Bovio Libero
Figlio di un filosofo con
ideologie repubblicane (da qui il suo nome) e di una brava pianista,
Libero Bovio nacque l'8 Giugno 1883 a Napoli. Anche se frequentava i corsi
universitari di Medicina non arrivò mai alla laurea perché appassionato
di teatro in lingua. Infatti la sua prima realizzazione risale al 1902,
appena diciannovenne. Morto il padre fu esortato a trovarsi un impiego che
gli consentisse il sostentamento. Prima in un quotidiano locale (Don
marzio) poi al Museo Nazionale di Napoli fino a diventare direttore
dell'Ufficio Esportazioni, lavori che gli consentiranno di scrivere molto.
Gode di una popolarità strepitosa e gli aneddoti
raccontano delle scene di vero e proprio entusiasmo al suo passaggio per
le strade della città. Con la sigaretta sempre tra le labbra diventa ben
presto uno dei più grandi personaggi della Napoli d'inizio secolo. Amore,
gioia e dolore si alternano continuamente nella sua produzione e nella sua
vita. Sempre pronto alle battute, in possesso di una grande comunicabilità
rappresenta a lungo uno stimolante interlocutore nei salotti di una Napoli
alla ricerca della sua identità.
Grandissima la varietà dei temi, trattati sempre con immediatezza
popolaresca, anche nelle poesie non destinate alla musica. Perché, se è
vero che si ricorda come autore di versi intramontabili, è anche vero che
fu poeta che, pur scrivendo in vernacolo, evidenziò condizioni e
temi comuni ai grandi poeti del decadentismo italiano ed europeo. La sua
poesia, "Vespero", ad esempio, è fondata ed occupata dal
tema della solitudine, il quale si ritrova, com'é noto, nei poeti del
nostro Novecento con le stesse connotazioni connesse alla contemplazione
stupita del paesaggio, alla fugacità della vita e alla ricerca
fanciullesca del linguaggio della natura. Fu giornalista, autore di teatro
e novelliere. I titoli, molti e tutti indimenticabili, sono: "Passione", "Silenzio cantatore", "Chiove", "Guapparia", "Signorinella".
I musicisti furono i maestri Gaetano Lama, Nicola Valente, E. Nardella, E.
de Curtis, Rodolfo Falvo, etc. Nella canzone napoletana Bovio
inventò anche il genere drammatico. Si racconta che un giorno Libero
Bovio, nella sede della casa musicale "La canzonetta" di Francesco Feola, seduto alla scrivania, leggeva a Mario Spera,
direttore della rivista omonima, una sua nuova lirica. Entra un
gerarchetto fascista, inviato dal federale per informare il poeta che era
arrivato Edmondo Rossoni, un alto esponente del partito, il quale
desiderava vederlo; avanza fino alla scrivania e pronunzia con molto
sussiego il suo nome preceduto dal grado. Bovio, che vuole
terminare la lettura della poesia, gli dice : "Pigliatevi una
sedia". Il gerarchetto, con tono offeso, dice: "Non
avete capito chi sono?" E ripete il proprio nome e grado. E Bovio
senza alzare la testa: "Ah!... Allora pigliatevi ddoi segge!".
Grazie a compagnie di prosa
farà del resto conoscere a tutta l'Italia la sua personale inesauribile
vena poetica così come quella dell'intera città. Poi, costretto da una
malattia a rinchiudersi in casa, come definitivo poetico atto d'amore
dedica alla sua compagna il suo ultimo canto: Addio Maria.
A raccogliere l'eredità il
figlio Aldo, giornalista de "Il Mattino" ed autore oltre che di
canzoni e sceneggiature di colonne sonore. Organizzatore e regista da
molti anni rappresenta il polo di numerose manifestazioni artistiche della
città.
carulì Carulì; 'A
canzone 'e Napule; Nun volio fa niente; Sona chitarra; Tarantella luciana;
Carufanella; Guapparia; Nonna nonna; Tu ca nun chiagne; Fron' 'e cerase;
Regginella; Ncoppa 'a ll'onna; Brinneso; Silenzio cantatore; Chiove;
Lacreme napulitane; 'O paese d'0 'o sole; Tarantella scugnizza; Zappatore;
Guappo song'io; Passione.
Ettore de Mura -
Enciclopedia della Canzone Napoletana
Casa Editrice IL TORCHIO, Napoli 1969
Aldo Bovio 2.128 KB |
LIBERO BOVIO
Libero Bovio non fu solo un grande poeta: fu il più
grande poeta della canzone napoletana. Se Salvatore Di Giacomo - sempre
concentrato su se stesso - scrisse versi ch'erano già musica, difficili da
rivestire di note, il più generoso Bovio vergò rime altissime eppure ben
adatte a favorire il lavoro del compositore. Ecco il segreto dell'armonia.
Il talento di Bovio spuntò all'inizio del Novecento e alla fine del
ventennio d'oro della canzone, quando si dava per morta questa
straordinaria espressione di arte popolare. Salvò la canzone, la tenne in
vita, la riformò. Fu uno dei tanti modi in cui onorò la lezione del padre
Giovanni, filosofo della democrazia ed esempio perduto di moralità nella
vita pubblica e privata.
Il suo genio lirico e ironico, straripante e pudico, dominò su un ambiente
gonfio di retorica, grondante lacrime. Sua una frase meravigliosa:
"L'aggettivo è il solo responsabile di tutte le nefandezze umane". Avendo
avuto il dono di farsi capire e di farsi amare dal popolo, riuscì ad
abbinare chiarezza e cultura: un democratico, come il padre.
Lligi Pirandello scrisse alla moglie di Bovio, Maria, che Silenzio
cantatore valeva quanto i suoi Sei personaggi in cerca d'autore. Napoli
non ha reso a Bovio altrettanto onore, ma lui se l'aspettava: "Napoli
tutto tollera e perdona tranne l'ingegno" annotò, beffardo.
L'immerse senza paura negli umori della città e li sorvolò. Al tempo della
guerra, pur senza diserzioni, in 'A guerra e Canzone 'e surdate cantò la
vera faccia del fronte: lutti e dolore. Al tempo degli emigranti, quando
tutti cantavano di lontane nostalgie, lui diede invece corpo alla
sofferenza e all'ingiustizia: I'so' carne 'e maciello: so' emigrante poetò
in Lacreme napulitane.
Perfezionista, sceglieva i musicisti e i cantanti delle sue canzoni. Dopo,
troppi gli hanno fatto torto, interpretando ad esempio con un sorriso
Guapparia, che all'opposto è il dramma di un uomo e di un ambiente. Troppi
hanno ritenuto Zappatore soltanto una sceneggiata, mentre, all'opposto, è
la denuncia, in tre minuti, della fine del mondo contadino, è la
folgorante percezione dell'affiorante egoismo - del consumismo - da cui
sono avvolti i nostri giorni.
"Per fare una buona canzone nce vo' nu fatto dinto" diceva, ma la
concretezza dell'ispirazione mai frenò la limpidezza di una vena
straordinariamente ampia.
Fu tra i creatori della canzone italiana, Reginella, Signorinella.
Dimostrò possibile far teatro napoletano d'arte senza risate sguaiate o
singhiozzi impudichi. Scrisse epigrammi strepitosi. Tutta la sua vita,
tutta la sua arte, fu leggerezza. Prendete un episodio minimo, la corte
fattagli dall'attrice Dirce Marella. A un biglietto della signora - "Inseguimi,
sono l'ombra" - rispose "Non posso, tengo i calli": era il modo di
sdrammatizzare un rifiuto, perfino elegante nell'apparente prosaicità.
Uq él salotto di via Duomo il figlio Aldo conserva linee di un pentagramma
di Pietro Mascagni che, al pianoforte di casa, abbozzò un inno al lavoro e
chiese a Bovio di apporvi versi. Don Liberato scrisse: "O lavoratore, sii
benedetto / quanno te stienne 'ncoppa a nu lietto". Due versi, una lezione
di solidarietà per chi fatica, svestita di ogni retorica. Grande,
grandissimo.
Pietro Gargano
Copyright
(c) 2001 [Interviù]. Tutti i diritti riservati.
Web Master: G.C.G.