, temerà, etc.

  2. su alcuni monosillabi che — per contenere un dittongo, potrebbero sembrare di due sillabe: per esempio: ciò, già etc.; ma tenendo presente che qui e qua non si accentano mai;

  3. in alcuni monosillabi per distinguerli da altri di uguale forma ma di significato diverso:

    che perche, poiché che = congiunzione e pronome relativo
    da = voce del verbo dare da = preposizione semplice
    dai = voce del verbo dare dai = preposizione articolata
    dl = giorno di = preposizione semplice
    e = voce del verbo essere e = congiunzione
    la = avverbio di luogo la = articolo o pronome
    ll = avverbio di luogo li = pronome
    ne = congiunzione negativa ne = particella pronominale *se = pronome personale riflessivo se = congiunzione
    sl = avverbio affermativo si = particella pronominale

    * Il pronome se non viene sempre accentato quando e seguito da stesso, medesimo al singolare, mentre nel plurale va sempre accentato. Esempio: se stessi, se medesimi.

  4. nelle voci danno e detti del verbo dare per distinguerle dal sostantivo danno (che genericamente e tutto cio che costituisce una perdita o svantaggio subito o arrecato) e da detti che pub essere aggettivo (ci vedremo nel (suddetto) detto mese) o participio passato del verbo dire) oppure come sostantivo (il dire oil detto che e una frase con intenti sentenziosi o addirittura un breve componimento a carattere morale).

  5. in alcune parole che cambiano di significato col cambiare della sillaba tonica: esempi:

  1. capitano (sostantivo) e capitano (voce del verbo capitare)

  2. ancora (sostantivo) e ancora (avverbio che indica continuità di azione sia al presente che al passato e al futuro)

  3. subito (avverbio) e subito (aggettivo e participio passato di subire, ricevuto, avuto, sofferto...)

  4. balia (sostantivo) e balia (sostantivo femminile che compare in vari modi di dire nel senso di potere o potestà di qualcuno o qualcosa): esempio — in balia del vento, o di qualche personaggio senza poter fare uso della propria volontà..., etc.).

Sempre per parlare sugli accenti (che, come detto all'inizio di questo argomento, si evidenziano attraverso la posa della voce su una sillaba della parola) vi sono alcune parole monosillabe che — sole o raggruppate insieme — non hanno accento, ma si uniscono alla parola seguente o alla parola che le precede: esse si chiamano proclitiche quando si appoggiano alla parola seguente ed encicliche quando si appoggiano alla parola che le precede: eccole qui elencate:
Le parole proclitiche sono gli articoli il, lo, la, gli, le; le particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, ne, etc. e la preposizione di
Esempi: il sole, le stelle, mi dici, ti dico, vi dico, di certo.
Le parole eucicliche sono le particelle pronominali
(cioè appartenenti a pronomi personali in forma atona) mi, ti, si ci, vi, ne, etc. che quando vengono posposte alla parola precedente da cui dipende il loro accento, si uniscono alla fine di essa:

Esempi: portami, mangialo, goditi, etc. Incontro di parole

Il discorso e il prodotto della comunicazione linguistica che si realizza con le parole per trattare vari argomenti.
Nel discorso le parole possono — incontrandosi tra loro — generare un suono sgradevole all'orecchio, prodotto da articolazioni fonetiche del linguaggio che si chiama cacofonia: per evitare
ciò e necessario ricorrere a due modificazioni fonografiche che si chiamano troncamento ed elisione.
Il troncamento — che rappresenta nel suo significato l'atto di recidere, di separare in modo netto — in linguistica si chiama Apocope
(cioè amputazione): la sua funzione e quella di troncare, per ragioni fonetiche o morfologiche una vocale o una sillaba in fine di parola.
Esempi: bell/o/ tempo, con il troncamento si scrive e si legge
bel tempo; buono/ uomo diventa buon uomo, etc.
Per ottenere il troncamento la parola deve contenere
più sillabe.

1) Regole che presiedono il troncamento

  1. Si toglie la sola vocale quando la consonante che la precede e semplice: Esempio: Signore/ mio = Signor mio.

  2. Se invece la consonante e doppia si toglie insieme con la vocale anche una delle due consonanti: Esempio: (vedi sopra) bell/o/ tempo diventa bel tempo.

  3. La parola da troncare sia di numero singolare: Esempio: Signore/ mio = Signor mio (e non Signori, che e plurale).

  4. Che la parola da troncare non sia di genere femminile che termina in a (non si pub troncar cara, signora, quella situazione, etc.

  5. Che la parola che segue quella da troncare non cominci con la s impura, come sposo, Spagna, etc. o con le seguenti consonanti: z, sc, gn, ps, dinanzi alle quali e impossibile fare troncamenti: Esempi: uno zio, lo scempio, uno psichiatra, etc.

2) Regole che comportano alcune eccezioni:

  1. Alcuni nomi femminili in a (vedi alla d.) si possono troncare come suora, ora e i suoi composti allora, ancora, ognora. Esempi: Suoral Teresa che diventa Suor Teresa; oral dunque che diventa or dunque, allora/ quando che diventa allor quando (spesso si uniscono le due parole in una, etc.);

  2. Si troncano le parole frate, bello, santo e grande soltanto davanti alle parole che iniziano con una consonante. Esempio: fra Giovanni, san Francesco, bel ragazzo, gran caldo, etc.; ma quando la parola seguente comincia con la vocale, allora si ricorre all'elisione, che si esprime con il suo segno grafico che e l'apostrofo — di cui parleremo qui appresso;

  3. Un'ultima eccezione che riguarda il troncamento a la seguente: qualche volta pub capitare che davanti a una parola che cominci per vocale, si debba fare un troncamento, come per esempio nobile/ uomo che diventa nobil uomo, oppure giovine/ eroe che diventa giovin eroe oppure uno/ uovo che divenuta un uovo, etc.

Elisione: si ha quando in una parola che finisce con una vocale e davanti a lei c'e un'altra parola che comincia con una vocale, si a costretti a togliere la vocale finale alla parola che precede la seconda per evitare un cattivo suono che — come a scritto all'inizio di pagina 14 — si chiama cacofonia. Questa elisione e rappresentata da un segno grafico che si chiama apostrofo ed e una specie di virgoletta che si scrive in alto al posto della vocale che si e tolta. Perché l'elisione possa avvenire occorre che la parola da elidere termini con una vocale non accentata (che non sia tronca).
Apostrofo: non
a mai un segno di troncamento, mentre pub essere anche it segno dell'apocope per indicare la sillaba che e caduta: esempi: pro' per prode; die' per diede; vo' per voglio etc. la stessa forma vale anche negli imperativi; esempi: va' per vai; fa' per fai; sta' per stai etc. E' un errore apostrofare davanti a un nome tanto maschile quanto femminile che comincia per vocale gli aggettivi dimostrativi tal e qual che hanno subito un troncamento (e non elisione) di tale e quale: Esempi: tal uomo oppure qual uomo (seguiti dai nomi che cominciano per vocale, perché rimangono tali anche quando sono seguiti da nomi che iniziano per consonante: esempi: qual destino, tal rosa.
Per la stessa ragione non si apostrofano dinanzi a un nome maschile che inizia con una vocale un e buon; esempio: un uomo, un buon operaio, perche
e to stesso quando la parola seguente inizia con una consonante: Esempio: un cane, un buon lavoratore.
Invece un e buon si apostrofano davanti a nomi femminili che cominciano con una vocale perche si tratta di una vera e propria elisione: Esempio: un'anima, buon'anima, in quanto una e buona non potrebbero troncarsi, trattandosi di parole femminili che finiscono con la a.
La dieresi si adopera specialmente in poesia per indicare che due vocali che formano un dittongo, e pronunciate con una sola emissione di voce, vengano eccezionalmente emesse come due sillabe separate.
Il segno grafico per ottenere ciò
e rappresentato da due puntini posti orizzontalmente sulla prima delle due vocali: Esempio: passione.
Aferesi: in grammatica, rappresenta la soppressione di una sillaba o di una lettera iniziale di una parola senza alcun segno grafico. Esempio: Cesco per Francesco.

Le parti del discorso

(Studio delle parole) (MOxuoLOGIA) (ovvero forma e trattazione)
La grammatica distingue le parole, secondo il loro carattere, in nove diverse
categorie, definite parti del discorso.

Esse sono: articolo, nome, (o sostantivo, parte essenziale del nostro pensiero), aggettivo, pronome, verbo (da verbum che in latino significa "parola per eccellenza" ed e la pit importante di tutte le altre parti del discorso); avverbio, preposizione, congiunzione e interiezione. Le prime cinque di esse si chiamano variabili, perche hanno delle flessioni, dei mutamenti a cui vanno soggette, mentre le ultime quattro si chiamano invariabili, perche la loro struttura e sempre la stessa.
A questo punto mi fermo qui, perche la tematica di questo saggio a incentrata sulla ortoepia e l'ortografia della lingua italiana come confronto e chiarezza per it dialetto napoletano.

Precisazione conclusiva

Napoli e stata privilegiata da un dialetto di grande musicalità: esso e anche onomatopeico, proprio per la inimitabilità dei suoi suoni; eccone un esempio: schezzechia (pronunciato schzzchia, con la e quasi muta) sta per "piovigginare", facendo in tal modo avvertire il rumore delle goccioline di acqua che cadono ad intermittenza dal cielo. Ma il suo dialetto pur essendo una lingua con tutte le regole che ogni idioma possiede, ha una negatività gravissima che e quella di involgarirsi quando si mischia al gergo, che e it linguaggio degli individui posti al margine della society (e questo vale anche per gli altri dialetti): costoro con la loro sfacciata e invadente ignoranza ne deformano la parlata, con la scurrilità di certe espressioni, con il vociare sgraziato ed urlante, con la eccessiva gestualità che supplisce una forma corretta di esprimersi con parole adatte alla bisogna. Tutto questo disturba ed offende il napoletano verace, che, vuoi per cultura, vuoi per tradizione borghese ed anche aristocratica, si sente Piero di essere nato a Napoli.
Il dialetto e, innanzitutto, la lingua natla e per questo si deve scrivere e parlare senza arcaismi e senza brogli gergali, ma genuino, come si parlava e ancora si parla nelle nostre famiglie borghesi, le quali, pure usando con speditezza e grazia la lingua nazionale, non dispregiano, a volte, di inserire nel discorso un'espressione dialettale, per meglio rendere l'idea sostanziale dell'esposizione, come una chicca, una caramella dolce da gustare, cosi, appena appena, se pur incisivamente, per rendere quel discorso, quell'idea, più propria...

Napoli, 20 novembre 2007 Bruna Catalano Gaeta

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