Bruna Catalano Gaeta
Saggio analitico che, nella sua forma espositiva, vuol essere un contributo alla fonetica del dialetto napoletano sia come pronunzia sia nella maniera corretta di scriverlo.
Testimonianze
Da: FERNANDO PALAZZI, Novissima grammatica italiana,
Milano-Messina, editrice G. Principato.
"... Il linguaggio di ciascun popolo si chiama LINGUA.
... Abbiamo parlato a lungo dei dialetti e della lingua. Quale differenza corre
fra queste due cose? Tanto la lingua quanto il dialetto Sono un mezzo di
esprimere, per tramite delle voci articolate, i nostri pensieri e i nostri
sentimenti. La differenza è che mentre il dialetto, per ricco di forme che sia,
esprime quasi esclusivamente le quotidiane esigenze umili e personali della vita
spicciola, la lingua può esprimere, oltre a queste stesse esigenze, anche quelle
più profonde, più vaste, più complesse e d'interesse collettivo che
concernono la cultura, la quale è insieme poesia e storia, filosofia e dottrine
scientifiche, esperienze giuridiche e pensiero religioso...
...Si chiama vocabolario la
raccolta dei vocaboli di una lingua disposti per lo più in ordine alfabetico e
dichiarati con le definizioni e con gli esempi...
Quando, oltre alle parole, esso registra anche le dizioni, cioè i modi di dire
propri di una lingua si chiama DIZIONARIO... Il GLOSSARIO è un dizionario dove
si spiegano le voci antiquate o poco note altrimenti difficili...
La GRAMMATICA è l'insieme delle regole che insegnano a parlare e scrivere
correttamente una lingua".
Da: ANTONIO ALTAMURA, Dizionario dialettale napoletano, Napoli, Fausto
Fiorentino editore, dall'introduzione: stralci dalle pagine 20a e 21a...
"Nei riproporre questo mio dizionario nell'interesse dei napoletani e di quanti
altri italiani ne amano il dialetto pur non riuscendo a ben pronunciarlo, mi son
trovato di fronte al medesimo problema della prima volta (leggi 1a
edizione - nota di B.C.G.) per quel che riguarda la trascrizione fonetica...
Tali considerazioni mi consigliarono dodici anni fa di seguire una via di
mezzo...
Mi avvarrò ancora una volta di quei facili segni e accorgimenti che renderanno
perspicua e abbastanza precisa la lettura delle varie voci... D'altra parte il
valore fonico dei segni adoperati nel dialetto napoletano è uguale a quelli che
essi hanno nella lingua italiana".
"Un particolare discorso meritano le vocali e ed o. La vocale e,
qualunque sia la sua posizione nel corpo della parola (tranne in qualche raro
caso, che a suo luogo non ho tralasciato di notare) ha un suono assai muto e
indistinto, simile a quello del francese peur: per questo caso ho preferito
rappresentarla sempre col segno e.
La o finale di tutti i nomi maschili ha anch'essa un
suono evanescente che va verso una e indistinta (come la finale del francese pauvre (leggi povr..): ma in questo caso ho sempre lasciato la scrittura – o –;
che non crea confusione riguardo at genere, ne disturba in poesia ove esista la
rima. In posizione mediana la vocale – o – talvolta assume un suono semi muto
che va verso la – u –: net caso in cui quel suono appare più turbato ho segnato
con due puntini la – o – alterata. Per quello che riguarda le consonanti
(eccettuate le sole terminazioni in -zione) non ho potuto non registrare anche
graficamente i "raddoppi interni" (farabbutto, robba, tabbacco tubbo, ecc.)
così
come ho raddoppiato alcune "consonanti iniziali", la cui pronunzia,
raddoppiata o meno; potrebbe ingenerare confusioni e incertezze (cca, lloco, lla,
etc.). Ho altresì mantenute le iniziali – j –, per mostrare come spesso esse si
trasformano in – ghi – (jetta' = ghietta', juca' = ghiuca', jurnata – ghiurnata,
jastemma = ghiastemma, etc.).
Un'ultima parola per le apocopi e le aferesi. Comprendo bene
che in una poesia o in una canzonetta si pub indulgere a una più o meno completa
deficienza di segni diacritici (nota bene: questi segni, nelle trascrizioni
fonetiche indicano in una lettera modifiche di pronuncia - B.C.G.) ma in un
dizionario e impossibile prescindere almeno dalle indicazioni delle aferesi e
delle apocopi, dagli accenti acuti e gravi per indicare il suono aperto o chiuso
delle vocali toniche".
Da: E. A. MARIO (al secolo GIOVANNI GAETA - Napoli, 5 maggio
1884 - 24 giugno 1961) dal glossario del libro di poesie
Acqua chiara, 3a
edizione, anno 1959, Napoli, Fausto Fiorentino editore.
"Qui la glossa riguarda il dialetto non le poesie: non
passi difficili da chiarire, dunque, ma cose particolari da illustrare, anche
perche a mancata at dialetto napoletano l'Accursio* chiosatore
instancabile e autorevole, che, raccogliendo, abburrattando e ordinando l'opera
di precedenti glossatori, le abbia conferito forza di legge".
Nella scelta dei termini, si tenga presente che le doppie
consonanti iniziali Sono quasi sempre rafforzative, adoperate per designare il
femminile plurale (esempi: 'o niro (maschile) da to niro, togliendo la elle
dall'articolo arcaico e mettendo al suo posto l'apostrofo, 'a nera (femminile
singolare); 'e nire (maschile plurale e 'nnere (femminile plurale), col
raddoppio delta consonante iniziale (nota di B.C.G.); oppure per
denunciare la variazione analogica per cui un aggettivo qualificativo o
possessivo, diventato sostantivo [cioe sostantivato (nota di B.C.G.) ha
significati distinti: esempi: 'o niro a colui, che tra gli altri a nero (mentre)
'o nniro a tutto cib che e nero; 'o mio (aggettivo possessivo) (nota di B.C.G.)
e quello che, tra gli altri, mi appartiene, mentre 'o mmio a tutto quello che mi
appartiene assolutamente; oppure per chiarir gli equivoci a certe parole
che sembrano omonime: 'o caso – it caso (ovvero qualsiasi accadimento fortuito o
inatteso (nota di B.C.G.) e 'o ccaso (che in dialetto significa formaggio);
oppure (a certe parole) che hanno un duplice ufficio: 'o cafe, che e la
bottega di goldoniana memoria, mentre 'o ccafe e la "droga" amatissima ai nostri
giorni (che sorseggiamo net bar): 'o fegato (viscere umano) 'o ffegato, in
funzione culinaria... oppure per distinguere it significato di monosillabi: ca,
che; cca = qua (in questo luogo - nota B.C.G.); mme (particella pronominale la
cui vocale a quasi muta (pronuncia mm). In altri casi la doppia consonante
iniziale a d'uso per dinotare maggior forza, non potendo disporre la
comune cassa tipografica delta diversa consonante grassa meglio adatta (Ddio,
rrobba, cchiu – Dio, roba, ddoje, dduje (aggettivi numerali di due) che in
dialetto si accorda col genere del nome ma perde it raddoppiamento, al maschile,
se preceduto dall'articoto; esempi: ddoje cchiese = due chiese; 'e ddoje cchiese
(femminile - B.C.G.) = le due chiese; dduje paravise (da paraviso, maschile -
B.C.G.) 'e duje paravise).
Comunque tutti i numerali si accordano nel genere 'e tre
chiuove (i tre chiodi) (maschile), 'e ttre grazie (le tre grazie) (femminile);
'e sette peccate (maschile), 'e ssette virtu (femminile); ce vedimmo 'e nove (cioe
il giorno nove) (maschile); 'e nnove (indicando he ore) (femminile) ... 'e mille
(maschile) 'e Garibalde (muta); 'e mmilte (femminile) e una notte.
La doppia consonante iniziale, infine, a parte integrate
della parola, quando questa a tale in quanto e stata aferizzata: mmasciata,
nnucente, cchiesia, Mmaculata (nota: parola aferizzata, che ha sublto una
soppressione iniziale senza segno grafico - B.C.G.) = imbasciata, innocente,
chiesa (dal Latino: ecclesia, Immacotata).
Si tenga presente che it gh e rafforzativo eufonico di i e j
("torna a ghi"' per "torna a i"' = in italiano "torna ad andare; "a
ghietta" per 'a jetta = in italiano "a gettare"; "'a ghiastemma"
(singolare), 'e gghiastemme = in italiano "la bestemmia" = "le bestemmie").
Questo glossario non contiene i termini che si ritengono
comprensibili. E vi sono segnate con apostrofo le parole apocopate o aferesate
solo se it troncamento a cagione di confusione: 'sta, cioe questa; sta' per
stare, perche non si confondano con sta che a la terza persona singolare
dell'indicativo presente del dialetto napoletano, non cost sti (questi o queste)
e na e nu (una e uno) perche non hanno equivalenti d'altro significato. Cosi nei
troncamenti postonici si fa use qua e la di accenti in omaggio alla ortoepia
come, per esempio, ave (come pronunzia corretta - nota di B.C.G.) e non ave";
addo e non addb', ma evitando l'esagerazione ortografica che per amor di
rifinitezza avrebbe impulciati i versi di apostrofi".
"Quanto agli accenti, questi sono indispensabili nei
casi di anfibologia" (nota: dizione ambigua di un discorso, cioe che pub
mostrare significati diversi o addirittura opposti, come nella sofistica -
B.C.G.) = "e, per l'intelligenza dei lettori non napoletani, nei casi di parole
identiche graficamente in lingua e dialetto, ma di diversa fonicita: figliola
(con la o chiusa) e in italiano figliola (con l'accento grave) o con diverso
accento tonico: speravamo (sdrucciola) (in italiano sperava( )mo (piana)); sono
invece meramente segnaletici, perche siffatti lettori addivengano a una lettura
approssimativamente esatta, tutti gli altri, che pei napoletani non fasulli, se
ancora ce ne saranno, sono da ritenersi pleonastici (cioe superflui i seguenti
accenti) chella, guagliuncielle, jeva, deva, etc."
* Francesco Accursio (1182-1260) nato a Bagnolo (Firenze). Fu professore di diritto e potesta a Bologna e autore della Glossa ordinaria o magistralis al "Corpus iuris ". Quest opera fu ritenuta superiore a tutti i lavori del genere, in quanto nella sua Storia del diritto italiano fece una scelta delleglosse piu rare. Fu chiamato "Eximiusglossator, magister sententiarum " dai migliori ingegni del suo tempo.
Funzionalità delle vocali A - E - I - 0 - U, estrapolate dal glossario di mio padre E. A. Mario.
A
A' = preposizione articolata del dialetto napoletano: Alla in italiano =
Esempio: a' frangese = alla francese; – davanti alle
parole che cominciano per vocale si scrive a ll' – esempio all'antica (ed io
aggiungo un titolo di una canzone di successo di mio padre scritta nell'anno
1912:
E
E ed 'E = e, copula, e si pronuncia aperta –
'e = preposizione semplice de: in italiano di (come preposizione la e si
pronuncia stretta) – Esempio: 'o mare 'e Napule = il mare di Napoli;
'e = articolo determinativo: vale indistintamente per gli articoli maschili e
femminili italiani i e le – Esempi: 'e ccose belle = le cose belle; 'e
giurnale = i giornali
ed anche in questo caso la e si pronunzia stretta.
I
I' – e il pronome personale di prima persona, che in italiano corrisponde a
io: Esempi: I' voglio = Io voglio; I' faccio = Io
faccio;
ed e apocopato (ha subito, cioè un'amputazione);
i' – e anche la voce del verbo andare: se n'hadda i' = se ne deve
andare (oppure – in forma antiquata e poetica – ire);
'i' = e anche la voce del verbo vedere,
sulla quale si abbattono l'aferesi (soppressione di una sillaba iniziale) e
l'apocope (troncamento di una vocale o di una sillaba alla fine della parola
nella espressione 'o 'i' = lo vedi; 'o lloco, oppure 'o vi' lloco, che in
italiano sta per eccolo (!) ed anche 'a 'i' lla, cioe eccola (!)
ih = interiezione di meraviglia, stupore, sorpresa, oppure di
fastidio: Esempio: "ih, che se (e muta) vede!" o anche voce imitativa del
raglio dell'asino 'o ciuccio = it ciuco o l'asino; significa anche iiiih! suono
piu prolungato per fermare le bestie da tiro.
ghi' = rafforzativo di i' pe' (e muta) ghi' a Casoria = per andare a Casoria
a ghi' a ghi' = dicesi di cosa giunta al momento opportuno;
gn = rafforzativo di j: Esempio: jetty
= ghietta; juca = ghiuca, etc.
0
'0 = articolo singolare maschile: in italiano Esempio: '0 sole mio = Il sole mio: '0 sta per l'arcaico lo (articolo maschile) al quale si elide la elle e si mette l'apostrofo.
U
Uh! interiezione che sia in dialetto che in lingua esprime sorpresa ed anche dolore.
VADEMECUM GRAMMATICALE DELLA LINGUA ITALIANA
Le nozioni di questo VADEMECUM GRAMMATICALE SONO state compilate confrontando la Novissima grammatica italiana DI FERNANDO PALAllI E IL Dizionario dialettale napoletano di ANTONIO ALTAMURA, precedentemente citati. B.C.G.
Grammatica: arte dello scrivere e del leggere.
Parola: suono o insieme di suoni che articolati secondo
una particolare convenzione, esprimono un significato, che e il senso della
parola stessa. La parola è formata dalle sillabe.
Linguaggio: è
L'accento e di tre specie:
L'accento grave che va dalla sinistra verso destra si usa per i suoni larghi e cioè sulle vocali a, e largo, ed o largo. Esempi: pieta, canape, falo.
L'accento acuto, che va da destra verso sinistra si usa per i suoni stretti e cioè sulle vocali i, u, e stretto, o stretto. Esempi: mod, veramente, Corfu, tocco.
L'accento circonflesso – che e formato da un accento acuto 'e uno grave ' riuniti insieme ad angolo acuto A, si usa raramente, e serve per indicare una sincope (che grammaticalmente sta ad evidenziare la caduta di una vocale o di una sillaba al centro della parola) o di una i al posto di due. Esempi: torre per togliere; studi per studii.
Le sillabe possono essere formate da una, due ed anche tre vocali (due di esse - dittongo; tre di esse - trittongo) e si emettono con un sol fiato. Due o
più consonanti consecutive formano la sillaba unendosi alla vocale seguente: se la prima di esse a l, m, n, r, si unisce alla vocale precedente: Esempi: al-zo; ambo, an-tro, etc.;Le parole secondo l'accento si dividono in:
tronche, quando hanno l'accento sull'ultima sillaba. Esempi: onesta, virtù, andò;
piane, quando hanno l'accento sulla penultima sillaba. Esempi: bellezza, onore, scrivano;
sdrucciole, quando hanno l'accento sulla terzultima sillaba. Esempi: rapido, bellissimo, titile;
bisdrucciole, quando hanno l'accento sulla quartultima sillaba. Esempi: recitano, partendosene.
Scrittura dell'accento
Solitamente l'accento tonico nella lingua italiana non si scrive: tuttavia bisognerà scriverlo nei seguenti casi:
nelle parole tronche che non siano monosillabe: esempio: bontà, virtù, temerà, etc.
su alcuni monosillabi che — per contenere un dittongo, potrebbero sembrare di due sillabe: per esempio: ciò, già etc.; ma tenendo presente che qui e qua non si accentano mai;
in alcuni monosillabi per distinguerli da altri di uguale forma ma di significato diverso:
che perche, poiché che = congiunzione e
pronome relativo
da = voce del verbo dare da = preposizione
semplice
dai = voce del verbo dare dai = preposizione
articolata
dl = giorno di = preposizione semplice
* Il pronome se non viene sempre accentato quando
e seguito da stesso, medesimo al singolare, mentre nel plurale va sempre accentato. Esempio: se stessi, se medesimi.nelle voci danno e detti del verbo dare per distinguerle dal sostantivo danno (che genericamente
in alcune parole che cambiano di significato col cambiare della sillaba tonica: esempi:
capitano (sostantivo) e capitano (voce del verbo capitare)
ancora (sostantivo) e ancora (avverbio che indica continuità di azione sia al presente che al passato e al futuro)
subito (avverbio) e subito (aggettivo e participio passato di subire, ricevuto, avuto, sofferto...)
balia (sostantivo) e balia (sostantivo femminile che compare in vari modi di dire nel senso di potere o potestà di qualcuno o qualcosa): esempio — in balia del vento, o di qualche personaggio senza poter fare uso della propria volontà..., etc.).
Sempre per parlare sugli accenti
(che, come detto all'inizio di questo argomento, si evidenziano attraverso la
posa della voce su una sillaba della parola) vi sono alcune parole monosillabe
che — sole o raggruppate insieme — non hanno accento, ma si uniscono alla parola
seguente o alla parola che le precede: esse si chiamano proclitiche quando si
appoggiano alla parola seguente ed encicliche quando si appoggiano alla parola
che le precede: eccole qui elencate:
Le parole proclitiche sono gli
articoli il, lo, la, gli, le; le particelle pronominali mi, ti, si, ci, vi, ne,
etc. e la preposizione di
Esempi:
il sole, le stelle, mi dici, ti dico, vi dico, di certo.
Le parole eucicliche sono le
particelle pronominali
Esempi: portami, mangialo, goditi, etc. Incontro di parole
Il discorso
e il prodotto della comunicazione linguistica che si realizza con le parole per trattare vari argomenti.1) Regole che presiedono il troncamento
Si toglie la sola vocale quando la consonante che la precede
Se invece la consonante
La parola da troncare sia di numero singolare: Esempio: Signore/ mio
Che la parola da troncare non sia di genere femminile che termina in a (non si pub troncar cara, signora, quella situazione, etc.
Che la parola che segue quella da troncare non cominci con la s impura, come sposo, Spagna, etc. o con le seguenti consonanti: z, sc, gn, ps, dinanzi alle quali
2) Regole che comportano alcune eccezioni:
Alcuni nomi femminili in a (vedi alla d.) si possono troncare come suora, ora e i suoi composti allora, ancora, ognora. Esempi: Suoral Teresa che diventa Suor Teresa; oral dunque che diventa or dunque, allora/ quando che diventa allor quando (spesso si uniscono le due parole in una, etc.);
Si troncano le parole frate, bello, santo e grande soltanto davanti alle parole che iniziano con una consonante. Esempio: fra Giovanni, san Francesco, bel ragazzo, gran caldo, etc.; ma quando la parola seguente comincia con la vocale, allora si ricorre all'elisione, che si esprime con il suo segno grafico che
Un'ultima eccezione che riguarda il troncamento
Elisione: si ha quando in una parola che finisce con una vocale e davanti a lei
c'e un'altra parola che comincia con una vocale, si a costretti a togliere la vocale finale alla parola che precede la seconda per evitare un cattivo suono che — come a scritto all'inizio di pagina 14 — si chiama cacofonia. Questa elisione e rappresentata da un segno grafico che si chiama apostrofo ed e una specie di virgoletta che si scrive in alto al posto della vocale che si e tolta. Perché l'elisione possa avvenire occorre che la parola da elidere termini con una vocale non accentata (che non sia tronca).Le parti del discorso
(Studio delle parole)
(MOxuoLOGIA) (ovvero forma e trattazione)Esse sono: articolo, nome, (o sostantivo, parte essenziale
del nostro pensiero), aggettivo, pronome, verbo (da verbum che in latino
significa "parola per eccellenza" ed e la pit importante di tutte le altre parti
del discorso); avverbio, preposizione, congiunzione e interiezione. Le prime
cinque di esse si chiamano variabili, perche hanno delle flessioni, dei
mutamenti a cui vanno soggette, mentre le ultime quattro si chiamano
invariabili, perche la loro struttura e sempre la stessa.
A questo punto mi fermo qui, perche la tematica di questo
saggio a incentrata sulla ortoepia e l'ortografia della lingua italiana come
confronto e chiarezza per it dialetto napoletano.
Precisazione conclusiva
Napoli e stata privilegiata da un dialetto di grande
musicalità: esso e anche onomatopeico, proprio per la inimitabilità
dei suoi suoni; eccone un esempio: schezzechia (pronunciato schzzchia,
con la e quasi muta) sta per "piovigginare", facendo in tal modo avvertire
il rumore delle goccioline di acqua che cadono ad intermittenza dal cielo. Ma il
suo dialetto pur essendo una lingua con tutte le regole che ogni idioma
possiede, ha una negatività gravissima che e quella di involgarirsi
quando si mischia al gergo, che e it linguaggio degli individui posti al margine
della society (e questo vale anche per gli altri dialetti): costoro
con la loro sfacciata e invadente ignoranza ne deformano la parlata, con la
scurrilità di certe espressioni, con il vociare sgraziato ed urlante,
con la eccessiva gestualità che supplisce una forma corretta di
esprimersi con parole adatte alla bisogna. Tutto questo disturba ed offende il
napoletano verace, che, vuoi per cultura, vuoi per tradizione borghese ed anche
aristocratica, si sente Piero di essere nato a Napoli.
Il dialetto e, innanzitutto, la lingua natla e per questo si
deve scrivere e parlare senza arcaismi e senza brogli gergali, ma genuino, come
si parlava e ancora si parla nelle nostre famiglie borghesi, le quali, pure
usando con speditezza e grazia la lingua nazionale, non dispregiano, a volte, di
inserire nel discorso un'espressione dialettale, per meglio rendere l'idea
sostanziale dell'esposizione, come una chicca, una caramella dolce da gustare,
cosi, appena appena, se pur incisivamente, per rendere quel discorso, quell'idea,
più propria...
Napoli, 20 novembre 2007 Bruna Catalano Gaeta
Indice
Presentazione pag. 3
Lino Carpinteri, Rienzo Pellegrini, Marina Silvestri,
Bruna Catalano
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