A SORRENTO GASTRONOMIA E
CULTURA
IN RICORDO DI ENRICO CARUSO
IL mito del grande tenore Enrico Caruso è sempre vivo
nel ricordo dei suoi più fedeli estimatori, difatti a Sorrento nei
giorni 16-17-18 gennaio 2002, sono state organizzate tre "Serate
Gastronomiche Culturali Carusiane", nel famoso ristorante-museo
"CARUSO".
Ideatori e organizzatori di questa inedita "festa Carusiana" sono stati
il foggiano baritono Guido D’Onofrio e il ristoratore sorrentino Paolo
Esposito, nonché proprietario del suddetto ristorante.
I due fedeli "ideatori" precisano che, questa manifestazione
"gastronomica culturale" non è una iniziativa isolata, ma và ad
arricchire altri significativi appuntamenti, che vengono ospitati nel
corso dell’anno nello stesso ristorante-museo, con altri due convegni di
appassionati cultori del bel canto Carusiano; in occasione della nascita
(25 febbraio 1873) e morte (2 agosto 1921) del tenore.
Sulle imbandite tavole sono state favorite prelibatezze gastronomiche a
cura dello chef Antonio Cosentino, sempre nel pieno rispetto del menù
preferito dall’indimenticabile buongustaio Enrico Caruso.
La conduzione delle serate culturali è stata affidata alla voce
recitante dell’attore Lorenzo Paoletta e allo storico "Carusiano" Aldo
De Gioia, accompagnate dal sottofondo musicale di rarissimi dischi del
grande Enrico, riascoltati da un antico grammofono, elemento della
collezione di oltre 400 cimeli "Carusiani" sparsi nei locali del
ristorante, ed in gran parte donati dallo studioso cultore Guido
D’Onofrio.
A queste tre serate hanno preso parte tantissimi invitati, tra questi:
il Sindaco di Sorrento Raffaele Attardi, il cantante Bruno Venturini, il
Maestro Federico de Curtis, la giornalista Giuliana Gargiulo, la
dott.ssa Elvira Gentile, l’imprenditore alberghiero Luca Fiorentino, lo
studioso sorrentino Nino Cuomo, il Maestro Pino Fanti, il Maestro Lino
Cavallaro, ecc. ecc.
Bruno Carrano
SERATE GASTRONOMICHE
CULTURALI CARUSIANE
Il Ristorante Caruso di Paolo Esposito, certamente
tra i più prestigiosi, deve la sua notorietà non solo all'eccelsa
qualità gastronomica, ma alla sua prerogativa di essere un piccolo ma
eccezionale museo di Enrico Caruso, "the Voice" famoso nel mondo per le
sue interpretazioni di lirica e di canzoni napoletane.
Il proprietario del ristorante Paolo Esposito, ne è sempre stato
ammiratore ed è riuscito a raccogliere numerosi e interessanti elementi
della vita e della carriera del grande Caruso, pure grazie al contributo
di Guido D'Onofrio, custode della memoria dell'Artista, e del prof. Aldo
De Gioia, attento e competente storico, entusiasta "carusiano" anche
lui.
L'esposizione dei reperti carusiani è veramente pregevole, e 1'atmosfera
che si respira nel ristorante è, di tale suggestione, che attrae
continui visitatori i quali si fermano ben volentieri, a gustare le
squisite pietanze di "don Paolo" e a ricordare con lui il sommo Tenore.
Questa breve ma delineata esposizione di Aldo De Gioia riesce a dare un
informazione completa sull'Artista e contemporaneamente è un omaggio
all'amico fraterno Paolo Esposito.
Giuliana De Gennaro
La leggenda di
una voce
Enrico nacque a Napoli il 25 febbraio 1873 da
Marcellino e da Anna Baldini, di Piedimonte d'Alife in provincia di
Caserta. Componente di famiglia numerosa, il fanciullo crebbe nel
popoloso rione di Sangiovanniello agli Ottocalli, ove abitò nel
palazzetto numero 7. Visse in ristrettezze economiche giacché il padre,
un operaio dell'officina meccanica Meuricroffe, riusciva appena a
sbarcare il lunario. Tuttavia, in quel difficile periodo, mise in
evidenza le sue capacità canore diventando un bambino prodigio.
Carusiello entrò nel coro della sua parrocchia per insistenza di
un'amica di famiglia, certa Rosa Barretti, la quale lo presentò al
parroco. In seguito, cambiando abitazione, andò a cantare nella Chiesa
di Sant'Anna alle Paludi col sacerdote Giuseppe Bronzetti che lo volle
solista nella "Messa" di Mercadante e protagonista nella farsa musicale
"I briganti nel giardino di Don Raffaele".
Verso la metà degli anni ottanta, appena adolescente, lasciò la scuola,
cominciò ad affermarsi tra i posteggiatori e contemporaneamente lavorò
nello stabilimento metallurgico di Salvatore De Luca. Su questa strada
avrebbe certamente orientato il suo avvenire se non avesse incontrato la
signorina Amalia Gatto la quale, entusiasta di lui, lo presentò al
pianista Schiraldi ed al maestro De Lutio. Dopo alcune lezioni cominciò
a cantare nella chiesa di S.
Severino e Sossio, sotto la guida del maestro Amitrano per passare
successivamente al maestro Sarnataro e al Caffè dei Mannesi, dove si
alternò con elementi emergenti, quali furono alcuni posteggiatori come:
Ciccillo 'o tintore, Luigi 'o furnacellaro e Totonno 'o nas' 'e cane. Fu
scritturato poi dalla birreria Monaco e allo Strasburgo di Piazza
Municipio insieme ad alcuni protagonisti del Cafè Chantant: Federico
Alvin e Concetta Bizzarro, il pianista Avitabile e Gerardo l'Olandese,
meglio conosciuto come "'0 'nfermiere", perché lavorava all'Ospedale
Ascalesi. Fu proprio l'Olandese che lo portò a cantare nel Gambrinus, al
Caffè Vacca e ai bagni pubblici, sulla rotonda dello stabilimento
Risorgimento dove, interpretando canzoni napoletane, iniziò la via del
teatro. Qui incontrò il baritono Missiano che lo presentò al maestro
Guglielmo Vergine il quale lo tenne a lezione gratuitamente stabilendo
che, in caso di scrittura, Caruso gli avrebbe riservato il venticinque
per cento dei guadagni nei cinque anni iniziali della carriera. In
quello stesso periodo Enricuccio dovette accusare un brutto colpo, gli
morì la mamma e il padre si risposò con Maria Castaldi. Fortunatamente
la nuova venuta si mostrò affettuosa al punto che il giovane si
affezionò a lei, la ripagò con lo stesso slancio, ricevendone nuova
linfa e incoraggiamento verso il mondo dello spettacolo.
Nel 1894 fu chiamato alle armi a Rieti ma, per interessamento del
maggiore Magliati, dopo quarantacinque giorni di naja, ebbe il cambio da
suo fratello Giovanni perché potesse proseguire nello studio del canto.
Nel 1895, finalmente, il debutto a Napoli al Teatro Nuovo in un'opera di
Domenico Morelli: "L'amico Francesco".
Il 28 Marzo dello stesso anno andò in scena il "Faust" al Cimarosa di
Caserta a cui seguirono "Cavalleria Rusticana" di Mascagni, "Camoens" di
Musone e il "Rigoletto" di Verdi che lo videro protagonista indiscusso
al Mercadante e al Bellini di Napoli. Lo stesso: accadde in Egitto nell'Esbekien
Gardner del Cairo e nel teatro grande. Si dice che alcune ore prima di
cantare salisse sulla parte alta di Napoli, propriamente a San Martino,
per rivedere la fontana che anni prima aveva forgiato con le sue mani
quando lavorava nell'officina De Luca. Era felice; sapeva che il
pubblico l'amava. Ma al San Carlo le cose andarono diversamente,
l'apoteosi si trasformò in disastro fino a raggiungere il dileggio per
il grande tenore. Il giorno seguente il giornalista Saverio Procida
scrisse sul quotidiano "Il pungolo" che Caruso aveva cantato "L'Elisir
d'amore" con voce da baritono. Enrico ci restò male e giurò che se ne
sarebbe andato per sempre. Per avvalorare la decisione eseguì la famosa
canzone "Addio mia bella Napoli". Ma il contratto, precedentemente
stipulato, prevedeva anche alcune recite della "Manon" di Massenet,
pertanto, Caruso dovette rimandare la sua decisione, anzi profittò per
prendersi la rivincita. Fu strepitoso tanto da ottenere
contemporaneamente scritture dal Covent Garden di Londra, dal Principato
di Monaco e dal Metropolitan di New York.
Partì senza rimpianti e quando nel 1904 volle comprare una casa in
Italia scelse Siena nei pressi di Lastra in Toscana dove fece costruire
"Villa Bellosguardo".
Dal 1902 al 1905 Caruso si esibì alla Scala, al Casinò di Montecarlo, al
Lirico di Milano con l`Adriana Lecouvreur", al Metropolitan di New York
per la prima degli "Ugonotti". Nel frattempo nel settembre del 904 la
Giachetti gli aveva dato un altro figlio: Enrico Junior. Nel 1906, nel
giro di recite a San Francisco, scampò fortunosamente al terribile
terremoto che devastò la città. Successivamente Enrico ruppe il legame
con la sua compagna e intraprese una lunga tournè in Inghilterra,
Ungheria, Austria, Germania. Si fece poi ammirare al Metropolitan
interpretando per la prima volta "Il Trovatore" ma, nel 1909, dovette
correre in Italia ed essere operato dal Prof. Della Vedova per una
laringite ipertrofica.
Quando riprese a cantare organizzò una serie di concerti nell'Irlanda
del Nord, quindi riapparve al Metropolitan per interpretare "La
fanciulla del West",
appena da poco scritta da Puccini. Grandissimo fu il successo che gli
arrise anche a Parigi, Milano e Amburgo. Seguirono le recite di "Tosta",
"Pagliacci", la "Lodoletta" di Mascagni, "Il profeta di Meyerbeer", "La
forza del destino" di Verdi.
Cantò per altri undici anni anche se a volte era costretto a concedersi
un lungo riposo per il mal di gola che spesso lo affliggeva.
Tenne ovunque concerti ed opere pur preferendo le solite tappe: Buenos
Aires, Città del Messico, Canadà. Ma la sua popolarità esplose ancor più
a New York, dove divenne leggendario. Innumerevoli e strepitosi consensi
lo decretarono il più grande tenore di tutti i tempi. Ogni opera che
metteva in scena diventava un suo personale successo: da Tosta a Boheme,
dall'Artesiana alla Sonnambula, dalla Carmen alla Lucrezia Borgia e alla
Gioconda, dall'Aida al Trovatore ed al Faust. Soprani, baritoni e bassi
facevano a gara per essere scritturati con lui. Tra le prime donne si
alternavano le regine della scena che in quel momento erano Lina
Cavalieri e Frances Alda, mentre Titta Ruffo era il grande baritono
preferito.
Fuori dal palcoscenico Enricuccio si imponeva anche nei salotti con le
canzoni napoletane, in particolare con "Torna a Surriento" e "J' te
vurria vasà". Musicisti e poeti componevano canzoni che gli spedivano a
getto continuo, a cominciare da Paolo Tosti. Anche D'Annunzio si lanciò
nella mischia e scrisse "'A vucchella" che partì dal Gambrinus e
raccolse in America il suo trionfo. Enricuccio cantava sempre più. Nel
suo repertorio aggiunse un'altra bella canzone "Core 'ngrato", composta
da due napoletani emigranti: Cardillo e Cuordiferro. L'impresario del
Metropolitan, Gatti Casazzi si dette un gran da fare e trascinò nella
schiera dei fans Teodoro Roosevelt.
I successi non si contarono più e Carusiello impartì anche lezioni di
bel canto, prova ne fu che scrisse il prezioso manuale intitolato "How
to sing" (Come cantare).
Sentiva una grande nostalgia di Napoli e non dimenticò mai la sua
povertà: usava identificarsi con Rodolfo della Bohème pucciniana, che
sentiva un personaggio connaturatamente suo. Rimase modesto ma
intransigente nel suo lavoro. In questo campo era severo con sé stesso e
con gli altri. Cantò tutte le canzoni celebri napoletane nascenti, un
repertorio nel quale inserì gli esordienti E. A. Mario, Tagliaferri e
Giuseppe Capaldo (del quale va ricordato il famoso motivo "Comme facette
mammeta").
Imparava i testi di opere e canzoni ricopiando più volte i versi su di
un quaderno per imprimerli bene e mandarli a memoria.
Il 25 gennaio del 1916, durante una recita della Bohème di Puccini a
Filadelfia, per un improvviso abbassamento di voce del basso Andrè
Perellò de Segurola, riuscì a sostituirlo, cantando la romanza "Vecchia
zimarra".
Ma il suo cammino, intanto, era offuscato da dissapori sentimentali; si
salvò cantando le canzoni che lo collegavano con Napoli e la sua
famiglia, specie adesso che aveva perduto il padre. Ma per fortuna
rinacque l'amore: un'altra donna Dorothy Benjamin conquistò il suo
cuore. Si sposarono nel 1918 e l'anno dopo ebbero una bella bambina che
chiamarono Gloria.
Nel maggio del 1920 cantò a Cuba per diecimila dollari a recita. Si
sentiva realizzato, scriveva ai vecchi amici, rievocava i tempi lontani,
ringraziava tutti per l'aiuto che gli avevano dato. Ricordava i
posteggiatori, il cafè chantant, il maestro Vergine, i sermoni di Don
Bronzetti nell'oratorio della sua chiesetta. Sarebbe tornato a casa ma
non per cantare, ormai l'aveva giurato e poi aveva bisogno di tanto
riposo; da qualche tempo non si sentiva più bene, specialmente dopo le
ultime recite dell' "Elisir d'amore" e di "La Juive" con le quali aveva
chiuso i programmi del 1920. Comunque avrebbe tenuto qualche concerto,
magari a Sorrento, ed avrebbe invitato gli amici più cari.
Fu così che un bel giorno, mentre era a bordo di una nave vide il golfo
di Napoli. Era il giugno del 1921, aveva 48 anni.
Giunto sulla banchina pianse, poi si fece condurre a Sorrento. Scese
all'Hotel Vittoria. Un brutto male lo stava distruggendo, aveva fissato
appuntamento con un medico; le cose andavano male. La sua permanenza
durò soltanto qualche mese. Quel giorno aveva cantato. La voce era
sempre la stessa: limpida e soave. Pochi infimi l'avevano ascoltato in
quella stanza d'albergo ed erano rimasti estasiati. Ma il medico era
stato chiaro: aveva poche ore di vita.
Partì per Napoli, di buon mattino, il 2 agosto. Scese all'Hotel Vesuvio.
Ad un tratto esclamò a sua moglie: "Dorothy, fammi portare al sole,
voglio vedere la mia città". Guardò lontano, forse cercava la zona di
Sangiovanniello tra quelle strade sconnesse che l'avevano visto nascere,
forse udiva la sua voce di bambino quando cantava nel piccolo coro della
chiesa, quella voce che adesso stava per entrare nella leggenda.
A ottant'anni dalla sua dipartita, Enrico resta indimenticabile e tutto
il mondo rivive il suo mito. Nel Ristorante Caruso, che egli frequentò
nell'ultimo soggiorno a Sorrento, Paolo Esposito e Guido D'Onofrio hanno
composto un mosaico importante, ricavandolo dal tempio dei ricordi per
raccontare la storia di un'artista immortale.
Aldo De Gioia
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