Enrico Caruso
Il 25 Febbraio 1873 nel quartiere di S. Carlo all'Arena nasce Enrico Caruso. Primogenito di Marcellino (meccanico) e Anna Baldini che provengono da Piedimonte Matese, Enrico fin da piccolo mostra notevoli doti canore nel coro dell'oratorio di Padre Giuseppe Bronzetti. Lavorando nelle stesse Officine Meuricroffe dove lavora il padre, riesce a pagarsi le lezioni di canto. Viene notato e fatto esibire in pubblico ai Bagni Comunali alla Marinella. Dopo il servizio militare, nel 1897 grazie a Vincenzo Lombardi perfeziona il canto. L'ascesa inizia, e nei primi anni del 1900 era già famoso. Cantò in Egitto, Argentina, Russia ed alla Scala di Milano. Nel 1905 avviene la rottura con Napoli. La sua interpretazione nell' Elisir d'Amore viene stroncata dalla critica a tal punto che decide di andare via per sempre. Si trasferisce negli Stati Uniti. Qui inizia una sfolgorante carriera che ne farà uno dei cantanti più apprezzati anche dalla critica. Negli ultimi tempi della sua vita tornò nella sua terra, gravemente malato. Resterà per un periodo a Sorrento e poi a Napoli dove morirà nell'Hotel Vesuvio l'8 Agosto 1921. Moriva l'uomo, nasceva il mito.
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Enrico Caruso nacque
a Napoli il 25 febbraio 1873 in via Santi Giovanni e Paolo (più nota, a
Napoli, con il nome di San Giovanniello), numero 7.
Il padre si chiamava Marcellino, la madre Anna Baldini. Erano originari di
Piedimonte d'Alife (oggi Piedimonte Matese in provincia di Caserta), dove
s'erano sposati il 21 agosto 1866 e da dove erano partiti per Napoli in
cerca di lavoro. Marcellino lo trovò nelle officine Meuricoffre e
malgrado avesse una spiccata tendenza ad alzare il gomito potevano
considerarsi tranquillamente sistemati. Enrico nacque dopo sette anni di
matrimonio e, sembra, ma non si sa se fosse vero o no, che sia venuto alla
luce dopo tanti fratellini nati morti. Su questo figlio si divisero le
speranze e le aspirazioni di papà e mamma Caruso. Il primo avrebbe voluto
che continuasse il suo mestiere di meccanico; la seconda lo avrebbe voluto
istruito. S'incontrarono a metà strada. A dieci anni, il padre lo piazzò
quale apprendista nella fonderia di don Salvatore De Luca all'Arenaccia e
lui, per far contenta la madre, dopo le elementari, frequentò una scuola
serale dove ebbe la possibilità di sviluppare una vera passione: quella
del disegno. Fu, infatti, un eccellente caricaturista dove non figurava
soltanto la versatilità nel disegno ma ancora di più la capacità di
afferrare e far risaltare la psicologia dei personaggi ritratti.
Valgano per tutti quella di Toscanini dove, in una successione di quattro
figure, parte da un orecchio (il famoso orecchio assoluto di Toscanini
nella percezione dei suoni).
Il primo a sfruttare le sue
capacità di disegnatore fu il De Luca che gli fece disegnare delle
fontane che poi realizzò in fonderia. Caruso aveva solo undici anni ma
dimostrò subito di sapersi gestire, così chiese al De Luca un aumento
della paga. Non l'ebbe e se ne andò. Passò dai Palmieri, dagli svizzeri
Meuricoffre, quelli dove lavorava il padre, offrendo sempre più le sue
capacità di disegnatore di fontane che di operaio di fonderia. Passò così
dall'Arenaccia al Borgo Sant'Antonio Abate, a Sant'Anna alle Paludi.
Enrico cresceva e, senza saperlo, incominciava a venir fuori qualcosa che
avrebbe cambiato radicalmente la sua vita: la voce.
Cantava sul lavoro per la delizia dei suoi compagni. Un canto spontaneo,
senza tecnica, ma sufficiente per farlo, man mano, entrare nel giro dei
cantanti di chiesa. Dalle chiese ai salotti della Napoli borghese per
quelle serate di musica, canti e balli che venivano chiamate
"Periodiche" in virtù della periodicità dell'avvenimento, alle
terrazze a mare degli stabilimenti balneari per allietare le giornate dei
bagnanti, alle serenate per conto di innamorati o per festeggiare
onomastici.
Così, dopo il disegno, l'altra scoperta: il canto.
Una volta che si rese conto di questa nuova opportunità di lavoro
incominciò ad avere maggiori ambizioni. Ambiva fare il salto di qualità:
passare dalle esibizioni spicciole, che abbiamo visto, alle recite nei
teatri. Ma per muovere i primi passi nel mondo del teatro d'opera era
necessario prendere lezioni di canto, perché la sua voce, bella ma esile,
andava educata. E qui si manifesta tutto il carattere di questo napoletano
fuori dai cliché. Nessuna improvvisazione, nessuna superficialità ma una
decisione, una risolutezza, una puntigliosità e una assiduità nello
studio che lo accompagneranno fino alla fine facendo di lui il più grande
di tutti i tempi. Da allora ad oggi! Lo scugnizzo di San Giovanniello
diventerà il signore del bel canto.
Un amico lo presentò al maestro Guglielmo Vergine che quando lo sentì
rimase molto sconcertato, innanzitutto perché quella voce benché flebile
non era ben definita per timbro e colore, cioè non era chiaro se si
trattava di baritono o di tenore, per la verità questo dilemma lo
perseguiterà per anni. E, poi, Caruso non aveva di che pagare le lezioni
di canto e il maestro Vergine, quando decise, una buona volta, di
prenderlo a lezione, gli fece sottoscrivere un contratto dove si stabilì
che il Caruso avrebbe dato al Vergine il 25% dell'incasso di ogni recita e
questo per cinque anni dall'inizio della carriera. Qualche progresso nello
studio vi fu tanto che il Maestro pur di realizzare qualcosa in virtù di
quel contratto lo segnalò con insistenza, elogiandolo, forse oltre i
reali meriti di allora, al giornalista Nicola Dàspuro che in quel momento
rappresentava a Napoli l'editore Sonzogno. Fu così che il giovane tenore
fu scritturato per la Mignon di Thomas che si dava al Teatro Fondo di
Napoli, oggi Teatro Mercadante. Ma alle prove, prima del debutto, si
dimostrò tanto incerto e impreparato da essere licenziato su due piedi.
Un altro fiasco avvenne al San Carlo, si vede che questo teatro doveva
essergli fatale. Venne scritturato per sostituire, nel Faust di Gounod, un
tenore che si era ammalato, ma quando venne il momento di cantare la
romanza "Salve dimora, casta e pura" fu preso da una paura tale
che non gli riuscì di arrivare al termine. Inutile dire che se ne tornò
a casa un po' scornato. Ma non si avvilì, anzi furono, queste, lezioni
salutari. Capì che non si poteva improvvisare e che avrebbe dovuto
affrontare con serietà gli studi necessari. Così fu. Restò ancora per
poco con il maestro Vergine. Di tanto in tanto gli capitava di incontrarsi
con il maestro Vincenzo Lombardi, maestro preparatore di spartiti, che non
gli lesinava consigli. Questi, dopo il Vergine, fu forse l'unico
insegnante di canto che Caruso ascoltò più frequentemente. Consigli ne
ebbe addirittura da Umberto Giordano quando si accinse a cantare le sue
opere. Poi cominciò, da solo, a capire la sua voce, a correggere i suoi
difetti, a provare e riprovare, e, come suol dirsi, a mettersi bene in
gola le note, specialmente quelle più ostiche, a curare il passaggio, a
cercare gli acuti, a farsi il repertorio. Il suo primo vero debutto
avvenne nel 1895, a soli vent'anni, con un'opera ricordata forse solo
perché segnò l'inizio della carriera del più grande tenore di tutti i
tempi. Quest'opera si chiamava L'amico Francesco. Era di un napoletano
piuttosto benestante che spendeva di suo per veder rappresentate le sue
opere. Ma quell'anno non viene ricordato solo per quell'avvenimento, perché
Caruso iniziò davvero il suo cammino con opere che rappresentavano il
meglio di ogni cartellone.
Cantò il Faust, la Cavalleria rusticana, il Rigoletto, La Traviata, la
Gioconda. Era fatta! Il 1897 è l'anno in cui incomincia a risalire la
penisola verso teatri di più radicate tradizioni. E' a Livorno per
cantare La Bohème di Puccini. Va a Milano ma non ancora alla Scala, bensì
al Teatro Lirico. E' il 27 di novembre, data da ricordare perché
partecipa ad una prima in assoluto di un'opera che si affermerà come
capolavoro: L'Arlesiana di Cilea. Non sarà, questa, però, l'unica opera
che Caruso terrà a battesimo le quali successivamente si affermeranno
tanto da essere tuttora presenti in tutte le stagioni teatrali. Nel 1898
sarà il primo Loris nella Fedora di Umberto Giordano. Nel 1901 Le
Maschere di Mascagni. Nel 1902 la Germania di Franchetti e Adriana
Lecouvreur di Cilea. Nel 1910 La Fanciulla del West di Puccini. Altre date
significative nella carriera di Caruso sono il 1898, quando varcherà, per
la prima volta, l'oceano per recarsi in Sud America al Colon di Buenos
Aires. Nel 1899 è a San Pietroburgo.
Il 1900 segnerà il suo debutto alla Scala con la Bohème di Puccini sotto
la direzione di Arturo Toscanini. Il 1902 è l'anno in cui Caruso inciderà
i primi dischi per conto della Gramophone and Typewriter Company.
Continuerà ad incidere fino al 1920. I dischi di Caruso ebbero un
successo enorme. In quel tempo non esisteva la manifestazione di
attribuzione del disco d'oro perché, se fosse esistita, il primo disco
d'oro sarebbe stato appannaggio di Caruso visto che il suo E lucean le
stelle dalla Tosca di Puccini superò abbondantemente il milione di copie.
(Per chi vuol saperne di più sulla discografia di Caruso suggeriamo il
Caruso di Riccardo Vaccaro, Edizioni Scientifiche Italiane, 1996). Nel
1903 fa il suo ingresso trionfale al Metropolitan di New York. Due anni
prima, però, aveva dovuto patire la sua più grande delusione: il debutto
al San Carlo di Napoli, la sua città, dove avrebbe voluto la sua
consacrazione e dove aveva inteso, a suo modo, dare il meglio di sé. Fu
scelta L'Elisir d'Amore con la quale, alla Scala di Milano, direttore
Toscanini, aveva ottenuto un trionfo personale di pubblico che aveva
preteso, e costretto Toscanini, a concedere il bis della celebre romanza
Una furtiva lacrima. Ma Napoli aveva già un idolo: Fernando De Lucia,
tenore di grazia, come usava dire allora. Il canto di Caruso era altra
cosa. Forse senza saperlo stava trasformando un'epoca. Non fu capito. Per
la verità il pubblico si divise tra carusiani e fans di De Lucia, ma
quello che l'amareggiò fu l'atteggiamento della critica e in particolare
la presa di posizione del critico del Pungolo, il barone Saverio Procida,
tanto da fargli giurare che non avrebbe mai più cantato a Napoli.
Mantenne il giuramento, ma non dimenticò mai di essere napoletano.
Allegro, simpatico, generoso. Pretendeva fior di dollari per cantare nei
salotti di ricchi americani, ma era capace di cantare, gratis, per ore,
canzoni napoletane per allietare gli emigranti. La prima canzone incisa su
disco fu Mamma mia che vò sapè, versi di Ferdinando Russo e musica di
Emanuele Nutile. In una delle sue venute a Napoli (a Napoli non cantò più,
ma ci venne continuamente) andò al Borgo Sant'Antonio Abate, 15 per
abbracciare il Nutile che viveva poveramente e per lasciargli un bel
gruzzolo di soldi. Il legame con Napoli non fu mai reciso e a Napoli volle
venire, dopo la grave malattia, per ritemprasi e riprendere il suo lavoro.
Ma la sorte volle che quella fosse anche l'ultima. La sua vita iniziata a
Napoli a Napoli finì. Era il 2 agosto 1921. Aveva 48 anni. Enrico Caruso
giaceva in una stanza dell'Hotel Vesuvio. Non sarebbe più andato via
dalla sua città. A 75 anni dalla morte, l'8 giugno 1996, a Napoli, gli
veniva intitolata una scuola: l'Istituto Tecnico Commerciale Enrico Caruso
in via Arenaccia 246. Il suo quartiere d'origine.
Bartolomeo Russo
P. Giuseppe Garofalo 1.302 KB |
Luigi Todisco Membro Onorario del "Enrico Caruso Museum of America" - Brooklyn N.Y. |
Ad Enrico Caruso: |
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