PRESENTAZIONE
di Paolo Limiti
L'uscita di un libro sulla canzone napoletana mi mette sempre
di buon umore. Che si parli di un argomento del genere proprio oggi, proprio
mentre un secolo sta chiudendo i suoi conti e un altro è sul punto di iniziare,
proprio mentre nuove estetiche, idee ancora en rodage e nuovi miti generazionali
irrompono nelle nostre esistenze, sui nostri teleschermi e nelle nostre
orecchie, secolo ecco, mi pare decisamente una notizia incoraggiante. Perché in
fondo io sono convinto che un uomo, e di conseguenza vita una società civile, possa
fare a meno di tutto fuorché di due cose: del proprio futuro e del proprio
passato. E visto che tutti noi siamo pieni di futuro, ne siamo perennemente
circondati, vorrei dire assediati, lusingati e frastornati, è proprio il nostro
passato che dà l'impressione di sfuggirci e finire nel cono d'ombra dell'oblio
collettivo, fino a perdere lentamente ogni legame con noi stessi, ogni senso.
Paradossalmente, il nostro passato rischia di non appartenerci più. In
quest'ottica, la storia della canzone napoletana acquista un senso infinitamente
più vasto, e più nobile: da arido materiale per topi di biblioteca diventa un
pezzo di vita palpitante della nostra cultura, della nostra identità, un momento
essenziale della nostra crescita di individui e di cittadini. La storia della
canzone napoletana altro non è che la storia di Napoli e del popolo napoletano,
nonché il punto più luminoso di quella cultura mediterranea che da sempre
affascina tutto il mondo.
La sua, dicevo, è una storia palpitante, viva, tutt'altro che imbalsamata:
ogni giorno davanti ai nostri occhi si materializzano prove concrete del suo
eterno, ininterrotto rinascere sotto nuove e imprevedibili spoglie. Ma ciò che
più deve farci riflettere è la straordinaria attualità di quel passato: storie,
personaggi, opere d'arte, intuizioni, sogni, passioni che non cessano di toccare
il nostro cuore con la loro forza, con la loro autenticità, con la loro schietta
poesia. I percorsi artistici e umani di figure come Enrico Caruso, Elvira
Donnarumma, Gilda Mignonette, Pasquariello o Libero Bovio (li cito quasi a caso)
ancora oggi saltano fuori dalla pagina scritta con plasticità e rimettono in
scena un'appassionante commedia della vita che, per dirla con gergo da capocomico, "non ha mai smontato".
I retroscena che
vivono dietro canzoni classiche e amate in tutto il mondo (da 'O sole mio a
Santa Lucia luntana, da Guapparia a Torna a Surriento) sono un altro tassello
importante: restituiscono i colori e i sapori di un universo intero, con le sue
regole e le sue convenzioni, ma anche con i suoi sogni, le sue aspirazioni e le
sue illusioni.
Un libro che tenta di ri-raccontare questa storia così complessa e imponente
non poteva privarsi di un apparato iconografico di tutto rispetto: perché, certo,
Napoli vuol dire soprattutto canzoni, versi e melodie, ma allo stesso tempo
significa anche volti e luoghi mitici (il Gambrinus, la Galleria, il Salone
Margherita, e poi i tòpoi per eccellenza che ispirarono poeti e musicisti: il
lungomare di Santa Lucia, Piedigrotta con la sua festa in onore della Madonna,
il pennacchio azzurrognolo del Vesuvio), significa tendenze e mode, fenomeni di
costume e date storiche. Per ricomporre il puzzle era dunque necessario il
tassello visivo: lo si è fatto grazie ai dagherrotipi ingialliti, ai ritratti
presi dalla credenza di bisnonni, agli spartiti e alle copielle delle canzoni
piedigrottare, ai paesaggi della scuola di Posillipo, alle gouaches e alle
stampe che hanno divulgato nel mondo l'immagine più attraente di Napoli e del
suo splendido golfo.
L'ultima cosa che mi piace segnalare a proposito di questo libro è un mero
dato anagrafico: l'autore di questo omaggio alla storia della grande canzone
napoletana appartiene a una generazione insospettabile, perché è cresciuto al
suono di altre musiche e a contatto con altri miti. Ciò mi pare utile a
sgombrare il campo dalla più classica delle obiezioni rivolte a operazioni di
recupero culturale come questa: l'accusa di aver confezionato un'operazione-nostalgia.
Non può essere certo la nostalgia ad aver spinto un giornalista poco più che
trentenne a scavare nel passato polveroso di volti e suoni che risalgono a
epoche per lui antidiluviane. No, non è un libro semplicemente impregnato di
nostalgia, questo. Ma poi, anche se così fosse, cos'è in definitiva la
nostalgia? Etimologicamente parlando, è il bisogno del ritorno. Ritorno a cosa?
Alla purezza dell'infanzia? Alle emozioni della gioventù? Alle certezze della
famiglia? Alle rassicuranti radici da cui tutti proveniamo? Comunque la mettiate,
si tratta di un ritorno a noi stessi, di un ritorno a casa. Se un libro riesce a
facilitare almeno un po' un viaggio così importante e irrinunciabile per
ciascuno di noi, bene: questo libro è un amico prezioso. Buon viaggio.
Maurizio Becker - La canzone napoletana
Casa Editrice OCTAVO,
Firenze 1999
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